La Russia vuole nazionalizzare iI Gnl di Sakhalin 2. Occidentali e giapponesi esclusi dai grandi progetti energetici?

Gli analisti: il GNL che vuole importare l’Italia rischia di diventare sempre più costoso, scarso e inaffidabile

[4 Luglio 2022]

Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato un decreto per trasferire a una nuova compagnia russa i diritti del gigantesco progetto petrolifero e di gas naturale liquefatto (GNL) di Sakhalin 2, una mossa arriva in risposta alle azioni di quelli che il governo federale russo ha definito «Stati ostili» e che potrebbe portare all’esclusione dal progetto delle compagnie straniere, inclusi gli investitori britannici e giapponesi.

Con una produzione annua di 12 milioni di tonnellate, Sakhalin-2 – avviato nel 2009 –  è uno dei più grandi progetti di GNL del e si trova sull’isola russa di Sakhalin nell’Oceano Pacifico, a nord del Giappone e fornisce GNL soprattutto ai mercati asiatici. Finora l’impianto è stato gestito dalla Sakhalin Energy Investment Company, la cui quota di maggioranza del 50% più un’azione appartiene al colosso energetico russo Gazprom. La multinazionale britannica Shell, il più grande commerciante di GNL del mondo, detiene una quota del 27,5% meno un’azione. Le giapponesi Mitsui e Mitsubishi hanno ripettivamente il 12,5% e il 10% delle quote del progetto.

L’ordine presidenziale di Putin crea una nuova compagnia russa che si assumerà tutti i diritti e gli obblighi di Sakhalin Energy Investment. RT spiega che «Gazprom manterrà la sua partecipazione mentre gli altri partner hanno un mese per notificare se vogliono una quota nella nuova società. Se l’autorizzazione viene negata dal governo russo, le quote verrebbero cedute e il ricavato della vendita verrebbe trasferito su un conto speciale. Il denaro potrebbe poi essere utilizzato per risarcire danni imprecisati o essere inviato al socio in base al patto di compartecipazione alla produzione». Coloro che sceglieranno di uscire potrebbero non essere risarciti completamente.

Negando l’evidenza, il l portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha detto ai giornalisti che «Il cambio di proprietà di Sakhalin-2 non può essere considerato una nazionalizzazione». E alla domanda se lo stesso metodo verrà utilizzato per altri grandi progetti energetici che coinvolgono compagnie occidentali, Peskov ha risposto che «Ogni situazione sarà considerata caso per caso».

La Shell ha subito dichiarato di essere a conoscenza del decreto di Putin e che ne stava «Valutando le implicazioni». La multinazionale aveva già detto di voler abbandonare il progetto dopo l’invasione russa dell’Ucraina e che era in trattative con potenziali acquirenti, anche cinesi e indiani. Piani che l’iniziativa di Putin rischiano di far saltare.

Lo stesso messaggio è stato ripreso dal Cremlino secondo cui la Russia non vede alcun motivo per interrompere le forniture di GNL.

A giugno il Giappone aveva affermato che non intendeva rinunciare ai suoi interessi nel progetto Sakhalin-2, importante per la sua sicurezza energetica. Ma i rapporti tra Russia e Giappone, già tesi per la disputa territoriale sulle Isole Curili, e Mosca ha accusato Tokyo dio voler beneficiare della sua partecipazione al progetto mentre applica le sanzioni contro la Russia su tutto il resto.

Secondo gli esperti, l’esclusione di Mitsui e Mitsubishi da Sakhalin-2 a Non sarà costerebbe al Giappone 15 miliardi di dollari per sostituire l’economico e vicino GNL russo con quello più caro del resto del mondo: il costo delle importazioni salirebbe del 35% e la Russia potrebbe fare qualcosa che il Giappone vede come il fumo negli occhi: reindirizzare le sue esportazioni di GNL verso Cina, India e Vietnam, cioè verso il suo nemico storico (la Cina) e i sui concorrenti economici sempre più aggressivi.

Il primo ministro giapponese Fumio Kishida ha affermato che la decisione della Russia non fermerà immediatamente le importazioni di GNL da Sakhalin2 e la Russia ha confermato che per ora – e anche dopo che il nuovo operatore “nazionale” sarà subentrato, non  vede alcun motivo per interrompere i rifornimenti al Giappone di GNL prodotto e proveniente da Sakhalin-2. Ma difficilmente il Giappone potrà sopportare di essere estromesso e continuare a comprare il GNL che per un quarto era suo.

