Un’Europa più Verde resiste alla neodestra. L’Italia è più nera, senza verde e rosso

Per la sinistra e i progressisti italiani la traversata del deserto è appena cominciata

[27 Maggio 2019]

L’assalto della neodestra all’Europa non è riuscito, quello all’Italia sì. Nonostante il crollo e il vistoso calo in diversi Paesi dei Partiti democristiani e socialdemocratici, le forze europeiste resistono e si rinnovano grazie alla brillante tenuta/avanzata dei liberaldemocratici e al boom dei Verdi, che però è confinato nei Paesi della ricca Europa del centro-nord e nella Gran Bretagna della Brexit, e che sfiora il Mediterraneo solo con il risultato francese. Ma per Gran Bretagna e Francia il voto europeo è totalmente anomalo (proporzionale) rispetto al maggioritario a collegi e rispecchia – pur accentuando alcune punte e nel Regno Unito la crisi verticale del Partito conservatore e il successo digli europeisti puri e duri come i liberaldemocratici e i Greens – gli effimeri risultati delle europee di 5 anni fa, che nelle elezioni politiche nazionali si trasformarono in tutt’altra cosa con il “voto utile”.

Per l’Europa meridionale e orientale il discorso è un altro: se nella penisola iberica vincono i socialisti portoghesi e spagnoli e resistono i partiti della sinistra radicale alleati con i Verdi, mentre i popolari perdono ancora a favore dei neofascisti, in Grecia l’esperienza di Syriza si ferma al 23% e rinascono il centrodestra dei Nea Democratia (33,3%) e i socialisti ex Pasok  (oggi Kinal); la buona notizia è la sconfitta dei neonazisti di Alba Dorata, fermi al 4,9 e superati dai comunisti del Kke. Ad Alexis Tsipras non è restato altro che annunciare elezioni anticipate che con tutta probabilità riconsegneranno la Grecia al partito che ha la maggiore responsabilità nella crisi finanziaria e morale che ha travolto Atene, e che Syriza ha risolto con politiche antipopolari dettate da Bruxelles (o meglio da Berlino) e dal Fondo monetario internazionale.

Ad est – ad esclusione della Slovacchia – la musica che suona è quella del passo dell’oca e del nazionalismo iperconservatore e autoritario, che ha sostituito definitivamente in meno di 30 anni il socialismo reale di epoca sovietica: trionfano o reggono ovunque i partiti sovranisti, contrastati da coalizione eterogenee o da partiti socialdemocratici indeboliti e spesso minati da una storia di corruzione. L’ondata verde si arresta e sbatte contro la ex cortina di ferro dove praticamente la sinistra – se si esclude qualche incoraggiante risultato come in Polonia – non ha cittadinanza e l’ambientalismo sembra fantascienza minoritaria.

Al di qua di quella cortina i Verdi/Grünen diventano invece il secondo partito in Germania superando il 20% e la Spd, e ottengono un grosso risultato in Austria, dove le forze della neodestra – Afd e Fpő – si fermano o hanno un forte calo.

In questo contesto l’Italia della trionfante Lega di Salvini sembra un Paese dell’est Europa, e non a caso i discorsi della vittoria dell’ungherese Orban, di Kaczyński del Pis polacco e del capo della Lega hanno inquietanti assonanze venate pesantemente di integralismo cattolico/identitario.  La Lega (ex Nord) stravince al nord, dove strappa il Piemonte a un attonito Chiamparino che era convinto di vincere seguendo la Lega sul suo campo e imbarcando in lista qualche “madamin” pro-Tav. La Lega tracima nelle Regioni ex rosse, dove solo in Toscana il Pd resta il primo partito per un pelo, è secondo Partito nel sud dei “terroni colerosi” dei bei tempi alcolici del passato e dei sacrifici pagani al Dio Po. Un sud che ha disertato le urne e che conferma il Movimento 5 Stelle come primo partito, grato e allo stesso tempo deluso da un reddito di cittadinanza che non si è rivelato la panacea di tutti i mali che Di Maio – il vero sconfitto di ieri – voleva far credere.

