La gigantesca impronta di carbonio dell’insaziabile domanda di cannabis Usa

Il ciclo di vita delle emissioni di gas serra prodotte dalle serre per la coltivazione di cannabis indoor

[11 Marzo 2021]

Ormai anche gli Stati repubblicani si sono allegramente arresi al grande business da 13 miliardi di dollari dell’industria della cannabis, che però ha un sempre più evidente costo sotto forma di emissioni di gas serra dettato dalla produzione commerciale della cannabis, per lo più indoor, in serre, dato che il mix energetico degli Usa è ancora molto sbilanciato sulle fonti fossili.

Il nuovo studio “The greenhouse gas emissions of indoor cannabis production in the United States”, pubblicato su  Nature Sustainability da Hailey Summers, Evan Sproul e Jason Quinn della Colorado State University  (CSU) mostra la contabilità più dettagliata fino ad oggi dell’impronta di carbonio della cannabis statunitense che era abbastanza poco compresa.

«Quel che è chiaro, tuttavia – fanno notare alla Colorado Colorado State University   – è che la domanda di cannabis da parte dei consumatori è insaziabile e non mostra segni di interruzione man mano che più Stati approvano la legalizzazione».

I ricercatori hanno fatto una valutazione del ciclo di vita della produzione di cannabis indoor negli Stati Uniti, analizzando l’energia e i materiali necessari per coltivare il prodotto e calcolando le corrispondenti emissioni di gas serra. Hanno così scoperto che «Le emissioni di gas serra provenienti dalla produzione di cannabis sono in gran parte attribuite alla produzione di elettricità e al consumo di gas naturale per i controlli ambientali interni, luci per la coltivazione ad alta intensità e forniture di anidride carbonica per la crescita accelerata delle piante».

Summers spiega: «Sapevamo che le emissioni sarebbero state grandi, ma poiché non erano state completamente quantificate in precedenza, lo abbiamo identificato come un grande spazio di opportunità di ricerca. Volevamo solo percorrerlo».

Il nuovo studio  aggiorna il lavoro precedente dei ricercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory, che ha quantificato le attività di coltivazione su piccola scala in California e che avevano  preceduto l’ondata della legalizzazione Stato per Stato da quando il Colorado è stato il primo negli Usa a legalizzare la cannabis nel 2012. Attualmente, negli Usa ci sono 36 Stati  – sia democratici che repubblicani – che hanno legalizzato l’uso medico della cannabis e 15 Stati hanno legalizzato anche l’uso ricreativo.

Il team CSU ha ipotizzato che fosse una sostanziale variabilità nelle emissioni, a seconda di dove il prodotto veniva coltivato, sia a causa del clima che delle emissioni energetiche. Il loro lavoro tiene anche conto della potenziale diffusione in tutti gli Usa di negozi per la coltivazione e lo smercio di di cannabis e modella le emissioni per diverse località ad alta crescita in tutto il Paese. I loro risultati includono una mappa che mostra le emissioni relative in tutti gli Stati Uniti, definite come emissioni per chilogrammo di fiori di cannabis. Hanno anche sviluppato una  mappa GIS  che consente agli utenti di inserire il nome di una contea e trovare stime delle emissioni locali.

Lo studio dimostra che «La coltivazione di cannabis indoor negli Stati Uniti produce emissioni di gas serra durante il ciclo di vita comprese tra 2.283 e 5.184 chilogrammi di anidride carbonica per chilogrammo di fiore essiccato». Poi hanno confrontato questo dato con le emissioni derivanti dall’utilizzo di elettricità utilizzata per coltivare la cannabis all’aperto e in serra che, secondo il 2018 Cannabis Energy Report di New Frontier Data, sono rispettivamente di 22,7 e 326,6 chilogrammi di anidride carbonica. Questi numeri all’aperto e in serra considerano solo l’elettricità, mentre la stima dei ricercatori CSU è più completa, ma il confronto evidenzia ancora l’impronta enormemente più ampia delle attività di coltivazione in serra.

I ricercatori sono stati sorpresi di scoprire che i sistemi di riscaldamento, ventilazione e condizionamento dell’aria rappresentavano la più grande richiesta di energia, con numeri che fluttuano a seconda del clima locale, sia in Florida, che richiede un’eccessiva deumidificazione, sia in Colorado, dove è più importante il riscaldamento.

Quinn ha evidenziano che «L’alto consumo energetico della cannabis è dovuto in parte al modo in cui il prodotto è regolamentato. In Colorado, molte attività di coltivazione devono essere in stretta vicinanza alle vetrine dei negozi al dettaglio e questo ha causato un’esplosione di negozi interni affamati di energia in aree urbane come Denver».

Secondo un rapporto del Denver Department of Public Health and Environment, «Tra il 2013 e il 2018, il consumo di elettricità dovuto alla coltivazione di cannabis e altri prodotti è cresciuto dall’1% al 4% del consumo totale di elettricità di Denver».

Il team dell’CSU sta cercando ulteriori finanziamenti per continuare il suo lavoro di modellazione, con la speranza di estenderlo per fare un confronto tra le attività di coltivazione indoor e potenziali outdoor. In definitiva, vorrebbero aiutare l’industria ad affrontare le preoccupazioni ambientali mentre la cannabis legale è ancora relativamente nuova negli Stati Uniti

Sproul conclude: «Vorremmo provare a migliorare gli impatti ambientali prima che siano integrati nel modo di fare affari».