Greenpeace e ReCommon: oltraggiosi i dividendi Eni e delle altre compagnie del petrolio e del gas

«Profitti record mentre il pianeta brucia». Greenwashing: solo una parte molto limitata dei profitti serve a finanziare nuovi impianti di energie rinnovabili

[23 Febbraio 2023]

Il Consiglio di Amministrazione di Eni ha approvato i risultati consolidati dell’esercizio e del quarto trimestre 2022 (non sottoposti a revisione contabile), dati molto floridi che Greenpeace Italia e ReCommon commentano duramente: «Mentre la crisi climatica si aggrava e milioni di persone sono alle prese con maxi bollette e caro energia, ENI annuncia oggi un utile operativo adjusted di gruppo nell’esercizio 2022 di 20,4 miliardi di euro. I profitti più alti di sempre e più del doppio rispetto al 2021, frutto degli altissimi picchi di prezzo raggiunti nel 2022 dalle fonti fossili al centro del suo business, come il gas. La gran parte di questi profitti andrà in forma di dividendi e riacquisto di azioni proprie a vantaggio degli azionisti, per il 70% privati. Una situazione doppiamente oltraggiosa, soprattutto perché anziché investire su una seria svolta verso la decarbonizzazione, l’azienda si limita a fare greenwashing, mentre continua a destinare gran parte dei propri investimenti a quelle stesse fonti fossili che hanno causato e alimentano la crisi climatica. Inoltre, puntare ancora sul gas significa condannare le famiglie e le imprese italiane a pagare bollette molto care anche nei prossimi anni».

Esaminando i risultati, l’ AD di Eni Claudio Descalzi, ha confermato la forte impronta fossile – da russa diventata africana –  del cane a 6 zampe ma ci ha aggiunto l’ormai obbligatorio tocco green che però ha il sapore acido del greenwashing: «Nel 2022 ci siamo fortemente impegnati non solo nel progredire nei nostri obiettivi di sostenibilità ambientale, ma anche nel garantire la sicurezza energetica all’Italia e quindi all’Europa, costruendo una diversificazione geografica e delle fonti energetiche.  I risultati operativi e finanziari che abbiamo raggiunto sono stati eccellenti, così come la capacità di garantire in tempi rapidi forniture stabili all’Italia e all’Europa e il progresso nei piani di decarbonizzazione. Durante l’anno abbiamo concluso una serie di accordi e di attività per rimpiazzare in modo definitivo il gas russo entro il 2025, potendo contare sulle nostre solide relazioni con i paesi produttori e sul nostro modello di sviluppo accelerato, che ci consentiranno di incrementare i flussi di gas da Algeria, Egitto, Mozambico, Congo e Qatar. L’ultima operazione con la società di stato libica NOC per lo sviluppo del progetto “Strutture A&E” e i recenti successi esplorativi nelle acque di Cipro, Egitto e Norvegia andranno a rafforzare la diversificazione geografica della nostra catena integrata di forniture. Questa pronta reazione alla crisi del gas e l’integrazione con le attività upstream sono stati un importante fattore alla base dei risultati del settore GGP, in grado di onorare gli impegni di vendita diversificando le fonti. Plenitude ha raggiunto 2,2 GW di capacità rinnovabile, il doppio dello scorso anno, e sarà affiancata dalla neo costituita Eni Sustainable Mobility nel portare avanti il piano di azzeramento delle emissioni dei clienti. Questo veicolo, facendo leva sulla forte presenza nel settore dei biocarburanti, offrirà soluzioni per una mobilità sempre più decarbonizzata ai clienti in Italia e in Europa.  In un contesto di mercato favorevole, i risultati 2022 sono stati sostenuti dalla disciplina finanziaria e dal controllo dei costi, dall’efficacia operativa e dall’attenta gestione dei rischi derivanti dalla volatilità dei prezzi e dalla carenza di offerta. La forte generazione di cassa organica con un flusso di €20,4 mld ci ha permesso di finanziare gli investimenti e la crescita, di ridurre il rapporto di indebitamento al minimo storico di 0,13 e di remunerare gli azionisti con €5,4 mld attraverso i dividendi e l’esecuzione di un programma accelerato di riacquisto delle azioni proprie. Le nostre priorità strategiche restano confermate: continueremo a investire per assicurare la stabilità e regolarità delle forniture per soddisfare il fabbisogno energetico e per decarbonizzare le nostre attività e l’offerta ai clienti, mantenendo la disciplina finanziaria indispensabile per garantire ritorni attrattivi agli azionisti».
Greenpeace Italia e ReCommon fanno notare che «Più della metà dei profitti di ENI finisce agli investitori tramite dividendi e riacquisto di azioni (share buy-back). Nel contempo il monte investimenti della società non è aumentato, e per tre quarti sarà ancora destinato allo sviluppo del settore fossile, nonostante l’Agenzia Internazionale per l’Energia abbia raccomandato di evitare nuovi investimenti in petrolio e gas per riuscire a limitare l’aumento della temperatura media globale entro la soglia di sicurezza di 1,5 gradi Centigradi. Della restante parte di investimenti dell’azienda, etichettati dalla stessa ENI come “green”, solo una parte molto limitata serve a finanziare nuovi impianti di energie rinnovabili, come denunciato da Greenpeace Italia e ReCommon».

ENI non è l’unica compagnia energetica ad annunciare profitti record nelle ultime settimane. Prima del Cane a Sei zampe è stato il turno di Exxon Mobil (oltre 52 miliardi di euro), TotalEnergies (quasi 34 miliardi di euro), Shell (quasi 38 miliardi di euro) e BP (oltre 26 miliardi di euro). Per Greenpeace Italia e ReCommon, «E’ ora che queste compagnie abbandonino definitivamente le fonti fossili per decarbonizzare urgentemente le proprie attività, e inizino a pagare per le perdite e i danni che hanno causato contribuendo in modo decisivo alla crisi climatica e alle sue devastanti conseguenze per le persone e per il Pianeta. Spetta anche agli investitori nazionali e internazionali, che beneficiano di questi altissimi profitti, assumersi le proprie responsabilità e chiedere con forza al management delle società fossili un drastico cambio di rotta».

Inoltre, Greenpeace e ReCommon chiedono che «La tassazione degli extra-profitti delle società dell’oil&gas sia rafforzata dai governi europei e sia resa permanente anziché limitata a congiunture di crisi energetiche, così da liberare maggiori risorse pubbliche per far fronte alla povertà energetica e favorire un’equa transizione verso le fonti rinnovabili».