Unfakenews: nucleare, scorie e deposito nazionale secondo Legambiente

«Il deposito non sarà un impianto pericoloso. Lo sono invece gli attuali siti di stoccaggio presenti in tutta Italia»

[1 Marzo 2021]

A quasi 10 anni dal disastro nucleare di Fukushima, Unfakenews, la campagna di Legambiente e del suo mensile Nuova Ecologia  per scongiurare le bufale ambientali, in particolare sul fronte mediatico, si occupa del deposito di rifiuti radioattivi che dovrà essere realizzato in Italia, per smaltire le nostre scorie, e per il quale si aperto il percorso per giungere a una scelta condivisa per individuare e realizzare il sito. «Inevitabilmente – sottolinea Legambiente – considerate le reazioni spesso negative dei territori interessati dalle aree potenzialmente idonee, questo è anche  eredità dalle passate attività nucleari e oggi generati anche da attività di ricerca mediche e industriali, le scorie sono materiali radioattivi (liquidi, gassosi o solidi) per i quali nessun utilizzo ulteriore è previsto e che devono essere smaltiti».

Il cigno Vedde è convinto che occorra trovcare un’uscita di sicurezza attraverso la trasparenza, la partecipazione e la responsabilità: «Solo con un vero dibattito pubblico possiamo lasciarci alle spalle l’eredità nucleare e realizzare un deposito per i rifiuti radioattivi. La pubblicazione della CNAPI (la Carta nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee a ospitare il Deposito Nazionale e Parco Tecnologico), da parte della Sogin il 5 gennaio scorso, rimasta secretata per sei anni e tre governi, ha, infatti, finalmente aperto il percorso per arrivare a una soluzione condivisa sui nostri rifiuti radioattivi e mettere il Paese in sicurezza».

Alessandro Bratti, direttore di Ispra ed ex presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti, che ha gestito il passaggio di consegne fra Ispra e Isin, l’Ispettorato per la sicurezza nucleare, spiega che «Vanno messe in campo tutte le attività di coinvolgimento e discussione per spiegare di che si parla, bisogna poi essere certi che ci siano gli incentivi per chi ospiterà l’impianto. Ma una decisione va presa, altrimenti dovrà farlo il governo. Anche perché, mi sembra che le preoccupazioni siano eccessive».

Ma Legambiente non si nasconde che «Chi vive nelle 67 aree “potenzialmente idonee”, indicate da Sogin, con buone probabilità non la pensa così». Per questo, è importante ciarire alcuni punti.

Ecco punto per punto quel che evidenzia la campagna Unfakenews:

Secondo gli ultimi dati (dicembre 2019) dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), in Italia ci sono poco meno di 31.000 m3 di materiale radioattivo, corrispondenti a 2,9 milioni di Giga-Becquerel (unità di misura che esprime la “carica” dei rifiuti radioattivi). Anche se, nel nostro paese, centrali e altre installazioni connesse al ciclo del combustibile non sono più in esercizio, sono ancora necessarie le attività legate al loro smantellamento e alla gestione dei rifiuti radioattivi prodotti. Sono inoltre ancora attivi alcuni piccoli reattori di ricerca ed è sempre più diffuso l’impiego di sorgenti di radiazioni ionizzanti nelle applicazioni mediche, nell’industria e nella ricerca, con conseguente produzione di rifiuti radioattivi. La nuova classificazione prevede la loro suddivisione in 5 classi, in funzione della radioattività e del tipo di deposito necessario al loro stoccaggio, temporaneo o definitivo: rifiuti radioattivi a vita media molto breve, ad attività molto bassa e di bassa, media e alta attività. Quelli ad alta attività sono destinati a un deposito geologico ancora da individuare in Europa, le altre categorie finiranno al Deposito nazionale.

I nostri rifiuti radioattivi sono attualmente in 24 impianti in 8 regioni (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Lazio, Campania, Basilicata, Puglia e Sicilia), a cui si aggiungono 95 strutture che utilizzano “sorgenti di radiazioni”, cioè materie radioattive e macchine generatrici di radiazioni ionizzanti. Fra i 24 impianti ci sono le quattro ex centrali nucleari e i due centri di ritrattamento dei combustibili irraggiati (Saluggia, Rotondella). Molte di queste strutture temporanee hanno notevoli criticità impiantistiche e di localizzazione, che le rendono inidonee e pericolose nella gestione dei rifiuti radioattivi. Nessun sito fra quelli che oggi ospitano materiali e rifiuti radioattivi è stato ritenuto idoneo per il deposito nazionale.

Da qui la necessità di un deposito nazionale unico, per sistemare in via definitiva i rifiuti a bassa e media attività che arriveranno dai siti temporanei, dallo smantellamento delle vecchie centrali e dai futuri rifiuti generati dalle attività di ricerca e mediche. La struttura, prevalentemente in cemento armato, prevede barriere ingegneristiche, poste in serie con effetto matrioska, e sfrutterà le barriere naturali dovute alla geologia del sito individuato. Depositi di questo tipo sono già esistenti in Spagna (El Cabril), Francia (L’Aube) e Regno Unito (Drigg). La CNAPI ha individuato 67 aree potenzialmente idonee secondo le caratteristiche di idoneità previste dalla Guida Tecnica n. 29 dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale e i requisiti indicati nelle linee-guida dell’International Atomic Energy Agency. Il tempo per formulare delle osservazioni di merito da parte del pubblico è stato prolungato rispetto ai 60 giorni inizialmente previsti – secondo normativa vigente – portandolo fino a 180 giorni. Un passo importante per permettere una maggior informazione e condivisione dei criteri di selezione adottati da parte dei territori e per verificarne la veridicità.

Il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, ricorda che «Oggi i rifiuti sono in luoghi insicuri che vanno liberati. Il deposito per i rifiuti di media e bassa attività va individuato ma deve essere la prima grande opera realizzata con un dibattito pubblico vero, come quello regolato per legge in Francia. Le piccole quantità di scorie italiane ad alta attività vanno invece smaltite nel deposito internazionale previsto dalla direttiva europea, visto che il nostro Paese ha sconfitto il nucleare con i referendum e fortunatamente non le produrrà mai più».

L’investimento per costruire il deposito nazionale,  opere accessorie incluse, è stimato in 1,5 miliardi. A finanziarlo sarà la voce della bolletta elettrica che già copre i costi dello smantellamento. Unfakenews sottolinea che «Un report della Cgil ha svelato che dei 3,7 miliardi pagati dal 2001 al 2018 attraverso le bollette, appena 700 milioni sono andati al decommissioning, il resto è stato speso in manutenzione dei depositi temporanei, per trattare il combustibile all’estero, far funzionare la struttura e pagare il personale».

Legambiente conferma la sua netta contrarietà al nucleare e, portando esempi concreti, dimostra che si tratta di un metodo per produrre energia molto costoso e pericoloso, mentre un’analisi dei fisici e leader antinuclearisti Gianni Mattioli e Massimo Scalia spiega perché l’energia nucleare non ha mai messo al centro la sicurezza e la gestione delle scorie, tant’è che la realtà si è incaricata di dire che un incidente catastrofico come quello di Fukushima è 100 volte superiore alla più pessimistica delle stime. Tuttavia, mentre le rinnovabili battono oggi il nucleare 10 a 1 sui costi di produzione, la Francia pensa di prolungare la vita di 32 reattori nucleari.