Se tenete all’ambiente, spegnete la videocamera durante le riunioni virtuali

Un nuovo studio stima le impronte di carbonio, acqua e suolo per ciascuna ora di dati trascorsa nelle app Internet più diffuse

[25 Gennaio 2021]

Secondo il nuovo studio “The overlooked environmental footprint of increasing Internet use”, pubblicato su Resources, Conservation & Recycling da un gteam di ricercatori statunitensi e britannici, nonostante il calo record delle emissioni globali di carbonio nel 2020,  il passaggio al lavoro a distanza e a un maggiore intrattenimento domestico causato dalla pandemia  di Covid-Rappresenta ancora un impatto ambientale significativo a causa del modo in cui i dati di Internet vengono archiviati e trasferiti in tutto il mondo».

I ricercatori ricordano che «Solo un’ora di videoconferenza o streaming, ad esempio, emette 150 – 1.000 grammi di anidride carbonica (un gallone di benzina bruciato da un’auto ne emette circa 8.887 grammi), richiede 2-12 litri di acqua e richiede una superficie terrestre che somma a circa le dimensioni di un iPad Mini. Ma lasciare la fotocamera spenta durante una chiamata web può ridurre queste impronte del 96%. Anche lo streaming di contenuti in definizione standard piuttosto che in alta definizione durante l’utilizzo di app come Netflix o Hulu potrebbe anche portare a una riduzione dell’86%».

Lo studio, condotto dai ricercatori della Purdue University, della Yale University, del Massachusetts Institute of Technology e dell’Imperial College London, è il primo ad analizzare, oltre alle impronte di carbonio, le impronte sull’acqua e il suolo legate alle infrastrutture Internet.

Uno degli autori dello studio, Roshanak “Roshi” Nateghi  della School of industrial engineering della  Purdue University, che lavora a  scoprire gap e ipotesi nella ricerca energetica che hanno portato a sottovalutare gli effetti del cambiamento climatico, spiega che «Se ti concentri solo su un tipo di impronta, ne perdi altre che possono fornire uno sguardo più olistico all’impatto ambientale».

Da marzo 2020 in poi, alcuni Paesi hanno segnalato un aumento di almeno il 20% del traffico Internet e, se il trend continuerà fino alla fine del 2021, secondo lostudio, «Da solo, questo aumento dell’utilizzo di Internet richiederebbe una foresta di circa 71.600 miglia quadrate – il doppio della superficie terrestre dell’Indiana – per sequestrare il carbonio emesso». L’acqua in più necessaria per l’elaborazione e la trasmissione dei dati sarebbe sufficiente per riempire più di 300.000 piscine olimpioniche, mentre l’impronta sul suolo sarebbe  uguale più o meno alle dimensioni di Los Angeles.

Il team ha stimato le impronte di carbonio, acqua e suolo associate a ogni gigabyte di dati utilizzati su YouTube, Zoom, Facebook, Instagram, Twitter, TikTok e altre 12 piattaforme, nonché nei giochi online e nella varie navigazione web varie e, «Come previsto, maggiore è il numero di video utilizzati in un’applicazione, maggiori saranno le impronte. Poiché l’elaborazione dei dati utilizza molta elettricità e qualsiasi produzione di elettricità ha impronte di carbonio, acqua e suolo, la riduzione del download dei dati riduce i danni ambientali».

Il capo del team di ricerca, Kaveh Madani, del Whitney and Betty MacMillan Center for International and Area Studies della  Yale University e del Centre for Environmental Policy dell’Imperial College London, aggiunge: «I sistemi bancari parlano dell’impatto ambientale positivo dell’abbandono della carta, ma nessuno parla del  vantaggio di spegnere la videocamera o ridurre la qualità dello streaming. Quindi, senza il nostro  consenso, queste piattaforme stanno aumentando il nostro impatto ambientale. L’impronta di carbonio di Internet era già aumentata prima dei  lockdowns  per il Covid-19 e rappresenta circa il 3,7% delle emissioni globali di gas serra, ma l’impronta idrica e sui suoli dell’infrastruttura di Internet è stata ampiamente trascurata negli studi su come l’utilizzo di Internet influisce sull’ambiente».

Madani ha collaborato con il team di ricerca di Nateghi per indagare su queste impronte antropiche potrebbero essere influenzate dall’aumento del traffico Internet, scoprendo che  «Le impronte variano non solo in base alla piattaforma web, ma anche in base al Paese». Il team ha raccolto dati su Brasile, Cina, Francia, Germania, India, Iran, Giappone, Messico, Pakistan, Russia, Sudafrica, Regno Unito e Usa, scoprendo che «L’elaborazione e la trasmissione di dati Internet negli Stati Uniti ha un’impronta di carbonio superiore del 9% rispetto alla media mondiale, ma l’impronta su acqua e suolo è inferiore rispettivamente del 45% e del 58%».

In alcuni Paesi l’inserimento dell’impronta idrica e terrestre dell’infrastruttura Internet ha rivelato un quadro sorprendente: «Anche se la Germania, leader mondiale delle energie rinnovabili, ha un’impronta di carbonio ben al di sotto della media mondiale, la sua impronta su acqua e suoplo è molto più alta. L’impronta terrestre della produzione energetica del Paese, ad esempio, è del 204% superiore alla media».

Renee Obringer, Benjamin Rachunok e Debora Maia-Silva, della Purdue University, hanno eseguito i calcoli e l’analisi dei dati in collaborazione con Maryam Arbabzadeh, una ricercatrice del MIT. Le loro stime si basano su dati pubblicamente disponibili per ciascuna piattaforma e Paese, i modelli sviluppati dal team di ricerca di Madani e i valori noti del consumo energetico per gigabyte di utilizzo di Internet su linea fissa.

I ricercatori avvertono che «Le stime sono approssimative, poiché sono valide solo come dati messi a disposizione dai fornitori di servizi e da terze parti». Ma il team ritiene che «Le stime aiutino ancora a documentare una tendenza e portare a una comprensione più completa delle impronte ambientali associate all’uso di Internet».

Nateghi conclude: «Queste sono le migliori stime dei dati disponibili. Alla luce di questi aumenti segnalati, ora c’è la speranza che una maggiore trasparenza guidi la politica».