Il Kosovo e l’Ucraina: quando un conflitto etnico fa emergere le contraddizioni europee

Come una questione di targhe e carte d’identità potrebbe trasformarsi in una nuova guerra europea

[1 Agosto 2022]

Ieri il Kosovo ha accusato la Serbia di fomentare disordini e di aver cercato di minare lo “stato di diritto” in quella che la Serbia (e molti Paesi del mondo) considerano ancora una provincia separatista e che a Belgrado chiamano ancora con il vecchio nome jugoslavo di Kosovo e Metohija.

Il primo ministro del Kosovo Albin Kurti – un nazionalista che sogna una grande Albania ha accusato: «Strutture serbe illegali nel nord hanno iniziato a bloccare strade e sparare con le armi» contro la polizia speciale di Pristina, anche prima che venisse schierata al confine con la Serbia. Kuti ha accusato anche Belgrado di Belgrado di agire per conto della Russia.

In realtà tutto nasce dalla decisione del governo del Kosovo di non consentire più, a partire da oggi, che nessuno possa i entrare o uscire nella parte serba del Kosovo con targhe o documenti serbi.

Kurti ha fatto professione di democrazia: «Il governo della Repubblica del Kosovo è democratico e progressista, che ama, rispetta e attua la legge e il costituzionalismo, la pace e la sicurezza, per tutti i cittadini indistintamente e per tutto il nostro Paese comune. Il Kosovo sta affrontando il “nazionalsciovinismo serbo” e la “disinformazione” da parte di Belgrado». E, dopo aver incitato i kosovari albanesi ad essere vigili, ha accusato il presidente serbo Aleksandar Vucic e il suo commissario per il Kosovo Petar Petkovic di  «Azioni aggressive e minacce». Mentre su Twitter il capo di stato maggiore, Vjosa Osmani, ha accusato la Serbia di essere la testa di ponte in Europa della Russia e di voler ripetere in Kosovo lo schema che Putin ha usato per invadere l’Ucraina, sostenendo che i serbi in Kosovo sono perseguitati.

La verità è che, da dopo la dichiarazione di indipendenza, i serbi del Kosovo non se la passano per nulla bene e che, di fronte a quello che vedono come un ulteriore tentativo di assimilazione in uno Stato che non riconoscono, ieri hanno eretto barricate richiamati dalle campane delle chiese ortodosse che hanno suonato a martello in tutta la parte settentrionale della provincia, chiamando a raccolta i serbi per impedire che gli albanesi musulmani organizzassero quello che definiscono “un altro pogrom” contro i serbi rimasti in Kosovo, come quello del 2004.

Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha a sua volta accusato il governo etnico albanese del Kosovo di aver pianificato questo nuovo giro di vite contro la popolazione serba e ha lanciato un appello per la pace in quella che considera una provincia separatista strappata dalla NATO alla Serbia, ma ha aggiunto La Serbia on starà a guardare se kosovari  di etnia serba saranno presi di mira per un altro pogrom». Per Vucic, «Il regime di Pristina vuole imporre alla gente del Kosovo e Metohija settentrionale cose che non ha il diritto di imporre. La polizia del Kosovo è stata schierata sulla linea amministrativa con la Serbia per confiscare documenti e targhe serbi, a partire da mezzanotte. L’atmosfera si è riscaldata e i serbi non subiranno più atrocità. Il mio appello a tutti è di cercare di mantenere la pace a quasi tutti i costi. Chiedo agli albanesi di rinsavire, ai serbi di non cadere nelle provocazioni, ma chiedo anche ai rappresentanti di paesi potenti e grandi, che hanno riconosciuto la cosiddetta indipendenza del Kosovo, di prestare un po’ più di attenzione al diritto internazionale e alla realtà sul campo e non permettere ai loro protetti di causare conflitti».

La crisi apertasi nuovamente in Kosovo è una bella grana per l’Unione europea, della quale il Kosovo è una specie di costoso e poverissimo protettorato, perché mette in discussione la narrazione della pace in Europa garantita per 70 anni dall’Ue (con la cancellazione delle  guerre che hanno frantumato la Juogoslavia) e perché la situazione del Kosovo, a parti invertite, è drammaticamente simile a quella delle repubbliche filorusse del Donbass in Ucraina: la NATO ha occupato il Kosovo nel 1999, dopo 78 giorni di bombardamenti aerei contro la Repubblica Federale di Jugoslavia. La provincia ha dichiarato l’indipendenza dalla Serbia  nel 2008, con il sostegno occidentale. Mentre gli Usa e l’Ue e i loro alleati hanno riconosciuto il  Kosovo indipendente, la Serbia, la Russia, la Cina e molti Paesi del mondo non lo hanno mai fatto.

E un analista politico russo, Aleksandar Pavic, ha gioco facile a rovesciare la teoria del premier Kosovaro Kurti: «Dal Kosovo all’Ucraina, sembra che ci sia uno schema per quanto riguarda gli accordi in cui le potenze occidentali hanno una mano. Dall’inizio dell’operazione militare speciale di quest’anno in Ucraina, i funzionari russi hanno ripetuto più volte che l’Occidente non aveva mai fatto pressioni su Kiev affinché rispettasse la sua parte dell’accordo di pace di Minsk 2 del 2015, inteso a porre fine alla situazione di stallo di Kiev con le repubbliche del Donbass. Di recente, l’ex presidente ucraino Pyotr Poroshenko ha ammesso apertamente che l’Ucraina non ha mai avuto intenzione di rispettare l’accordo, ma stava semplicemente guadagnando tempo per costruire un esercito in grado di invadere il Donbass.

La situazione con il Kosovo non è molto diversa. L’Ue ha mediato un accordo tra Pristina e Belgrado nell’aprile 2013, il cosiddetto Accordo di Bruxelles, in base al quale la Serbia avrebbe dovuto smantellare le sue strutture “parallele” di polizia e giudiziaria in Kosovo e convincere i serbi del Kosovo ad accettare l’integrazione nella polizia e nel sistema giuridico del Kosovo, senza riconoscere l’indipendenza del territorio. E le autorità di Belgrado lo hanno fatto, nonostante una grande protesta dell’opinione pubblica contro questa decisione. Tuttavia, c’era una seconda parte dell’accordo, in base alla quale Pristina era obbligata a formare un’Associazione di comuni serbi, con sostanziali poteri locali e legami con la Serbia vera e propria. La parte albanese dell’accordo di Bruxelles fino ad oggi non è stata rispettata. Eppure, come ha fatto notare il 31 luglio il presidente serbo Aleksandar Vucic, «Sono trascorsi 3.390 giorni dalla firma dell’accordo di Bruxelles e non c’è ancora nessun segno dell’Associazione. Come nel caso dell’Ucraina, l’Occidente collettivo ha esercitato una pressione assolutamente nulla sulla parte che sostiene per adempiere alla sua parte di un accordo internazionale firmato. E ancora, come nel caso dell’Ucraina, questo ha incoraggiato Pristina a prendere una posizione sempre più bellicosa, che potrebbe benissimo portare a un conflitto più serio».