Risorse che potrebbero essere destinate alla costituzione di un fondo per lo sviluppo green e per le bonifiche dei territori inquinati

Sussidi alle fonti fossili: 18,8 miliardi di euro nel 2018. Nonostante l’emergenza climatica in atto, l’Italia non cambia rotta

Rendite e privilegi a favore di chi estrae petrolio e gas e 474 milioni di euro di mancate entrate nelle casse pubbliche

[20 Dicembre 2019]

Nonostante le promesse e i solenni impegni presi da governi di ogni colore negli ulti anni nei consessi internazionali, daldossier ”Tutti i sussidi alle trivellazioni” pubblicato oggi da Legambiente arriva la conferma che «In Italia la cancellazione dei sussidi alle fonti fossili è ancora un’utopia. Nonostante l’emergenza climatica in atto, si continua ad investire su questi fonti inquinanti, responsabili dell’effetto serra, agevolando attraverso un sistema di royalties inadeguato canoni troppo bassi rispetto a quelli europei e prevedendo anche la possibilità di dedurre le royalties dall’imponibile regionale (fino a un massimo del 3%). Il tutto accompagnato da piccoli passi in avanti, ma del tutto insufficienti per affrontare la decarbonizzazione in una fase di emergenza».

A guadagnarci lautamente sono le compagnie che estraggono gas e petrolio: 18,8 i miliardi di euro  nel solo 2018, tra sussidi diretti e indiretti, a danno dell’ambiente, e una ingente perdita per le casse dello Stato. Legambiente ha calcolato che «Il pacchetto di rendite e privilegi destinati alle compagnie che trivellano mari e territori della Penisola, si traducono in 474 milioni di euro di mancate entrate per lo Stato, Regioni e Comuni. Risorse che potrebbero essere destinate alla bonifica dei territori inquinati dai siti di estrazione e di produzione da fonti fossili e allo sviluppo di un nuovo, efficiente e democratico sistema energetico basato sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, competitive e vera ricchezza del Paese, sull’efficienza energetica e su una nuova mobilità a zero emissioni».

Ecco i numeri delle trivellazioni in Italia: 

nel nostro Paese le 18 aziende che producono idrocarburi sono in grado di soddisfare un percentuale davvero povera dei consumi interni lordi Italia. Parliamo di un contributo rispetto ai consumi interni lordi italiani pari a 2,6% per il gas e al 2,4% per il petrolio. Un bottino assai magro, ma che grazie ad un sistema di royalties e detrazioni regionali inadeguato, trasforma un Paese con pochi giacimenti in un ricco Texas petrolifero. Tra le aziende protagoniste in Italia in tema di estrazioni, quella che svolge il ruolo principale è ENI, l’Azienda di Stato, non solo per produzioni, ma anche per numero di pozzi (437 pozzi eroganti, il 57,5% di quelli in uso nel 2018) e per gettito di royalties. Ma anche in termini di vantaggi ottenuti dal sistema di royalties, 47 milioni di euro solo di esenzioni circa l’anno fino ad oggi.

Per quanto riguarda il portafoglio dei titoli minerari, al 30 settembre 2019, in Italia, sono 270 i titoli minerari per la ricerca e coltivazione di idrocarburi, estesi complessivamente, tra mare e terra, per oltre 42 mila kmq, un’estensione pari a circa due volte la Regione Toscana. Attività che coinvolgono, tra permessi di ricerca ed estrazioni, ben 15 regioni italiane, le più interessate l’Emilia Romagna con 5.378,95 kmq e la Regione Basilicata, con 5.241,23 kmq. Seguite dalla Sicilia con 4.358,53 kmq e dall’Abruzzo con 1.852,50 kmq. I titoli minerari marini, invece, riguardano il Mar Adriatico, dall’Emilia Romagna alla Puglia, il Mar Ionio e il Mar di Sicilia, coinvolgendo un’area di oltre 18.657 kmq, pari alla regione veneto.

