Lo Stato Islamico incassa 1,5 milioni di dollari al giorno con il traffico di petrolio

Fox News: «I cubani combattono in Siria». I cubani: «E’ una cretinata»

[16 Ottobre 2015]

Gli attacchi aerei russi e la controffensiva dell’esercito siriano (e dei “volontari” pasdraran iraniani e hezbollah libanesi) stanno obbligando i jihadisti dello Stato Islamico/Daesh e di altre milizie integraliste come il Fronte al Nusra a ritirarsi e a rifugiarsi in  alcune posizioni fortificate.  Ieri il portavoce del ministero della difesa Russa,  il generale Igor Konascenkov, ha detto che «I terroristi arretrano, cercando intanto di organizzarsi in nuove posizioni  e di modificare il loro sistema logistico di approvvigionamento di munizioni, armi e materiali».

Intanto il corrispondente di guerra di Russia-24, Evgueni Poddubny, ha annunciato che un importante esponente del Fronte al Nusra – una milizia affiliata ad Al Qaeda e finanziata e armata da Arabia Saudita e Qatar – sarebbe stato ucciso da un raid aereo russo nella provincia di  Homs. Se fossero vere le prime indiscrezioni, i russi avrebbero ragione a cantare vittoria: potrebbe infatti trattarsi di Abu-Bakr Al-Chichani, un terrorista originario della Cecenia, quindi “russo”, che è considerato uno dei leader di al Nusra. Su Twitter Poddubny  scrive che «L’aviazione russa ha liquidato nella provincia di Homs il  gruppo terroristic Ahrar Al-Sham diretto dall’emiro, che non è altro che l’emigrato ceceno Abu-Bakr Al-Chichani», che in realtà si chiamava Tarkhan Batirachvili ed è nato in Georgia da padre georgiano. Secondo il giornale  McClatchy Al-Chichani/Batirachvili sarebbe stato addestrato in Georgia da ufficiali statunitensi durante il suo servizio militare.

Al-Chichani era responsabile della propaganda per il  Fronte al Nusra e i russi, fin dall’inizio del loro intervento armato in Siria, non hanno mai nascosto di voler liquidare al più presto la cellula islamista cecena in Siria, accusata di essere l’ispiratrice di diversi attentati in Russia. Ora bisogna vedere se Al-Chichani è morto davvero, visto che già il 12 ottobre era stato dato per morto in un raid irakeno e che nel 2014 il presidente della Cecenia, Ramzan Kadyrov, aveva diffuso la notizia della morte “certa” di questo terrorista.

A proposito di notizie propagandistiche di quella che è anche una guerra dell’informazione, va registrato l’annuncio dato da Fox News, il network televisivo liberista statunitense, che in Siria ci sarebbero militari cubani che appoggerebbero sul terreno i russi. Secondo il corrispondente di Fox News Doug McKelway, che vanta un collegamento diretto con il Pentagono, questa informazione sarebbe comparsa per la prima volta in un rapporto in un rapporto dell’Institute for Cuban & Cuban-American Studies dell’università di Miami, secondo il quale il capo delle forze armate di Cuba, accompagnato da un gruppo di militari cubani, avrebbero recentemente visitato la Siria.  I militari cubani verrebbero utilizzati esclusivamente per guidare carri armati russi nell’offensiva di terra contro il Daesh e gli altri islamisti. Ma un rappresentante dell’ambasciata cubana in Siria ha smentito tutto, anche le mezze conferme fatte filtrare dal Pentagono, dicendo: «E’ proprio una cretinata. E’ come se si affermasse che la Russia avrebbe inviato dei militari in Madagascar per proteggere i lemuri».

Ma, cubani o meno, i russi, i loro alleati sciiti e i kurdi sanno bene che sarà difficile sconfiggere davvero lo Stato Islamico/Daesh  se continuerà a controllare almeno 9 giacimenti petroliferi in Iraq e in Siria.

Se l’eliminazione della produzione petrolifera del Daeh è sempre stata una delle priorità dichiarate della Coalizione a guida americana, il contrabbando lungo la frontiera con la Turchia è continuato indisturbato al di fuori delle aree controllate dai kurdi del Rojava e solo un recente raid aereo russo ha distrutto una colona di autocisterne che portavano il petrolio dello Stato Islamico in Turchia.

Uno dei motivi per i quali non vengono attaccati i campi petroliferi e le raffinerie controllate dalle milizie nere del Daesh è che questo destabilizzerebbe la vita di  un di 10 milioni di persone che vivono nei territori controllati dallo Stato Islamico, una premura che non è stata usata durante l’invasione dell’Iraq, quando venne praticamente azzerata la produzione petrolifera di Saddam Hussein, o negli attacchi agi impianti petroliferi in mano al regime siriano.

Secondo gli esperti siriani e irakeni, la produzione petrolifera dello Stato Islamico/Daesh è tra i 34000 e i 40.000 barili al giorno, che vengono venduti ad un prezzo che va da  20 a 45 dollari al barile, permettendo al Daesh di incassare in media 1,5 milioni di dollari al giorno.

E’ fin dal 2013, anno della sua comparsa in Siria, che il Daesh utilizza il petrolio per pagare i suoi miliziani, comprare armi e garantire il governo dei territori che ha conquistato. Il Consiglio dello Stato Islamico dice addirittura che il petrolio svolgerà un ruolo fondamentale per costruire il Califfato.

Come scrive Ria Novosti, contrariamente dalla galassia terroristica di Al Quaeda, che dipende dai finanziamenti di ricchi donatori sunniti, il modello finanziario del Daesh «si basa su una produzione monopolistica  del petrolio nella regione controllata. Anche senza esportazioni, lo Stato Islamico può assicure la sua rosperità grazie all’enorme mercato che rappresentano i territori ocupati in Siria ed Irak».
La strategia dl Daesh è diversa da quella degli altri gruppi jihadisti: si basa su un modello statale che punta a gestire il settore petrolifero come le imprese petrolifere pubbliche. Infatti, secondo i siriani, il Daeh sta cercando ingegneri esperti ed è disposto a pagarli molto bene.

Mentre la gestione dei territori conquistati dagli islamisti è molto decentralizzata e affidata ai vari signori della guerra, il settore petrolifero, le operazioni militari e il lavoro del dipartimento mediatico del Daesh sono coordinati direttamente dai suoi capi.  La stampa russa spiega: «Anche se il guadagno principale dello Stato Islamico proviene dalle vendite del petrolio sui giacimenti, l’organizzazione assicura anche in una certa misura il suo trattamento. A questo fine, i jihadisti utilizzano degli impianti di trattamento mobile. In Siria ed Iraq esistono dei mercati nei quali si può acquistare petrolio greggio  o dei prodotti petroliferi: circa la metà di quest’ultimi è inviato verso l’Iraq, mentre il resto è trasportato in Siria, nelle regioni controllate dal governo e dall’opposizione». Secondo gli esperti, «Dopo il trattamento del petrolio, lo Stato Islamico cessa di partecipare alle operazioni».

Ma i bombardamenti russi e il calo del pezzo del petrolio stanno colpendo duramente i profitti del Daesh, anche se per il momento il problema più grosso che hanno di fronte gli islamisti è l’impoverimento dei vecchi giacimenti siriani: i jihadisti non dispongono delle stesse tecnologie delle multinazionali petrolifere che permettono di ovviare al lento calo produttivo dei pozzi di greggio. Un gap tecnologico che potrebbe rappresentare l’inizio della fine del Califfato petrolifero del Daesh.