Il Sudan in piena catastrofe umanitaria

Il Paese ostaggio dei combattimenti tra esercito e RSF. Decine di migliaia di profughi attraversano le frontiere di Paesi poverissimi

[2 Maggio 2023]

Il World Food Programme (WFP) aveva sospeso le sue attività di soccorso in Sudan dopo che tre membri del suo staff erano stati uccisi nel Nord Darfur il 15 aprile, il primo giorno di scontri tra l’esercito sudanese e le forze paramilitari delle Rapid Security Forces (RSF, gli ex janjaweed) che ora, grazie alla denuncia di Africa ExPress rilanciata dal Manifesto, si scopre che sarebbero state addestrate dall’Italia nonostante le stragi che hanno compiuto nel Darfur e la partecipazione al golpe che ha impedito la formazione di un governo di civili.

Ma di fronte al precipitare della situazione in Sudan, mentre le effimere tregue non reggono e alle frontiere col Ciad, l’Egitto e il Sud Sudan si affollano migliaia di profughi in fuga dai combattimenti, mentre la guerra tra l’esercito e i suoi ex alleati  golpisti spinge milioni di persone alla fame, il WFP ha revocato immediatamente la temporanea sospensione delle operazioni  di soccorso.

La direttrice esecutiva del WFP, Cindy McCain, ha annunciato che «La distribuzione di cibo dovrebbe iniziare negli stati di Gedaref, Gezira, Kassala e White Nile nei prossimi giorni per fornire l’assistenza salvavita di cui molti hanno così disperatamente bisogno in questo momento. La situazione della sicurezza è ancora molto precaria. Il WFP sta prendendo in considerazione luoghi in cui l’accesso umanitario è garantito, tenendo in grande considerazione la sicurezza, la capacità e le considerazioni relative all’accesso. Ci prenderemo la massima cura per garantire la sicurezza di tutto il nostro personale e dei nostri partner, mentre ci affrettiamo a soddisfare le crescenti esigenze dei più vulnerabili».

La McCain ha però ribadito che «Per proteggere al meglio i nostri operatori umanitari  necessari e il popolo sudanese, i combattimenti devono cessare. Oltre 15 milioni di persone stavano già affrontato una grave insicurezza alimentare in Sudan prima di questo conflitto. Ci aspettiamo che questi numeri crescano in modo significativo man mano che i combattimenti continuano. E’ in momenti come questo che il WFP e i nostri partner delle Nazioni Unite sono più necessari».

Militari e SDF stanno distruggendo un Paese e ignorando – come hanno sempre fatto – le richieste e le speranze del loro popolo. Per l’Onu la situazione sta precipitando e per questo il segretario generale António Guterres ha inviato nella regione il coordinatore per gli affari umanitari delle Nazioni Unite Martin Griffiths che è arrivato a Nairobi, in Kenya, e dovrebbe recarsi presto in Sudan. Prima di partire, Griffiths ha affermato che «La situazione in Sudan sta raggiungendo un punto di rottura, poiché le persone lottano per accedere a beni di prima necessità come acqua, cibo, carburante e cure mediche».

Ieri, alti funzionari dell’Onu, ONG e partner umanitari hanno tenuto un briefing virtuale per aggiornare la comunità internazionale sulla risposta umanitaria alla crisi.

L’Onu ricorda in una nota che «Con una popolazione di 48 milioni, il Sudan è il terzo paese più popoloso dell’Africa. Circa un terzo di tutte le persone, quasi 16 milioni, necessitava di assistenza umanitaria prima del conflitto, e circa 3,7 milioni erano sfollati, soprattutto nel Darfur». Durante il briefing, Abdou Dieng, il massimo funzionario umanitario dell’Onu in Sudan, ha denunciato che «Il conflitto sta trasformando questa crisi umanitaria in una vera e propria catastrofe.  Centinaia di persone sono state uccise da quando sono scoppiati i combattimenti poco più di due settimane fa. Decine di migliaia sono fuggite al sicuro, sia all’interno che all’esterno del Sudan, mentre altri milioni sono stati confinati nelle loro case, impossibilitati ad accedere ai servizi di base. Nonostante le terribili condizioni, gli operatori umanitari continuano a fornire assistenza salvavita. Ad esempio, attraverso i partner, hanno fornito assistenza sanitaria e distribuito rifornimenti di cibo, medicine, acqua e carburante agli ospedali. Il nostro impegno nei confronti del popolo sudanese rimane incrollabile»

