Ucraina, Russia e gas: le bugie dei lobbisti dei combustibili fossili e la vigliaccheria dei governanti

La diversificazione degli approvvigionamenti? Importiamo da Paesi in guerra o autoritari

[28 Febbraio 2022]

Nei giorni scorsi, uno dei tanti esperti che impazzano nei talkshow sulla guerra in Ucraina, ha detto più o meno che quel tragico conflitto ci insegna che la Transizione Ecologica è una minchiata e che bisogna importare più gas da Paesi più affidabili della Russia guerrafondaia e dittatoriale di Putin, come dall’Algeria e, finalmente, di nuovo dalla Libia.

Ora, l’Algeria è governata da un regime che ha vinto elezioni alle quali ha partecipato un’infima minoranza di elettori e che sono state boicottate dal resto della popolazione perché ritenute false e illegali. Un regime che ha represso duramente le proteste della numerosa minoranza berbera in Cabilia. Nel sud dell’Algeria ci sono state manifestazioni popolari contro il fraking del gas, che inquinerebbe le falde idriche, e contro il regime.  L’Algeria ha rotto le relazioni diplomatiche con il Marocco e appoggia la Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi (il Sahara Occidentale) riconosciuta da Onu e Unione Africana, che lotta per la fine dell’invasione da parte del Marocco che dura dal 1976! Una guerra di occupazione per le risorse (fosfati, petrolio, gas e pesce), con tanto di muro nel deserto per tener lontano la guerriglia saharawi, uguale a quella scatenata da Putin in Ucraina sulla quale Italia e Occidente tacciono. Il sud saheliano dell’Algeria è uno dei covi delle milizie Jihadiste che destabilizzano Mauritania, Mali, Niger e Libia e che vogliono mettere le mani sui giacimenti di petrolio, gas e uranio.

Sarebbe questa la situazione affidabile?

Invece. definire affidabile la situazione libica è indecente: la Libia è in guerra civile dal 2011, dopo l’intervento militare NATO (e italiano, eh sì…) in un Paese sovrano che però aveva un dittatore amico di Berlusconi ma che non piaceva più alla Francia, agli Usa e al Regno Unito. Le elezioni “risolutive” che dovevano esserci a dicembre sono miseramente fallite, non si sono tenute a causa della crescente tensione tra le parti. Attualmente in Libia ci sono due governi appoggiati da milizie e tribù che contrabbandano gas e petrolio ed esseri umani. L’ENI continua ad operare in Libia solo grazie a gabelle pagate a tribù e tagliagole vari e milizie jihadiste che le usano per armarsi ancora di più.

Sarebbe questo il Paese sicuro dove prendere il gas?

Un altro Paese sicuro sarebbe l’Egitto di Al Sisi, un regime fascista che ha assassinato Regeni e imprigionato Zaki e che partecipa sia alla guerra libica che a quella yemenita e che potrebbe fare la guerra con l’Etiopia per la Diga del Rinascimento Etiope che Addis Abeba ha costruito sul Nilo. Una dittatura militare che è arrivata al potere con un colpo di stato e trucidando migliaia di civili ma con la quale abbiamo stretto accordi per lo sfruttamento di giacimenti di gas nel  Mediterraneo,

Nei telegiornali a raffica, tra un carrarmato distrutto e un palazzo centrato da un missile, giornalisti, “esperti” e addirittura ambasciatori fanno a gara a recitare il mantra “menomale che il TAP c’è”, indicato come esempio sicuro della diversificazione delle fonti (fossili) per il nostro Paese. Peccato che la Trans Adriatic Pipeline ci porti in Puglia il gas proveniente dal giacimento di Shah Deniz II, in Azerbaijan, collegandosi al Trans Anatolian Pipeline (TANAP) alla frontiera greco-turca, e che l’Azerbaigian e la Turchia abbiano combattuto insieme, solo poche settimane fa una sanguinosa guerra contro l’Armenia con le stesse motivazioni che Putin ha utilizzato per invadere l’Ucraina: riprendersi il Nagorno Karabah, abitato in gran parte da armeni ma che l’Azerbaigian considera suo territorio storico. Una guerra che è finita solo con l’arrivo di truppe “di pace” russe.