Dai titoli minerari soggetti a concessione di coltivazione, pari a 16.588 kmq, nel 2018 sono stati estratti, attraverso i pozzi eroganti ed attivi, 5,55 miliardi di smc di gas fossile, di cui 3,38 miliardi da titoli minerari marini. A questi si aggiungono i 4,67 miliardi di kg di olio greggio, di cui 4,13 miliardi da estrazioni su terra ferma e i 10,8 milioni di kg di gasolina. Un bottino decisamente magro, se consideriamo che il gas nostrano, tra mare e terra, ha coperto, nel 2018, solo il 7,49% del consumo di gas complessivo italiano e solo il 2,6% del consumo interno lordo. Non differiscono molto le percentuali che coinvolgono il petrolio prodotto nei territori e nei mari italiani; questo infatti contribuisce con il 7,16% dei consumi complessivi di petrolio e con il 2,46% sul consumo interno lordo italiano.

Sussidi: Sul fronte dei sussidi, sono quattro le criticità. La maggiore riguarda le royalties, pari al 10% per le estrazioni in terra ferma e del 7% per quelle in mare. Negli altri Paesi Europei, dove generalmente le royalties sono associate alla quantità di idrocarburi estratti, possono arrivare fino al 22% come nel caso dell’Austria, al 25% come in Bulgaria, al 30% come in Ungheria o al 40% come in Irlanda. Oppure si prevedono sistemi diversi di tassazione come accade in Norvegia con la Speciale Tassa sul Petrolio che vale il 54% della produzione. Per questo Legambiente propone di portarle almeno al 20% non solo per spingere gli obiettivi di decarbonizzazione, ma anche per valorizzare le risorse estratte nei nostri mari e nei nostri territori. In questo modo, nel 2019 in base alla produzione del 2018, ci saremmo ritrovati invece che con un gettito di 188,1 milioni di euro circa, con uno da 442 milioni.

La seconda criticità riguarda la deducibilità delle royalties. Malgrado le royalties siano così basse e convenienti, le compagnie petrolifere hanno anche la possibilità̀ di dedurle dall’imponibile, fino ad un massimo del 3%, riducendo così quanto arriva complessivamente nelle casse pubbliche. Un tema, questo, incomprensibile e sul quale è difficile trovare dati e numeri trasparenti. L’unica informazione, infatti, rintracciabile sono i 340 mila euro del 2015 e nel 2014, per la sola Sicilia, una riduzione complessiva del gettito del 29,5% rispetto all’anno precedente, nonostante un aumento delle estrazioni. Su questo tema, Legambiente chiede al Governo, l’eliminazione di questo vantaggio, tutto a sfavore delle Regioni e dei territori interessati, e di fare chiarezza su numeri e dati. Secondo le stime dell’associazione ambientalista mancano all’appello 5,86 milioni di euro di risorse per le Regioni e i Comuni coinvolti nelle estrazioni.

Altra questione non del tutto risolta, anche se passasse la nuova proposta inserita nella Legge di Bilancio, è quella legata alle esenzioni del pagamento delle royalties, che come mette in evidenza il rapporto di Legambiente riguarda ancora una percentuale significativa di gas, pari al 13% circa di quello estratto tra mare e terraferma. Consegnando ancora una volta parte dei vantaggi economici a grandi aziende come Eni ed Edison. Infine c’è la questione dei canoni. Anche se il precedente Esecutivo a firma Lega-5 Stelle ha provveduto nel Decreto Semplificazioni, ad aumentarli di 25 volte, resta il fatto che se paragonati a quelli degli altri Paesi rimangono ridicoli. Per questo l’associazione ambientalista chiede di aggiornare i canoni con cifre più̀ adeguate, seguendo ad esempio quelli degli altri Paesi europei come accade in Danimarca dove i permessi di ricerca si pagano 3.300 euro a kmq o in Norvegia dove, invece, il costo è di 8.150 euro l’anno per kmq per la ricerca e di 13.620 euro per la coltivazione.