Dieng  ha parlato da Port Sudan, sulla costa del Mar Rosso, dove, dopo il trasferimento e l’evacuazione del personale la scorsa settimana dalla capitale, Khartoum, e da altre parti del Paese, si è trasferito il nucleo centrale dell’Onu e ha evidenziato che «La capacità umanitaria è stata notevolmente influenzata dal conflitto, con molti uffici, veicoli, magazzini saccheggiati e distrutti. Il WFP da solo ha perso 4.000 tonnellate di cibo a Nyala, nel sud del Darfur. Gli operatori umanitari stanno valutando come possono operare nelle attuali circostanze in Sudan. Stanno sviluppando un piano per intensificare le attività che riguarderà anche questioni come il movimento di beni di emergenza e personale a Port Sudan e in altre aree accessibili e come negoziare un accesso sicuro per la consegna degli aiuti. Un centro di risposta alle crisi è stato istituito anche a Nairobi, in Kenya, per supportare le operazioni. Il team di esperti, che comprende specialisti nel coordinamento civile-militare, è pronto a schierarsi non appena riapriranno i confini del Sudan. Sulla scia di saccheggi e violenze su vasta scala, stiamo lavorando per identificare modi per portare nel Paese rifornimenti per ricostituire le nostre scorte, in modo da poter fornire aiuti a chi ne ha bisogno non appena sarà sicuro farlo».

Poi, anche Dieng ha esortato gli Stati membri adell’Onu a lavorare davvero per un  cessate il fuoco duraturo tra l’esercito appoggiato dall’Egitto e le RSF appoggiate da Arabia saudita, Emirati arabi uniti e mercenari russi della Wagner e ha sottolineato «La necessità di  finanziamenti flessibili per garantire che la risposta umanitaria continui. Chiediamo ai donatori di accettare l’aumento del rischio a breve termine che potrebbe essere associato a tutto questo per consentirci di salvare vite umane».

Intanto, il conflitto tra esercito e milizie sudanesi sta ripercuotendosi sugli Stati vicini: i combattimenti hanno provocato lo sfollamento di cittadini sudanesi, ma anche di rifugiati scappati cdalla guerra civile nel Sud Sudan e cittadini di Paesi terzi che vivono In Sudan. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, UNHCR , stima che «Circa 73.000 persone siano già fuggite in Paesi vicini come Ciad, Egitto, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Etiopia ed Eritrea». Tutti Paesi in grave crisi economica e con guerre e guerriglie interne.

Raouf Mazou, Assistente dell’Alto Commissario per le operazioni dell’UNHCR, ha avvertito che «Questi numeri potrebbero aumentare a meno che la crisi non venga risolta rapidamente. In consultazione con tutti i governi e i partner interessati, siamo arrivati ​​a una cifra pianificata di 815.000 persone che potrebbero fuggire nei 7 Paesi confinanti». L’UNHCR stima che «La maggioranza, 580.000, sarà sudanese, con 235.000 sud sudanesi che cercheranno di tornare a casa, in quelle che definiremmo condizioni avverse».

Mazou ha ringraziato i poverissimi Paesi vicini al Sudan che hanno accolto persone in fuga dal caos. Finora, 30.000 sudanesi hanno trovato rifugio in Ciad, che ospitava già circa 400.000 rifugiati sudanesi. I nuovi arrivati ​​sono ammassati principalmente nei villaggi vicino al confine.

L’UNHCR sta coordinando la sua risposta insieme al governo del Ciad e ai partner umanitari e ha immediatamente dispiegato team di emergenza nella regione e rafforzato forniture di generi di prima necessità, come materassini, sapone e utensili da cucina, e sta aumentando le attività nei settori della registrazione, della protezione e del monitoraggio delle frontiere.

Solo il 29 aprile in Sud Sudan sono stati registrati più di 20.000 nuovi arrivi dal Sudan. Quasi il 90% sono cittadini che sono tornati a casa, anche se è probabile che i numeri complessivi siano più alti.

L’UNHCR sta collaborando in particolare l’International organization from migration (IOM) per rispondere all’afflusso  di profughi e prepararsi a un numero maggiore di persone qualora il conflitto in Sudan dovesse protrarsi.   Secondo Mazou  fino a eri l’Egitto aveva  accolto circa 14.000 rifugiati e «L’UNHCR e i partner hanno istituito un punto di servizio umanitario al confine meridionale che fornisce servizi logistici, salute logistica e supporto umanitario.  La Mezzaluna Rossa egiziana sta rispondendo a circa 1.000 persone che arrivano ogni giorno e i bisogni sono principalmente legati all’acqua, al cibo e alla salute», ha aggiunto.

Prima che scoppiassero i combattimenti tra esercito e paramilitari, il Sudan ospitava già 1,3 milioni di rifugiati, una delle più grandi popolazioni di rifugiati al mondo. La maggior parte proveniva dal Sud Sudan, dall’Eritrea, dall’Etiopia e dalla Siria e viveva principalmente nelle comunità ospitanti e nelle aree urbane, sebbene altri rimanessero nei campi nel Sudan orientale, nel Nilo Bianco e nel Darfur.  A causa dell’insicurezza, l’UNHCR è stato costretto a sospendere temporaneamente le attività a Khartoum, negli Stati del Darfur e in altre parti del Paese, anche se gli operatori umanitari sono rimasti in contatto con alcuni leader e membri delle comunità di rifugiati.