Peccato che il gas azero “diversificato” del TAP passi attraverso la Turchia, Paese NATO, schieratosi per l’intangibilità delle frontiere ucraine, ma che ha da anni occupato con i suoi carrarmati e i suoi soldati il territorio Siriano, dove ha costituito uno staterello Jihadista. Peccato che la Turchia che invoca la pace in Ucraina bombardi quasi quotidianamente da terra e dal cielo i kurdi del Rojava. Peccato che la Turchia violi costantemente i confini dell’Iraq per bombardare e dare la caccia ai Kurdi del PKK.

Contro l’invasione dell’Ucraina e per l’autodeterminazione dei popoli si è pronunciato anche Israele (poi ha subito bombardato la Siria per non perdere l’abitudine). Israele occupa la Palestina e il Golan siriano da decenni e minaccia la guerra contro l’Iran colpevole di volersi dotare del nucleare civile e accusato di volersi fare la bomba nucleare. Israele ha centrali nucleari e tra 100 e 200 ordigni nucleari in violazione dei trattati internazionali. Israele potrebbe essere il prossimo Paese dove l’Italia potrebbe diversificare i suoi acquisti di gas, visto che al largo delle sue coste sono stati scoperti grandi giacimenti di idrocarburi. Prima però bisognerà che si sbrogli l’intricata matassa dei confini marittimi delle Zone economiche esclusive nel Mediterraneo orientale, che vede l’uno contro l’altro armati Israele, Libano, Turchia, Grecia, Cipro, Egitto, Libia e Siria. Tutti Paesi che si sono già fatti guerra fra di loro.

Intanto, mentre giustamente siamo preoccupati di trovare alternative al gas russo del despota Putin e leviamo dalle maglie dei calciatori la sponsorizzazione di Gasprom, continuiamo a importare gas dalle monarchie assolute del Golfo (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e i loro alleati sunniti) che stanno facendo da 7 anni una guerra di invasione nello Yemen e che hanno finanziato e continuano a finanziare i Jihadisti islamisti in Siria e Libia e che sono gli ispiratori dello Stato Islamico/Daesh.

Molti di questi Paesi vogliono (e la Libia voleva) dotarsi o sono già dotati di centrali nucleari (gli Emirati Arabi Uniti ne stanno costruendo una) e di armi nucleari. E i nostri calciatori esibiscono tranquillamente pubblicità di imprese di quei Paesi e nostri ex premier ne sono ben pagati consulenti. Intanto mentre giustamente l’UEFA annulla la finale di Champions League a Sanpietroburgo, la FIFA si avvia allegramente a disputare i campionati mondiali di calcio in Qatar, una dittatura petrolifera che foraggia le guerre in Siria e Libia e che ha costruito i suoi avveniristici stadi nel deserto grazie allo sfruttamento disumano di decine di migliaia di immigrati senza diritti.

Il gas, il petrolio, il nucleare e il carbone non sono la soluzione al problema energetico, sono il problema energetico, sono le levatrici di quasi tutte le guerre che si combattono in giro per il mondo (e sono molte).  La lobby fossile sta approfittando della guerra in Ucraina per uscire dall’angolo e interrompere la lotta al cambiamento climatico, all’inquinamento e uno sviluppo economico diverso da quello che provoca crisi e guerre.

Se vogliamo la pace, se vogliamo sbarazzarci di autocrati, dittatori e guerrafondai, se vogliamo davvero che nessuno popolo soffra più come sta facendo il popolo ucraino, bisogna uscire dalle energie fossili e dalla politica e geopolitica fossili, non buttarcisi nuovamente dentro a capofitto. Quello che ci propongono in televisione e in Parlamento è un suicidio.

Ce lo dice oggi ancora una volta il nuovo rapporto dell’IPCC sul cambiamento climatico e lo ribadisce con parole durissime il segretario generale dell’Onu Guterres, ma lobbisti fossili e governanti vigliacchi faranno ancora una volta finta di non sentire e ci racconteranno un mare di bugie, come fa chi è in guerra con il mondo e la natura.

La giustizia per i popoli può essere solo ottenuta con la giustizia climatica.