Nel 2022 le entrate petrolifere della Russia dovrebbero aumentare. Le difficoltà verranno dopo

260 miliardi di dollari e il 45% in più di entrate per il bilancio statale rispetto al 2021

[3 Maggio 2022]

Mentre l’Europa discute di se, come e quando mettere sotto embargo il petrolio russo e il nostro governo vara l’ennesimo decreto energia, Rystad Energy, una compagnia di ricerca energetica e business intelligence che fornisce dati, strumenti, analisi e servizi di consulenza all’industria energetica globale con sede nella capitale norvegese Oslo e uffici a Londra, New York, Houston, Aberdeen, Stavanger, Mosca, Rio de Janeiro, Singapore, Bangalore, Tokyo, Sydney e Dubai, ha pubblicato un rapporto dal quale emerge che «Nonostante i gravi tagli alla produzione di petrolio previsti in Russia quest’anno, il gettito fiscale aumenterà in modo significativo a oltre $ 180 miliardi a causa del picco dei prezzi del petrolio».  Rystad Energy fa notare che «Si tratta rispettivamente del 45% e del 181% in più rispetto al 2021 e al 2020. Il sistema di tassazione progressiva della Russia significa che le tasse aumentano in linea con le fasce di prezzo del petrolio più elevate».

Intanto, con l’industria degli idrocarburi – con al centro l’estrazione di petrolio e  gas – che rimane la chiave di volta dell’economia dello Stato-mercato russo e con le sanzioni occidentali contro l’invasione dell’Ucraina che iniziano a crescere, la Russia guarda a est per esportare i suoi idrocarburi.

Il rapporto stima che «I volumi di petrolio russo diminuiranno di 2 milioni di barili al giorno (bpd) entro il 2030 rispetto al 2021, mentre la produzione di gas crescerà marginalmente, ma sarà comunque inferiore alle stime pre-conflitto. Nel 2022 i prezzi estremamente elevati del gas in Europa e quelli del gas naturale liquefatto (GNL) in Asia genereranno circa 80 miliardi di dollari di flussi fiscali in Russia. La recente mossa della Russia di bloccare le vendite di gas a Bulgaria e Polonia non avrà un impatto significativo sui ricavi».

La compagnia di ricerca economica norvegese ricorda che «Dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina alla fine di febbraio, i buyers europei hanno iniziato a evitare il greggio russo tra i timori legati alle sanzioni. I primi problemi con le esportazioni di petrolio erano attesi per marzo, ma questo è successo solo per le prime tre settimane del mese. I carichi hanno iniziato a riprendersi il 24 marzo, supportati da maggiori ordini da Cina e India. Le esportazioni russe di greggio sono state ancora resilienti ad aprile. Le tensioni tra Europa e Russia, tuttavia, sono in aumento e potrebbero sfociare in embarghi del crudo».

Daria Melnik, analista senior di Rystad Energy, mette il dito nella piaga nelle complicità europee e delle difficoltà future russe: «La dipendenza dell’Europa dall’energia russa è stata una relazione deliberata, decennale e reciprocamente vantaggiosa. In questa prima fase di sanzioni ed embarghi, la Russia ne trarrà vantaggio poiché prezzi più elevati significano entrate fiscali significativamente più elevate rispetto agli ultimi anni. Diventare il pivot delle esportazioni verso l’Asia richiederà tempo e massicci investimenti infrastrutturali che a medio termine vedranno la produzione e i ricavi della Russia calare precipitosamente».

Il rapporto evidenzia infatti che «Se dovessero entrare in vigore ulteriori sanzioni sulle esportazioni di energia russe, lo scenario più probabile sarebbe una graduale eliminazione del petrolio russo dai mercati occidentali che richiederà diversi mesi per essere completata. La capacità della Russia di reindirizzare tutti i carichi indesiderati dall’Occidente all’Asia è limitata, il che significa che, in caso di embarghi, la Russia sarà costretta a tagliare ulteriormente la produzione poiché non ha capacità di stoccaggio per volumi di greggio extra. Ad aprile, la produzione di greggio russo aveva già iniziato a diminuire a causa del calo della domanda di petrolio e del calo delle attività delle raffinerie all’interno del Paese».

Insomma, anche a Putin conviene far presto a chiudere con la guerra perché il futuro per l’energia fossile russa non è roseo: «Ci vorrà del tempo prima che la Russia rimetta a punto le sue catene logistiche e trovi abbastanza acquirenti per il suo greggio oltre l’Europa e gli Stati Uniti – si legge nel rapporto – Ci vorrà anche del tempo prima che l’economia russa superi le sanzioni e crei ulteriore domanda di petrolio all’interno del Paese. Pertanto, la produzione di greggio inizierà a riprendersi solo a metà del 2023. Tuttavia, molti pozzi chiusi potrebbero non tornare in produzione, il che significa che una parte della capacità inutilizzata russa verrà distrutta. La situazione sarà aggravata dalla mancanza di investimenti e di tecnologie estere, il che comporterà una minore attività di trivellazione. Di conseguenza, non si prevede che la Russia torni ai livelli di produzione prebellici nemmeno entro il 2026. A lungo termine, la produzione di greggio russo nei giacimenti maturi diminuirà più drasticamente di quanto previsto prima del conflitto poiché le tecnologie avanzate di recupero del petrolio non saranno disponibili per il Paese».

Dato che l’Europa è pronta a ridurre la sua dipendenza energetica dalla Russia, Putin ripone sulla Cina le sue speranze di diversificare i suoi mercati del gas e Rystad Energy spiega che «Il gasdotto Power of Siberia 1 servirà inizialmente come principale arteria di fornitura di gas della Russia alla Cina. Nel primo trimestre del 2022 Gazprom ha completato gli studi di fattibilità del gasdotto Soyuz-Vostok, il progetto Power of Siberia 2 (50 miliardi di metri cubi di capacità annua). Il 28 febbraio è stata concessa l’approvazione del governo russo per la pipeline. I gasdotto i estenderà da Yamal, nella Siberia occidentale, alla Cina settentrionale, attraversando la Mongolia. Attingendo alle vaste riserve della Siberia occidentale, la Russia migliorerà la sua capacità di deviare i flussi di gas verso l’Asia invece che verso l’Europa. Insieme ai gasdotti, la Russia dovrebbe aumentare le esportazioni di GNL in Cina mentre il primo treno del progetto Arctic LNG-2 si prepara a iniziare le attività».

E’ la conferma che la guerra in corso in Ucraina – un conflitto novecentesco etnico e per il possesso di territorio – è in realtà l’ennesima guerra energetica dalla quale ci affrancheremo solo se ci libereremo dalla schiavitù dei combustibili fossili.