Golpe in Ciad dopo la morte del presidente Idriss Déby: al potere i militari e il figlio

Il suo “oppositore” diventa premier e la giunta militare respinge la tregua proposta dai ribelli

[27 Aprile 2021]

L’eterno presidente del Ciad, Idriss Déby Itno (IDI), da oltre 30 anni al potere – dove era arrivato con un colpo di stato militare – dopo essere stato riconfermato nelle recenti e contestate elezioni, è morto il 18 aprile, ucciso da una pallottola dei ribelli  del Front pour l’alternance et la concorde au Tchad (Fact) Idriss Déby era rimasto un militare e un’amico dell’Occidente – un fedelissimo della Francia – che lo aveva sempre sostenuto nonostante fosse evidente che lo aveva messo a capo di un regime autoritario che non ha mancato mai di interferire anche negli affari degli Stati vicini. Non a caso il presidente francese è volato a Ndjamena ai funerali di questo oscuro golpista africano autonominatosi maresciallo per tesserne le lodi di capo guerriero.

E Idriss Déby, che aveva ottenuto il brevetto di pilota per aerei da trasporto truppe in Francia ha sempre ricambiato i soldi e le armi che arrivavano da Parigi con una fedeltà totale alla ex potenza coloniale.  Diventato comandante in capo delle Forces armées du Nord, aiuto il ribelle Hissène Habré a togliere il potere a Goukouni Oueddei nel 1982, nominato colonnello e vic-capo di armata, ha completato la sua formazione all’école de guerre interarmées in Francia. Tiornato in Ciad ha rotto con Hissène Habré, che perseguitava l’etnia Zaghawa, ed è stato esiliato in Sudan, dove ha creato il suo partito armato: il Mouvement patriotique du Salut (MPS) che il primo dicembre 1990 si è impadronito del potere a Ndjamena con un colpo di stato sostenuto dalla Francie, costringendo Hissène Habré  a fuggire in Senegal. Dopo la dittatura militare e del MPS, le prime nuove elezioni “libere” in Ciad si sono tenute solo nel 1996 e hanno visto l’elezione a presidente della Repubblica di Hissène Habré che poi è stato rieletto per 5 volte, grazie a una contestatissima modifica della Costituzione.

Di fatto IDI era a capo di una dittatura sostenuta dai militari e dalla Francia (e dall’Europa), un regime divenuto sempre più autoritario che ha fatto sparire nel nulla oppositori come  Ibni Oumar Mahamat Saleh nel 2008 e che durante le ultime elezioni ha arrestato Yaya Dillo, lasciando nelle liste solo avversari di comodo.

Un regime minato da dissidi interni e faide familiste e che a più riprese – 2005, 2006 e 2008 – è stato minacciato da gruppi rinbelli ma che è stato sempre salvato dal sostegno occidentale e dall’intervento francese e IDI alla fine si era conquistato l’inamovibilità grazie alla lotta contro le milizie jihadiste nel Sahel e all’intervento armato in Repubblica Centrafricana e all’appoggio ai ribelli nel Dharfur e in Sud Sudan .

Un ruolo pagato profumatamente, visto che Idriss Déby  era uscito fuori dai Panama Papers che hanno rivelato che aveva rubato diversi miliardi di dollari dalle casse del suo poverissimo Paese, che ha tra i peggiori indicatori di sviluppo umano del mondo, un Paese devastato dai cambiamenti climatici che favoriscono la desertificazione e prosciugano il Lago Ciad e che non ha conosciuto nessun vero sviluppo nonostante dagli anni 2000 abbia cominciato a sfruttare dei giacimenti di petrolio.

Autonominatosi maresciallo ad agosto, riconfermato presidente in elezioni truccate, Hissène Habré  è morto da soldato combattendo sul fronte dell’ennesima ribellione. Forse aveva 69 anni. La sua scomparsa ha innescato un altro golpe militare che ha prodotto due sorprese: a capo del Conseil militaire de transition (CMT) che ha preso il potere c’è Mahamat Idriss Déby, figlio del defunto maresciallo na non l’erede che sembrava designato, e il CMT ha nominato primo ministro Albert Pahimi Padacké, ex premier di IDI poi diventato suo oppositore e avversario alle ultime elezioni presidenziali. E pensare che una decina di giorni fa Pahimi Padacké aveva detto in un’intervista a Jeune Afrique che« Il dopo Déby è domani ed è ineluttabile». Ora serve un nuovo uomo forte sostenuto dalle baionette dell’esercito e dalla francia, ma è un altro Deby: il figlio che ha il soprannome di Mahamat Kaka.

E dopo il golpe in molti si chiedono chi sia davvero il nuovo padrone del Ciad e come porterà avanti la transizione promessa dai militari del CMT. La società civile preme per essere coinvolta, ma il segretario generale della Convention tchadienne de défense des droits de l’homme, Mahamat Nour Ibedou, ha avvertito  durante la trasmissione “Dabat african” di Radio France International (RFI) che «Mahamat Kaka ha più potere che suo padre prima!» de che i 18 mesi di transizione annunciati dai militari «Sono solo l’inizio per il figlio di Idriss Déby». Diverse organizzazioni e oppositori hanno chiesto di manifestare contro il regime a partire da oggi ma è difficile che la popolazione scenda per le strade sotto la minaccia dei militari che hanno già occupato tutte le città, da dove molti sono già fuggiti per paura di scontri armati.