Sakhalin-2 fornisce circa il 4% dell’attuale mercato mondiale del GNL e alcuni analisti avvertono che la mossa di Putin potrebbe sconvolgere un mercato del GNL, già problematico, con l’Europa che sta richiedendo sempre più GNL e provocando maggiore concorrenza per il gas naturale liquefatto nel bel mezzo di una crisi energetica globale. E anche l’Italia potrebbe pagare carissima la scelta di realizzare nuovi rigassificatori per importare un combustibile sempre meno disponibile e sempre più costoso.

Il giornale giapponese Asahi Shimbun fa notare che «L’impatto immediato deve ancora essere visto nel mercato globale del GNL, già in ulteriore restringimento a causa della riduzione delle forniture russe all’Europa, della riduzione della fornitura degli Stati Uniti a causa di un’interruzione fondamentale degli impianti dell’aumento della domanda in Asia. Tuttavia, la mossa pone un rischio di prezzo al rialzo, soprattutto per gli acquirenti giapponesi. Il prezzo medio del GNL per la consegna di agosto nel nord-est asiatico è stato stimato da Reuters a 39  dollari per milione di unità termiche britanniche (mmBtu), in aumento del 2 –  5,4% rispetto alla settimana precedente. I prezzi del GNL sono recentemente aumentati di circa il 60% e potrebbero presto superare i 40 dollari per milione di unità termiche britanniche (mmBtu). Se il contesto globale si restringe ulteriormente, i valori di riferimento saranno alla portata dei livelli record vicino a 60 dollari visti all’inizio di quest’anno.

Per Robert Songer, analista GNL  della di data intelligence ICIS, «Si prevede che il Giappone sarà il più grande perdente dopo essere stato espulso da Sakhalin 2. Le esportazioni di Sakhalin 2 per i primi 6 mesi del 2022 sono state di 5,81 milioni di tonnellate (mt). Di questo la quota del Giappone era di 3,45 tonnellate, seguita dalla Corea del Sud a 1,15 tonnellate e dalla Cina a 0,84 tonnellate».

Kaushal Ramesh, analista senior GNL e gas di  Rystad Energy, fa notare che «L’ammissione alla nuova società richiederà agli attuali joint venturer di accettare le condizioni della Russia, il che non è chiaro e potrebbe, evidentemente, essere soggetto a modifiche. Se uno degli attuali joint venturer non viene ammesso nella nuova società, la sua partecipazione verrà svenduta e trattenuta in un conto speciale, dal quale la Russia dedurrà i danni. Anche la base di questa detrazione non è chiara. Nel breve termine, è probabile che continueranno a fornire contratti a lungo termine. Tuttavia, l’assenza di partner internazionali con esperienza nel GNL pone anche un rischio al ribasso per la loro produzione, soprattutto se si verificano un’incidente o una manutenzione non pianificata, dopo di che le sanzioni potrebbero complicare l’importazione di tecnologia per condurre le riparazioni. Rystad vede un rischio al ribasso a lungo termine per l’intera produzione russa attuale, inclusi Sakhalin-2 e Yamal, che è di circa 30 milioni di tonnellate. o circa il 7% della produzione globale. L’entità è così grande che le recenti sanzioni di Plaquemines e Corpus Christi Stage 3 la bilanceranno solo fino al 2030. Prendendo in considerazione le attuali prospettive per la domanda e la produzione di GNL, vediamo ancora un gap di fornitura di 100 Mtpa nel 2030. Tuttavia, se la produzione russa scendesse a zero, ciò potrebbe aggiungere altri 30 Mtpa di deficit. Questo è un ambiente molto rialzista per il GNL, data la domanda europea mentre si allontana dal gas russo».

Tamir Druz, amministratore delegato di Consultancy Capra Energy. conclude: «Questo accresciuto rischio politico può aiutare a mantenere e forse aumentare il premio per il rischio all’interno della curva dei prezzi del GNL. La recente azione nei confronti di Sakhalin 2 sollevano interrogativi riguardo alle intenzioni di Mosca verso il progetto Yamal, molto più grande da 17,4 milioni di tonnellate all’anno (mtpa), così come la massiccia pipeline di nuovi progetti russi, che supera i 30 mtpa. Collettivamente, questo sta creando un’aria di incertezza intorno a quasi 60 tonnellate all’anno di capacità esistente e pianificata (post-FID). Questi progetti saranno più difficili da sviluppare, mantenere e operare senza il coinvolgimento e il supporto attivo di partner stranieri, che è stato minato dall’acquisizione di SEIC».