Ucraina: la rivoluzione che non c’è. Chi si ricorda di Piazza Maidan?

La crisi politica devastante di un Paese più povero e diviso , che teme una nuova rivolta

[24 Febbraio 2016]

Il (nuovo) fallimento della rivoluzione liberal-democratica in Ucraina è stato decretato da un articolo del Financial Times intitolato “Ukraine’s oligarchic counter-revolution” e si tratta di un insuccesso politico così grande da far scrivere alla stampa britannica che prima o poi l’Ucraina si libererà dei suoi nuovi padroni con un’altra rivolta sanguinosa. D’altronde era difficile pensare che un governo nato sulla spinta di una rivoluzione “europea”, alla quale hanno partecipato forze dichiaratamente neofasciste,  potesse avere come sbocco una vera democrazia.

Tutto sta precipitando dopo la farsa assurda che è andata in scena alla Rada suprema, il Parlamento di Kiev, dove un governo sfiduciato è rimasto in piedi appoggiandosi agli oligarchi che aveva giurato di eliminare. Il partito “riformista”  Samopomitch ha abbandonato una maggioranza di destra ormai odiata dagli ucraini che si sentono traditi anche dall’Unione europea e dal presidente Piotr Porošenko, che aveva promesso riforme, libertà e benessere e che sta sprofondando il Paese nel solito intrigo e nella corruzione.

Due anni dopo la sanguinosa rivolta di Piazza Maïdan che costrinse alle dimissioni il governo filorusso, nessuno a Kiev parla più di rivoluzione e sembra di essere ritornati al 2006 – 2007, quando i politici filo-occidentali si massacravano tra loro per il potere, gli oligarchi si spartivano il bottino e la pasionaria “arancione” Julija Tymošenko voleva diventare presidente della repubblica. Ora la ex premier dell’Ucraina, che in Occidente viene presentata come una martire della democrazia e che in realtà fa parte dell’oligarchia che ha dissanguato l’Ucraina, protesta contro la “sterilizzazione” della Duma da parte di Porošenko e lo accusa di «tradire il Paese». Porošenko che, insieme ai deputati del suo partito, il Blok Petra Poroshenka “Solydarnist”, il 16 febbraio aveva chiesto al il premier neo-liberista Arsenij Jacenjuk di presentare le sue dimissioni, sembra averci ripensato. La Tymošenko, a capo dell’Unione pan-ucraina  Batkivchtchina (Patria) che ha lasciato la maggioranza di governo insieme a Samopomitch, ha chiesto che il presidente della repubblica e al presidente della Rada Vladimir Groisman di convocare una riunione straordinaria della  Rada Suprema per discutere della farsa delle tre settimane di vacanze dei parlamentari decretate da Porošenko per evitare che si voti la sfiducia contro Jacenjuk, accusato di corruzione e che ormai non dispone di una maggioranza in Parlamento.

La coalizione Ucraina Europea, che aveva vinto le elezioni nel novembre 2014,  non esiste più:  dispone di 217 parlamentari, 9 in meno della maggioranza della Rada,  e la Tymošenko punta ad elezioni anticipate, sperando che un Paese stremato dalla guerra (persa) contro il ribelli filo-russi del Donbass e da una crisi economica devastante si getti per disperazione tra le sue braccia. Secondo la ex premier la crisi di governo di fatto è già cominciata e resta meno di un mese per formare un nuovo governo o sciogliere la Rada e indire le elezioni, come prevede la nuova Costituzione ucraina voluta e votata dagli stessi che oggi tentano di non applicarla.

Due rivoluzioni e centinaia di persone uccise non sono servite a nulla: l’Ucraina è ancora nelle mani dei soliti cleptocrati e degli oligarchi che si oppongono ad ogni cambiamento e si arricchiscono grazie a transazioni poco trasparenti, appalti pubblici, alla guerra e ai rapporti amichevoli con europei e americani, che hanno sostituito i vecchi compagni russi. In una situazione del genere, con l’estrema destra che soffia sul fuoco, le forze democratiche deboli e screditate, i Partiti filo-russi che sognano una rivincita e il mercato nero delle armi che è diventato enorme, il rischio di un nuovo e ancor più sanguinoso sollevamento “popolare” è altissimo e la nuova Maidan potrebbe non essere filo-europea, ma pienamente  reazionarie e antirussa.