Il dossier del Cigno Verde arriva alla vigilia della presentazione alla Camere della Legge di Bilancio e nel giorno in cui i giovani tornano in piazza per scioperare per il clima, delusi dall’esito della COP25 di Madrid, chiedendo ancora una volta azioni concrete che, però, tardano ad arrivare.

Legambiente dice che il suo report dimostra come «l’Italia continui a preferire le fonti fossili ad un nuovo sistema energetico basato su prosumer, autoproduzione, reti smart e comunità energetiche e soprattutto, come ai tanti annunci fatti dalla politica e dal Governo Conte, non siano seguite azioni concrete per cancellare i sussidi alle fonti fossili, uno dei cavalli di battaglia del Movimento 5stelle in campagna elettorale. La manovra finanziaria, che approderà sabato alla Camera, ne è una prova tangibile visto che dal testo iniziale è scomparso il totale taglio alle esenzioni dal pagamento delle royalties, sostituito con esenzioni a partire dal 2020 di cui beneficeranno le soli concessioni gas con una produzione annuale fino a 10 milioni di smc (metri cubi sterili) per quello estratto in mare e 30 milioni di smc per quello estratto su terra ferma. Pari rispettivamente all’1,4% del totale estratto per le prime e al 12,7% del totale estratto su terra ferma per le seconde. E per il settore petrolio la limitazione delle esenzioni varrebbe per soli tre anni. A questa si aggiungono la timida misura arrivata dall’Esecutivo che riguardano l’introduzione del pagamento dell’Imu per le sole piattaforme petrolifere marine – prevista nel decreto fiscale ed effettiva dal 2020 – e per le quali è stata stabilita una aliquota, ad hoc, pari al 10,6 per mille e il cui gettito sarà ripartito tra Stato e Comuni, per un’entrata stimata in appena 6 milioni di euro l’anno. E il lieve innalzamento del costo dei canoni inserito nel Decreto Semplificazioni».

Per questo Legambiente ha presentato oggi anche le sue proposte al governo per l’eliminazione definitiva dei sussidi alle trivellazioni e per puntare finalmente dritti verso gli obiettivi climatici e di decarbonizzazione: eliminare, da subito, tutti i vantaggi economici al settore oil & gas. Tra le azioni da intraprendere, in particolare gli ambientalisti citano: «l’adeguamento delle royalties petrolifere almeno al 20%, l’eliminazione di tutte le esenzioni al pagamento delle royalties per le grandi aziende del settore, che come dimostrano i numeri del Rapporto di Legambiente, continuerebbero ad avere notevoli vantaggi al di là delle proposte della Legge di Bilancio. L’eliminazione delle detrazioni regionali sulle royalties, che finiscono solo per ridurre le entrate per i territori a tutto vantaggio delle aziende».

Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente, conclude: «Dall’allarme dell’Onu-Ipcc, lanciato in Corea del Sud a fine 2018, in cui venivano dichiarati 12 anni di tempo per cambiare rotta in termini di emissioni climalteranti, è passato ormai più di un anno, e nulla sembra essere cambiato in termini di azioni concrete per invertire la tendenza. Il Piano Energie e Clima integrato che verrà presentato a fine anno dimostrerà in modo concreto e univoco, se davvero il Governo sia pronto a scommettere su un nuovo sviluppo sostenibile e dare finalmente a questo Paese gli strumenti per ridurre le emissioni climalteranti in tutti i settori produttivi, con l’obiettivo di decarbonizzazione al 2040. Siamo convinti che non vi è nessuna ragione ambientale, sociale o economica per non intervenire in tema di sussidi. Per questo la proposta che facciamo è quella di intervenire subito, eliminando tutti i sussidi diretti alle estrazioni che rendono tali attività economicamente vantaggiose, e laddove necessario sviluppando politiche di sostegno alla riconversione delle aziende».