Il Perù nel caos dopo la “sangrienta jornada”. 18 morti e 112 feriti a Puno (VIDEO)

La procura generale mette sotto accusa la presidente Dina Boluarte. Il governo costretto ad abbandonare il Parlamento

[11 Gennaio 2023]

Ieri il presidente del Consiglio dei ministri del Perù, Alberto Otárola, si era presentato al Congresso per chiedere un voto di fiducia al governo di Dina Boluarte, nominata dal Parlamento stesso dopo aver defenestrato l’ex presidente di sinistra Pedro Castillo il 7 dicembre, ma è stato costretto ad abbandonare l’aula quando un gruppo di parlamentari ha iniziato a gridare «Assassini!», rivolto ai banchi del governo. Un’accusa dovuta a quella che ormai in Perù viene chiamata la “sangrienta jornada” (la giornata di sangue) dopo che il 9 gennaio a a Juliaca, nella provincia di San Román, nel dipartimento di Puno, nel sud-est del Paese, sono morte 18 persone – e  almeno 112 sono state ferite – che partecipavano alle proteste che stanno paralizzando il Perù per chiedere la chiusura del Congresso, elezioni anticipate, le dimissioni della Boluarte e la scarcerazione di Castillo.

Ieri, il governernatore di Puno  governatore Richard Hancco Soncco ha decretato tre giorni di lutto in tutto il dipartimento e ha chiesto che «La Procura della Repubblica affinché avvii indagini contro i responsabili di questi deplorevoli eventi che piange la regione di Puno» e ha anche condannato «Qualsiasi atto di violenza e uso esagerato della forza pubblica da parte della policia nacional e delle forze armate peruviane, nella città di Juliaca».

Di fronte alle crescenti proteste, soprattutto nella nota zona dell’altopiano, contro il nuovo governo del Perù, accusato di essere il frutto di un golpe parlamentare, le organizzazioni sociali chiedono «La fine della repressione poliziesca».

Il massacro dei manifestanti è avvenuto il sesto giorno consecutivo delle proteste antigovernative, mentre i manifestanti cercavano di occupare l’aeroporto Inca Manco Capac e ha fatto d salire ad almeno 45 le vittime delle manifestazioni iniziate l’11 dicembre in tutto il Paese.

La ministra dei trasporti e delle comunicazioni, Paola Lazarte, ha detto che ieri c’erano 44 blocchi stradali a causa di manifestazioni nell’interno del Perù a maggioranza indigena, in 6 regioni: Puno, Amazonas, Apurímac, Cusco, Arequipa e Madre de Dios.

In una lettera aperta al popolo peruviano, la Mesa de Concertación Para la Lucha Contra la Pobreza de la Región Puno y de la provincia de San Román, ha condannato la repressione a Juliaca e ha sottolineato: «Chiariamo che quanto espresso dal presidente del Consiglio, e dai ministri della difesa, dell’interno, della salute e dei trasporti, non è conforme al vero, quando affermano che queste proteste sociali intendono realizzare un Condizione di colpo di stato. In queste condizioni, ogni annuncio di dialogo è una presa in giro. Date le ripetute espressioni di disprezzo da parte dei rappresentanti del governo e la non accettazione della loro responsabilità per questi eventi accaduti non solo a Juliaca, Ayacucho, Apurimac, Arequipa, Cusco e altrove, chiediamo riconciliazione e riparazione espresse in atti concreti e sinceri».

L’ospedale Carlos Monge Medrado di Juliaca  è al collasso a causa delle centinaia di feriti frutto della repressione poliziesca degli ultimi giorni e le utorità sanitarie segnalano la mancanza di medicinali e sangue per curare i feriti; così come il cibo per le famiglie dei feriti.

È stata invece sospesa la sessione dell’Acuerdo Nacional, che riunisce i tre livelli dello Stato peruviano «Con lo scopo di cercare il consenso a favore della pace», un forum per il dialogo e la costruzione del consenso composto dal Presidente della Repubblica, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dall’Assemblea Nazionale dei Governi Regionali, dall’Associazione dei Comuni del Perù, dai partiti politici con rappresentanza al Congresso e dal principali organizzazioni della società civile con rappresentanza a livello nazionale.

Ieri a Juliaca  sono nuovamente scesi in piazza centinaia di abitanti della città per protestare contro la brutale repressione da parte delle forze di sicurezza. Oggi  19 bare (una in più delle vittime ufficiali) sono state deposte all’esterno dell’ospedale Carlos Monge Medrano. Mentre sale l’indignazione tra la popolazione indigena, il governo della presidente Boluarte ha annunciato un  coprifuoco di tre giorni nella città di Puno , dalle 20:00 alle 4:00. Ma le proteste antigovernative continuano e il Ministerio Público de Perú  ha aperto una seconda inchiesta contro la Boluarte per il massacro di Juliaca e ha rivelato che «C’è già un altro iter investigativo a carico di Boluarte. indagini preliminari che il mio ufficio sta svolgendo sui fatti di violenza avvenuti lo scorso dicembre».

Dopo il massacro di Puno, la deputata Ruth Luque di Juntos por el Perú ha sporto denuncia contro la presidente Boluarte e il premier Otárola, e altri alti funzionari governativi, accusandoli di essere i mandanti/autori di omicidi e lesioni gravi e ha chiesto alla Procura che «Le morti registrate in Perù non restino impunite», la denuncia riguarda i morti e i feriti nelle manifestazioni di  Andahuaylas, Huamanga, Pichanaki e Juliaca. «Se la Procura ha agito rapidamente contro presunti atti di corruzione, oggi spetta a lei agire con maggiore urgenza in difesa della vita e dell’integrità», ha aggiunto la Luque.

La presidente Boluarte, eletta nelle fila del Partito di Castillo, Perù Libre, e poi passata con l’opposizione in cambio della presidenza, ha detto provocatoriamente: «Non comprendo l motivo della continuità delle proteste. Non posso rispondere a tutte le richieste dei manifestanti. Protestano contro cosa? Non è chiaro cosa chiedano. Gli ho già spiegato che i 4 punti politici non sono in mio potere. L’unica cosa che era in mio potere sono le elezioni anticipate e lo abbiamo già proposto al Congresso. Le manifestazioni sono solo un pretesto per continuare a generare caos nelle città».

A parte che i manifestanti chiedono le elezioni anticipate subito e la Boluarte le vuole fare almeno tra un anno, la risposta della presidente golpista alla rabbia e al lutto delle regioni indigene del Perù segna un ulteriore distacco tra la fallimentare e corrotta classe dirigente peruviana e i poveri del Paese che nella rivolta contro il governo urlano non solo l’appoggio a Catillo – un indio – ma anche la ribellione contro un’ingiustizia atavica e contro il saccheggio delle loro risorse e il massacro dei loro corpi e della loro cultura millenaria.

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