Elezioni in Francia: la vittoria di Macron al primo turno in un Paese diviso tra destra e sinistra

Sia la sinistra unita sia la destra unita avrebbero battuto Macron e sarebbero andate al ballottaggio. Verso l’elezione di un presidente che non rappresenterà la maggioranza dei francesi

[11 Aprile 2022]

Al primo turno delle elezioni francesi, la neofascista Marine Le Pen, con il 23. 41% non è riuscita a superare il presidente uscente Emmanuel Macron (27,6%, dati Le Monde), ma ci sarebbe riuscita agevolmente se l’estrema destra fascista di Eric Zemmour  (7,2%) e altri partitini sovranisti ed etnicisti si fossero alleati al Rassemblemant National, infatti, messa insieme, la destra sovranista in Francia raggiunge oltre il 35%. Se poi si aggiunge quel che rimane dei gollisti arriva al 40%.

La Le Pen è però tallonata da vicinissimo da Jan Luc Melenchon della France Insoumise, che ormai si conferma come la forza predominante della sinistra francese con il 21,95% (ma Liberation lo dà addirittura al 22,2) e che alleandosi con il Partito Comunista francese (2,3%) avrebbe potuto tranquillamente arrivare al ballottaggio al posto della Le Pen. Se poi Melenchon – che non ha certo lo spirito del federatore – fosse riuscito a stringere un patto con l’estrema sinistra trotskista e operaista sarebbe arrivato a ridosso di Macron con  oltre il 25%. Ma se la sinistra più ampia – comprendente i socialisti e i Verdi – si fosse presentata unita avrebbe raggiunto il 35% e sarebbe sicuramente al ballottaggio con un candidato unitario e con forti possibilità di vittoria.

Insomma, destra e sinistra unite avrebbero battuto agevolmente La République En Marche, il Partito di centro-destra inventato da Macron, che si è mangiata un bel pezzo dei partiti storici francesi che fino al suo avvento hanno dominato la scena politica francese: Les Républicains (gollisti), precipitati al 4,8%, e il Parti Socialiste ormai estinto all’1,7% e diventato più residuale del Parti Communiste al 2,3%.  Dispiace che a certificare l’estinzione della destra e della sinistra repubblicane – che hanno espresso fino a Macron tutti i presidenti (maschi) francesi –  siano due donne: la gaullista Valérie Precresse e la sindaca socialista di Parigi Anne Hidalgo, che candidandosi (e con questo risultato) ha probabilmente messo fine a una brillante carriera politica per eccesso di ambizione.

Anche Yannick Jadot, il candidato di Europe Écologie Les Verts ha rinunciato, per bandiera e orgoglio di partito, a svolgere quel ruolo di federatore “moderato” della sinistra sparsa che ha portato i Verdi francesi alla testa di numerose grandi città francesi e al successo delle elezioni europee. Una sconfitta anche per il movimento ambientalista, anti-nucleare e pacifista che ora si trova a dover scegliere tra due candidati iper-nuclearisti e diversamente bellicisti, divisi solo da sfumature sulla grandeur militare francese, ma uniti sulla force de frappe atomica e sulla politica neocolonialista.

Le elezioni francesi sono la dimostrazione che, nemmeno in un Paese che, come la Francia, li ha storicamente nel sangue politico, il maggioritario e i doppi turni reggono più. In democrazie che hanno perso rappresentanza – e si rendono conto che è necessario trovarla –  ci si ostina a proporre vecchie ricette semplificatorie, credendo di poter “ricattare” poi un elettorato ormai post-ideologico e mutevole con argomentazioni tipo “o me o la catastrofe” o “il cambiamento sono io”.

Se al secondo turno vincerà Macron – come probabilmente c’è purtroppo da sperare – il giorno dopo avrà contro altre il 70% della Francia che non condivide, da destra e da sinistra, le sue politiche centriste neoliberiste.

Se vincerà la Le Pen  avrà contro il 65% della Francia che non condivide il suo sovranismo xenofobo e neofascista. E avrà contro anche buona parte di quelle periferie abbandonate che non è andata al voto, gli immigrati di seconda e terza generazione sui quali si abbatterà il pugno di ferro ideologico e razzista della destra francese. Avrà contro soprattutto una divisa ma agguerrita sinistra “radicale” che si è completamente affrancata dai socialisti e dai comunisti e che non ha nessun problema a scontrarsi direttamente con il Rassemblement Nationale e con i partitini reazionari e neofascisti che lo sosterranno al secondo turno. Anzi, probabilmente una parte dell’elettorato di estrema sinistra è pronta a dare il voto alla Le Pen al secondo turno per dare uno scossone al sistema politico francese, per liberarsi dell’odiatissimo Macron, e per avere di fronte un nemico “vero”, veramente di destra e non la destra liberista/europeista del Partito marketing di Macron.

Tentazioni pericolose. Perché una vittoria di Marie Le Pen al secondo turno spingerebbe, ancor di più che quella di Macron, la Francia verso uno scontro sociale acuto e sarebbe pericolosissima non solo per la tenuta dell’Unione europea (che ne verrebbe comunque sfigurata), ma anche per l’Africa dove la Francia, nonostante i suoi ripetuti e tragici errori colonialisti e post-colonialisti, ha ancora un grande peso.

Insomma, chiunque sarà il novo presidente francese sarà in minoranza, sarà una seconda scelta fatta per necessità e odio verso il suo contendente. Un rospo da ingoiare o da far ingoiare. A questo si è ridotto il maggioritario senza più rappresentanza reale, a questo si è ridotto un presidenzialismo che qualcuno vorrebbe importare anche in Italia.

Quando Macron tenterà di mettere in atto le sue politiche anti-sociali e neo-liberiste che ha promesso/minacciato in campagna elettorale si troverà contro e in piazza la maggioranza dei francesi, anche buona parte di quelli che lo avranno votato per necessità antifascista.

Quando Marine Le Pen cercherà di mettere in atto le sue politiche xenofobe ed antieuropeiste (ma diversamente neoliberiste) si troverà di fronte la maggioranza dei francesi, anche buona parte di quelli che la  avranno votata perché odiano Macron e l’élite liberista che rappresenta.

Il risultato del secondo turno probabilmente deciderà solo quale sarà il livello di scontro tra il/la nuovo/a presidente francese e il popolo francese.

Dalla terra del presidenzialismo non arriva proprio un bell’esempio di stabilità per i fans italiani del presidenzialismo. Chiunque vincerà, sarà un sovrano o una sovrana senza popolo, come Luigi XVI e Maria Antonietta, prima della Rivoluzione.