Intanto i ribelli del Fact, dopo aver eliminato il loro nemico, il 24 aprile si sono detti pronti a trasformare la tregua che avevano dichiarato in un cessate il fuoco per trovare insieme al CMT una soluzione politica: «I primi contatti con i ribelli sono stati stabiliti dai Capi di Stato di Niger e Mauritania, entrambi menmbri del G5 Sahel e il leader del Fact, Mahamat Mahadi Ali, ha confermato: «Siamo d’accordo per un cessate il fuoco e per una soluzione politica ai problemi ciadiani. E’ la nostra speranza più ardente. Da 5 anni, abbiamo sempre detto e ripetuto che i problemi del Ciad devono essere risolti intorno a una tavola rotonda inclusiva  ma ci siamo scontrati con il rifiuto categorico del regime di Idriss Déby. Basta non rispettare i testi e le leggi di un Paese, non si può imporre la volontà di una persona. Tutti, compresi i ribelli, tutti i ciadiani devono mettersi intorno a un tavolo e parlare, negoziare per una soluzione durevole».

E’ preoccupato per la stabilità del Paese anche il Mouvement patriotique du salut, il MPS del defunto presidente, che si è detto favorevole a un dialogo con il Fact, ma un suo portavoce ha detto che «il Conseil militaire de transition deve restare in campo. Il dialogo non può avvenire nel disordine… non si tratta di spartire dei posti».

Ma l’offerta di tregua e dialogo del Fact è stata subito respinta dai militari golpisti e il loro portavoce, il generale Azem, ha chiuso tutte le porte: «Né mediazione né negoziazione con dei fuorilegge». Secondo Azem i ribelli si sono rifugiati a Nguiguimi e Ngourti, in Niger, a più di 600 km da  Ndjamena, e si tratterebbe di «Una colonna di mercenari venuti dalla Libia«, mentre il Fact, dopo aver ucciso IDI, sarebbe in rotta, sconfitti nei violenti combattimenti con l’esercito del Ciad.

Dopo aver invitato il Niger a dare la caccia ai ribelli fuggiaschi, Il portavoce della nuova giunta militare ciadiana ha accusato il Fact: «Questi fuggiaschi, con alla testa il capo Mahadi Ali Mahamat, ricercato per crimini di guerra dal procuratore generale di Tripoli e i cui averi sono congelati per finanziamento al terrorismo,  si sostengono rifornendosi nella logistica, soprattutto carburante. Stanno cercando di chiamare in loro soccorso per sostenerli nelle loro operazioni criminali diversi gruppi di jihadisti e trafficanti che hanno prestato servizio come mercenari in Libia, per attaccare e destabilizzare il Ciad».

Azem ha concluso con un appello della giunta golpista: «Di fronte a questa situazione che mette in pericolo il Ciad e la stabilità dell’intera sub-regione, non è tempo né per la mediazione né per i negoziati con i fuorilegge. Pertanto, il Ciad lancia un vibrante appello a tutti i paesi membri del G5 Sahel per una maggiore solidarietà, coordinamento e condivisione degli sforzi per mettere fuori combattimento coloro che hanno assassinato il maresciallo del Ciad e attentato alla sua sicurezza così come quella dell’intero Sahel».

Dopo la morte di Idriss Déby Itno e il golpe militare, è intervenuto anche il portavoce del segretario generale dell’Onu, Stéphane Dujarric, che rispondendo alle domande dei giornalisti ha detto: «Quel che conta di più per noi ora, come parte del nostro mandato di prevenzione dei conflitti, è aiutare a disinnescare le tensioni e preservare la pace. Nei prossimi giorni ci consulteremo a stretto contatto con i partner africani sul modo migliore per supportare il Paese. Penso che sia importante che tutti gli attori politici e altri attori in Ciad rimangano calmi, si astengano da ogni ulteriore violenza che potrebbe danneggiare i civili e complicare ulteriormente una situazione difficile. Non vediamo l’ora di aiutare le parti interessate ciadiane a lavorare per un’elezione pacifica e inclusiva che porti alla nomina di una nuova leadership civile. L’Onu sta lavorando con i suoi partner africani, in particolare l’Unione africana (UA) e la Communauté économique des États de l’Afrique centrale (CEEAC) su una posizione concertata sul modo migliore per sostenere il Paese».

In Ciad lavorano circa 1.800 dipendenti dell’Onu e, nonostante la giunta militare abbia chiuso le frontiere,  Dujarric  ha assicurato: «Stiamo ovviamente continuando il nostro lavoro umanitario e il nostro aiuto alla popolazione», in particolare l’aiuto dato dall’Unhcr  ai  rifugiati centrafricani presenti In Ciad.

Sebbene il Ciad sia un partner essenziale dell’Onu nella lotta contro il terrorismo e l’insicurezza nel Sahel, l’Onu , a differenza di altri paesi della regione come Mali, Sudan, Libia o Repubblica Centrafricana, non ha un mandato politico o di sicurezza nel Paese e Dujarric, riferendosi alla collabi orazione con l’UA e la CEEAC, ha aggiunto: «Adesso ci stiamo concentrando sulla collaborazione con i partner africani perché è qualcosa che è soprattutto un problema regionale, un problema subregionale. Per le Nazioni Unite, ciò che sta accadendo in Ciad è una situazione in cui diversi attori nella comunità internazionale hanno ruoli diversi da svolgere. Hanno diverse leve di potere, ma l’importante è garantire la calma in Ciad e il ritorno al governo civile».