Le tre forze democratiche alternative al governo Ue degli ultimi anni – liberaldemocratici, Verdi e Sinistra – in Italia non raggiungono nemmeno il quorum del 4% e il risultato più “brillante” lo fa +Europa con il 3%, mentre Verdi e La Sinistra si scambiano i ruoli previsti dai sondaggi con i primi che scavalcano la seconda sul fondo della classifica elettorale (2,3% contro un misero 1,7%). Insieme sarebbero al 4%, e resta l’amaro in bocca per il un mancato accordo che avrebbe reso anche meno attraenti le sirene del voto utile che hanno portato in molti a votare il Pd (e qualcuno M5S) come unica alternativa alla destra.

E proprio il Pd può tirare un sospiro di sollievo: se è vero che si ferma al 22,8%, scavalca il M5S – che crolla al 17% – e ridiventa prima forza in quasi tutte le grandi città italiane. Sono probabilmente bastate la mite cura unitaria di Zingaretti, il ritorno all’ovile degli ex Pds e una spruzzata di verde per far dimenticare l’arrogante e autoreferenziale deriva del renzismo che si era illuso – come rischiano di fare altri oggi, in Italia e non solo – che il 40% alle elezioni europee fosse un tappeto rosso steso per governare l’Italia per 30 anni di fila, rottamando quel che restava di un’eredità storica della sinistra (unico obiettivo centrato davvero). C’era in quella presunzione già la botola nella quale era precipitato un Pd centrista portandosi paradossalmente dietro anche una sinistra-sinistra dilaniata dai settarismi e dall’incapacità di mettere in pratica buone idee nel Paese dove per decenni si sono confrontati il più grande Partito comunista e la più forte Democrazia cristiana dell’Europa occidentale.

Ma nel risultato negativo dei Verdi italiani e tragico di una Sinistra che raccoglieva i resti di Rifondazione e di quel che fu  di Liberi e Uguali c’è l’evidenza drammatica di una crisi che si sostanzia in un fatto: il partito neofascista di Fratelli d’Italia ha più voti (6,5%) delle due forze antifasciste messe insieme e – con questi risultati – insieme alla neodestra egemone della Lega potrebbe fare un governo anche senza Forza Italia, ridotta ormai all’8,8% e a uno spento simulacro senile di Berlusconi.

I Verdi italiani pagano una storia di scarsa incisività e di divisioni proprio mentre i Verdi volano nel resto d’Europa e i giovani riempiono le piazze italiane per chiedere giustizia ambientale; la Sinistra è ormai arrivata al punto di non ritorno, incapace di attrarre e di parlare a un elettorato che non la ascolta, incapace di alleanze e che ogni volta propina ai suoi sfiniti elettori, sempre più frastornati e allibiti, un nome e un simbolo nuovi e un’alleanza tra Partiti sempre più microscopici ad ogni nuova elezione.

La cosa ancora più preoccupante è che le manifestazioni antifasciste e per l’ambiente e i diritti umani e delle donne di questi ultimi mesi sono state animate e organizzate in gran parte da persone che hanno votato per i Verdi o per la Sinistra: un piccolo esercito di attivisti senza più partito e casa e che non è in grado di organizzarsi politicamente e che – paradossalmente – ha contribuito con la sua strenua resistenza alla resurrezione del Pd in funzione antifascista e anti-leghista.

Il voto ci consegna un Paese senza Sinistra e con una forza ecologista debolissima, e se i rossi e i verdi non sono riusciti ad intercettare l’altro spirito egualitario/ambientalista dei tempi che soffia in Europa insieme a quello bruno della destra identitaria ed ecoscettica è colpa solo di una classe dirigente autoreferenziale, prigioniera di consolatori gruppi su Facebook e di Twitter dove ci si racconta quanto siamo bravi e di quanto sono cattivi gli altri. Una Sinistra virtuale, senza più popolo vero, incapace di gettare il cuore oltre l’ostacolo delle divisioni e che speriamo si faccia finalmente da parte dopo l’ennesima rovinosa caduta nella polvere. Qui davvero o si riparte da zero o non si riparte per niente.

E mentre dal resto dell’Europa arrivano segnali e risultati incoraggianti, per quel che resta della sinistra e per i progressisti italiani in generale la traversata del deserto è appena cominciata. E alle spalle ci sono solo macerie e pozzi avvelenati.