Italia Nostra per il referendum del 17 aprile: vantaggi economici irrisori per la comunità

Petrolio, in Italia le royalty più basse d’Europa: 402 milioni di euro, gli utili sono 7 miliardi

Legambiente: «Nessuno dice con chiarezza che il quesito referendario ha l’obiettivo di cancellare un vero e proprio condono fatto con la modifica normativa voluta dal governo Renzi a dicembre 2015»

[23 Marzo 2016]

Dopo aver aderito al Comitato nazionale delle associazioni “Vota SÌ per fermare le trivelle”, anche Italia Nostra si mobilita in vista del referendum sul rinnovo delle concessioni estrattive del prossimo 17 aprile, presentando un utile compendio sullo stato dell’arte e le prospettive messe in gioco dalla tornata referendaria.

Ad oggi, ricorda l’associazione ambientalista, in Italia «sono vigenti 83 permessi di ricerca per idrocarburi sulla terraferma (Basilicata, Campania, Calabria, Puglia, Molise, Abruzzo, Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Friuli) e 24 permessi nel sottofondo marino. Le concessioni su terraferma sono 119 e quelle in mare 72, mentre le nuove istanze presentate per permessi di ricerca sono 57 in terraferma e 36 in mare. Attualmente la superficie in cui è concessa attività di coltivazione degli idrocarburi in zone marine rappresenta circa il 25% della superficie totale della piattaforma continentale italiana (139.656 kmq). Una delle aree maggiormente interessate dalla ricerca e dalla coltivazione è il mar Adriatico, un “mare chiuso” dall’ecosistema estremamente fragile, già messo a dura prova con 78 concessioni attive per l’estrazione di gas e petrolio, 17 permessi di ricerca già rilasciati nell’area italiana e 29 in fase di rilascio in quella croata, a cui si aggiungono 24 richieste avanzate per il tratto italiano, per un’area complessiva di circa 55.595 kmq».

Tutto questo in cambio di cosa? Dal punto di vista energetico, i giacimenti italiani «rappresentano quantità infinitesimali delle riserve mondiali e sono di breve durata se è vero, come scrive il ministero dello Sviluppo economico, che le nostre riserve di idrocarburi ammontano a 130 milioni di tonnellate, di cui solo il 30%, circa 40 milioni, definite “certe” (il 50% sono “probabili”, il 20% “possibili”), destinate quindi ad esaurirsi in poco tempo al ritmo di 6 milioni di tonnellate di petrolio e 5 di gas estratti all’anno (dato 2015)».

Peggio ancora per quanto riguarda i vantaggi economici, irrisori per la comunità. «Le royalties pagate dai petrolieri sono le più basse d’Europa: 402 milioni di euro a fronte di utili da attività estrattiva pari a 7 miliardi nel 2014 (7% e 4% sul valore di vendita rispettivamente di petrolio e di gas estratti in mare, 10% per i prodotti estratti sulla terraferma), mentre i territori interessati dai pozzi si spopolano e si impoveriscono, come testimonia il caso della Basilicata, dove si estrae l’80% del petrolio nazionale: il “Texas italiano” è infatti la regione con il Pil più basso d’Italia (-6,1%), con le royalties petrolifere più basse del mondo (139 milioni di euro nel 2011) e soli 143 residenti impiegati nel settore estrattivo a fronte di 576mila abitanti. Qui l’oro nero entra in competizione con il cosiddetto “oro bianco”: le trivellazioni mettono infatti a rischio le riserve idriche strategiche per il territorio».

Ma c’è di più. Come spiega bene su La nuova ecologia Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente, oltre alle royalty irrisorie – pari al 10% per la terraferma e il 7% per quelle in mare – la normativa italiana «prevede per il petrolio che le prime 20mila tonnellate estratte in terraferma e le prime 50mila tonnellate estratte in mare siano esenti dal pagamento di aliquote. Stesso discorso vale per i primi 25milioni di Smc di gas estratti in terra e i primi 80milioni estratti in mare. Addirittura gratis le produzioni in regime di permesso di ricerca».

In tutto questo assurdo pacchetto normativo, cosa andrebbe concretamente a intaccare il referendum del 17 aprile? «Nessuno dice con chiarezza – conclude Eroe – che il quesito referendario ha l’obiettivo di cancellare un vero e proprio condono fatto con la modifica normativa voluta dal governo Renzi a dicembre 2015, che consente alle società petrolifere, che hanno titoli abilitativi entro le dodici miglia marine, di continuare a ricercare ed estrarre idrocarburi (gas e/o petrolio) a tempo indeterminato. Prima di questa modifica le regole erano ben diverse e tutte le concessioni avevano una scadenza concordata all’atto della firma. Come d’altra parte dispone la norma ogni qual volta che si dà in uso, ad una società privata, un bene di proprietà dello stato, che si tratti di idrocarburi, acqua, spiagge o suolo. E come si prevede nel caso delle piattaforme petrolifere e dei permessi di ricerca oltre le dodici miglia marine o sulla terraferma».