Sul territorio nazionale ancora attive 12 centrali

L’Italia ha aumentato i finanziamenti al carbone nell’ultimo anno, più di ogni altro Paese G7

Dal 2007 al 2015 i grandi della terra hanno incanalato all’estero per 42,5 miliardi di dollari, da 101 milioni di tonnellate di CO2/anno

[24 Maggio 2016]

Il carbone è il nemico numero uno nella lotta al cambiamento climatico. Ogni anno l’umanità emette 50 gigatonnellate di CO2eq, 32 delle quali – la grande maggioranza – arrivano dall’utilizzo diretto di combustibili fossili; a sua volta, è bruciando carbone che il settore energetico (il più impattante sul clima) rigurgita in atmosfera il 73% delle proprie emissioni di CO2. Anche il premier Matteo Renzi ha pubblicamente riconosciuto lo scorso giugno che «oggi il nostro nemico è il carbone». Eppure, proprio nella seconda metà dello scorso anno l’Italia ha incrementato in modo sensibile – più di ogni altro Paese del G7 (com’è possibile vedere dal grafico a lato, ndr) i finanziamenti all’industria carbonifera.

Non contenti delle 12 centrali a carbone ancora attive sul territorio nazionale, attraverso Sace, l’agenzia italiana di credito alle esportazioni (a sua volta società del gruppo Cdp, a controllo pubblico), l’Italia ha infatti offerto la garanzia per il finanziamento – pari a 632 milioni di dollari – per un impianto a carbone nella Repubblica Dominicana.

È quanto denuncia oggi la pubblicazione del rapporto Swept Under the Rug: How G7 Nations Conceal Public Financing for Coal Around the World, redatto dal Natural resources defense council (Nrdc), dal Wwf e da Oil change international a pochi giorni l’apertura dei lavori del  G7, previsto per il 26-27 maggio in Giappone. Il dossier dimostra come i paesi del G7, Giappone e Germania in primis – nonostante le dichiarazioni di facciata e la firma dell’Accordo di Parigi sul clima solo poche settimane fa – continuino imperterriti a finanziare massicciamente le centrali a carbone e l’estrazione del pericoloso combustibile fossile all’estero, in palese contraddizione con l’impegno assunto pubblicamente per limitare l’inquinamento da carbonio e l’emissione di gas serra.

Un contesto dove anche l’Italia pecca gravemente di mancata coerenza tra parole e fatti. Dai dati in nostro possesso emerge che l’Italia nel 2015 ha aumentato, non diminuito, il finanziamento del carbone – spiega Mariagrazia Midulla del Wwf Italia – Non è questa la direzione giusta verso cui andare per rispettare gli impegni presi a livello internazionale, non è la direzione indicata più volte dal presidente del Consiglio Renzi. I paesi del G7 e le istituzioni multilaterali dovrebbero fermare immediatamente i progetti di finanziamento di fonti di energia sporca e incoraggiare gli investimenti in energia pulita e rinnovabile. Sono questi i passi da intraprendere per proteggere il nostro pianeta e le generazioni future».

I paesi del G7 continuano così a finanziare il peggiore dei combustibili fossili per miliardi di dollari. Come già accennato il Giappone si classifica come la peggiore, con finanziamenti pari a più di 22 miliardi di dollari per impianti a carbone all’estero nel periodo 2007-2015, e con l’annunciata intenzione di investire altri 10 miliardi di dollari in progetti futuri. Seguono la Germania con finanziamenti pari a 9 miliardi di dollari, gli Stati Uniti con circa 5 miliardi, la Francia con un ammontare pari a 2,5 miliardi di dollari, l’Italia con 2 miliardi di dollari, il Regno Unito con 1 miliardo e il Canada con meno di 1 miliardo. Tradotto, le emissioni delle centrali elettriche a carbone finanziate dai paesi del G7 dal 2007 al 2015 raggiungono un totale di 101 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, provocando danni all’atmosfera, al clima del pianeta e alla salute della popolazione mondiale.

Ma potrebbe essere una stima al ribasso. Gli autori del rapporto sottolineano infatti che i risultati raccolti potrebbero rappresentare una sottostima delle reali dimensioni della finanza del carbone internazionale: «Attualmente i finanziamenti viaggiano attraverso canali opachi e poco chiari come istituti di credito all’esportazione, che tengono nascosto il loro sostegno allo sviluppo dei combustibili fossili. Questi meccanismi di finanziamento favoriscono ingiustamente l’uso del carbone a discapito delle fonti di energia pulita e impediscono la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio». Per fermare questa folle corsa il primo traguardo da tagliare è quello della trasparenza: Nrdc, Oil change international e il Wwf chiedono la divulgazione dei dati relativi al finanziamento pubblico per il carbone, e la destinazione del denaro pubblico verso progetti di energia pulita come l’energia eolica e solare.