Petrolio ai minimi, ma in Italia la benzina costa il 30% in più: ecco perché

[23 Dicembre 2015]

Oggi il prezzo del petrolio sui mercati ha toccato minimi che non si vedevano da anni, arrivando a oscillare attorno ai 35 dollari a barile: durante i picchi raggiunti nel 2008 veleggiava attorno ai 140 dollari al barile, un prezzo che allora non ha mancato di riflettersi sulle pompe di benzina. Nello stesso anno, agli albori della crisi – e a testimonianza dell’estrema volatilità che caratterizza la commodity – il prezzo del petrolio crollò a 41 dollari al barile, quotazione paragonabile a quella di oggi. Eppure, 7 anni fa un litro di benzina costava mediamente 1,115 euro al litro, in questi giorni il prezzo alla pompa tocca 1,451 euro al litro (+ 0,337 euro).

Perché? A questa domanda prova oggi a rispondere la Cgia di Mestre: «Ancora una volta – sottolinea il coordinatore dell’ufficio studi, Paolo Zabeo – a spingere all’insù il prezzo del carburante è stata, in particolar modo, la componente fiscale. Se verso la fine del 2008 il peso dell’Iva e delle accise su un litro di benzina sfiorava i 75 centesimi, attualmente è pari a 0,99 euro al litro. In termini percentuali l’aumento della tassazione è stato del 32%», anche se l’incremento non ha interessato solo l’Iva (passata dal 20 al 22%) e le accise, ma anche il prezzo industriale: se verso la fine del 2008 quest’ultima voce era pari a 0,365 euro al litro, in questi giorni il prezzo è salito a 0,461 euro (+26,4%).

«Tra i paesi che utilizzano la moneta unica – conclude Zabeo – solo i Paesi Bassi, con il 70,3%, hanno un’incidenza percentuale della tassazione sul prezzo alla pompa superiore alla nostra che ha raggiunto il 68,2%. Rispetto ai paesi che confinano con noi, invece, paghiamo la benzina il 14,4% più dei francesi, il 18,9% più degli sloveni e addirittura il 30,7% più degli austriaci».

Ecco dunque che la Cgia chiede al governo di intervenire e di eliminare «tutta una serie di balzelli che gravano sul costo del carburante che non hanno più ragione di esistere», ma ad essere anacronistica è piuttosto la distribuzione di tali proventi, che vanno a coprire voci di spesa generali anziché contribuire a realizzare la transizione del Paese verso un’economia più sostenibile: è qui che, ci auguriamo, il governo dovrebbe finalmente decidersi a intervenire.