Anche il giornale austriaco Die Presse accusa l’ex pupillo di Bruxelles, il premier Jacenjuk, di  essersi salvato grazie all’intesa con gli oligarchi e parla di regressione politica in Ucraina e aggiunge: «Evidentemente, l’Ucraina sarà obbligata a scegliere tra la peste e il colera. E’ difficile dire quale sia la soluzione più distruttiva: cioè gli attuali accordi tra uomini politici che hanno perduto la loro autorità da molto tempo o nuove elezioni che paralizzeranno il Paese per diversi mesi e congeleranno gli aiuti finanziari». Ma va anche detto che i milioni di euro dati dagli occidentali all’Ucraina sono finiti nel pozzo senza fondo del debito e nelle ancora più profonde tasche degli oligarchi che si stanno vendendo a pezzi l’Ucraina e le sue risorse agricole e le possibili aree per estrarre gas con il fracking.  Il magazine statunitense Foreign Policy scrive che gli oligarchi hanno ottenuto la più grande vittoria dopo EuroMaïdan e che «Hanno dimostrato di essere la maggiore forza politica dell’Ucraina».

Anche per Fabrice Béaur, che dirige l’Eurasian Observatory for Democracy & Elections. Si tratta solo di un problema di rapporti di forza tra gli oligarchi ucraini, ma non è affatto d’accordo con la Tymošenko: «Porošenko è un oligarca, Jacenjuk è il rappresentante di alcuni altri oligarchi. Visto che la maggior parte degli oligarchi sono con lui, evidentemente si sente forte. Può parlare così perché ha vinto la partita almeno per 6 mesi. Per il momento non può essere rinnovata questa mozione di sfiducia. Secondo me, l’appello alle dimissioni di  Jacenjuk fatto da Porošenko  non è sincero. E’ solo una relazione dei rapporti di forza tra oligarchi che si sbranano, si battono, si alleano tra loro per accaparrarsi quella o l’altra parte dell’economia che non è stata ancora privatizzata».

Jacenjuk si è detto convinto che l’attuale devastante crisi politica, provocata in gran parte da lui stesso, sia «Un passo verso una via nuova» e, dopo aver detto che non darà le dimissioni ha definito irresponsabili i suoi ex alleati con i quali aveva giurato che avrebbe portato l’Ucraina in Europa e nella Nato. Ma i sondaggi dicono che gli Ucraini non vogliono più sentir parlare né di lui né del suo governo di destra. Come sottolinea Béaur in un’intervista concessa alla giornalista e storica russa Victoria Issaieva, «L’attuale équipe governativa subisce defezioni su defezioni, è ultra-impopolare. Se ho capito bene, l’istituto di sondaggi ucraino ha detto che Jacenjuk è sostenuto dall’8% della popolazione.  Quindi tutti i partiti politici ritirano la squadra dall’attuale governo». Un’impopolarità che riguarda anche Porošenko, ma presidente e premier continuano a restare al timone di un’Ucraina che somiglia ad una nave che affonda, anche perché Porošenko è ora 7 volte più ricco di quanto lo era già prima di essere eletto presidente.

Parlando del fallimento della destra ucraina lo scrittore Paul-Marie Coûteaux, un ex socialista che ha fondato il partitino identitario Souveraineté, identité et libertés alleato del Front National, dice che le ragioni vanno cercate fuori dall’Ucraina: «Il suo livello di popolarità è molto basso, la sua legittimità popolare è molto debole. Nel caso in cui il potere è molto poco legittimato, perché lo stesso Paese è  diviso, ci sarà sempre un potere illegittimo. Questo potere sarà nelle mani degli stranieri, sarà senza autonomia di azione. Dato la situazione interna piuttosto schizofrenica dell’Ucraina, ogni potere a Kiev sarà debole, soprattutto se vuole puntare contro la Russia, che è il suo interlocutore naturale. Ci sono rapporti di forza oscuri, non detti, che spiegano il comportamento a volte irrazionale di qualche protagonista».

Anche se l’amore per la Russia putiniana della destra identitaria e neofascista francese è noto, forse Coûteaux farebbe bene a chiedersi come mai la rivoluzione identitaria di Maidan della destra ucraina sia annegata nel sangue di una guerra civile, perché quella destra abbia votato un governo con  ministri stranieri imposti da americani e tedeschi  e soprattutto perché sia finita in bocca agli oligarchi, che sembrano aver già digerito sia i liberisti filo-europei che i neofascisti che marciavano armati al passo dell’oca.