Fracking, c’è anche il problema della radioattività

[4 Febbraio 2014]

Environ Health Perspectives (Ehp) pubblica un’interessante inchiesta Radionuclides in Fracking Wastewater: Managing a Toxic Blend di Valerie J. Brown, una delle più note giornaliste ambientali statunitensi. La Brown parte da un dato di fatto: i radionuclidi sono ampiamente distribuiti nella crosta terrestre, quindi non c’è da sorprendersi che i processi di estrazione di minerali e idrocarburi, convenzionali e non convenzionali, producano spesso scorie radioattive che sono una forma di Tenorm (technologically enhanced naturally occurring radioactive material), cioè Norm (naturally occurring radioactive material) concentrato o al quale vengono maggiormente esposti gli esseri umani attraverso mezzi di origine antropica. La rapidità e la portata del boom del fracking del gas negli Usa a sta sollevando sempre più preoccupazioni sul problema dell’esposizione radioattiva e della gestione delle scorie.

Forse in nessun altro posto il problema delle scorie del fracking è acuto come in Pennsylvania, che l’estrazione di gas dal gigantesco giacimento del Marcellus Shale ha fatto diventare lo Sato Usa in più rapida crescita di produzione tra il 2011 e il 2012. E’ noto che il Marcellus Shale ha un alto contenuto di uranio, come conferma Mark Engle, un ricercatore dell’US Geological Survey: «Le concentrazioni di radio-226, un prodotto di decadimento dell’uranio, possono superare le 10.000 picocuries per litro (pCi/l) nella salamoia concentrata nelle profondità degli scisti».

Attualmente l’industria del fracking e le autorità di regolamentazione considerano basso il rischio radioattivo per i lavoratori e la popolazione proveniente dalle scorie, «Ma – dice la Brown – date le ampie lacune nei dati, per molti nella comunità sanitaria questa è una magra consolazione».

Dopo il fracking, gas e liquidi, tra i quali l’acqua iniettata e l’acqua che è nelle formazioni di scisto (nota come “riflusso” e “produced water”), vengono portati in superficie. «I fluidi intrappolati nello scisto – si legge su Ehp – sono i resti dell’antica acqua di mare. I sali nelle acque di scisto nel corso di milioni di anni hanno raggiunto concentrazioni estreme e le loro interazioni chimiche con la roccia circostante sono in grado di mobilitare radionuclidi. Diversi studi indicano che, in generale, più l’acqua è salata più è radioattiva». Inoltre, i composti disciolti spesso precipitano, costruendo una patina ricca di radionuclidi all’interno di tubi che finirebbe per ostruirli se non si iniettassero sostanze per scioglierli, ma si usano anche mezzi meccanici, esplosivi e getti di liquido, i cui risultati vanno a finire nel flusso dei rifiuti solidi.

Le scorie del fracking vengono spesso stoccate temporaneamente in container o in stagni o pozzi di superficie. I dati su questi lagunaggi delle scorie del fracking sono scarsi, ma secondo Kasianowitz, «In Pennsylvania ci sono 25 “impoundments” centralizzati». Questi lagunaggi centralizzati possono essere delle dimensioni di un campo di calcio e contenere almeno 10 milioni di litri di scorie liquide. Probabilmente i lagunaggi più piccoli sono molto più numerosi e questi “stagni” temporanei vengono utilizzati spesso nelle prime fasi del fracking, per poi essere rapidamente smantellati. I bacini di lagunaggio della Pennsylvania devono essere rivestiti con teli di plastica di uno spessore minimo di 30 mm, ma nell’Ohio gli “stagni” basta che siano “liquid tight”. Questo non ha impedito che, in Pennsylvania e altrove, diversi lagunaggi siano tracimati o abbiano perso liquidi da falle. In uno studio per valutare la sicurezza dei lagunaggi di 2.013 pozzi del Barnett Shale, in Texas, hanno misurato i radionuclide generalmente utilizzati per se le scorie Norm sono conformi alle linee guida delle normative per lo smaltimento, ma anche altri 7 radionuclidi non testati regolarmente, ne è venuto fuori che «Anche se i singoli radionuclidi erano all’interno delle linee guida delle normative esistenti, la radiazione beta totale in un campione era più di 8 volte il limite regolamentare». E gli autori evidenziano che «Valutare il singolo radio radionuclide come indicatore delle linee guida per la regolamentazione dell’esposizione, invece di considerare tutti i radionuclidi, può infatti sottovalutare il potenziale di esposizione alle radiazioni per i lavoratori, la popolazione e l’ambiente».

La maggior parte delle acque reflue del fracking viene trattata e riutilizzata o inviata a pozzi di iniezione di classe II per lo smaltimento o il recupero dei pozzi). In Pennsylvania solo una piccola parte delle acque reflue del fracking viene ancora trattata e rilasciata nelle acque superficiali, ma fino al 2011, la maggior parte dell’acqua prodotta veniva inviata ai depuratori per poi essere scaricata nei fiumi e nei torrenti da molti dei quali viene attinta acqua potabile. Solo nell’aprile 2011 l’industria del fracking del Marcellus Shale ha dovuto interrompere l’invio delle acque reflue ai depuratori. Così le compagnie del fracking hanno iniziato a riutilzzare gran parte dell’acqua prodotta o a riutilizzarlo dopo il trattamento in impianti commerciali dedicati che hanno attrezzato per gestire i contaminanti. Un team di ricercatori della Duke University, guidato dal geochimico Avner Vengosh, ha cercato di caratterizzare questi affluenti che venivano scaricati nell’impianto della Josephine Brine Treatment Facility ed hanno confrontato radioattività nei sedimenti solidi sia a monte che a valle dell’impianto, trovando una riduzione del 90% della radioattività nell’effluente. I componenti radioattivi quindi non scompaiono e i ricercatori hanno fatto notare che la maggior parte sui erano probabilmente trasferiti e accumulati ad alti livelli nei fanghi del “depuratore” che poi finiscono in discarica.

Ma anche i sedimenti nel sito di scarico avevano alti livelli di radioattività e finiscono nelle acque superficiali a valle, rappresentando così un rischio di bioaccumulo nella catena alimentare locale. I livelli di radiazione dei sedimenti nel luogo di scarico erano 200 volte superiori a quelli nei sedimenti a monte. Lo studio ha evidenziato il potenziale di accumulazione di radio nell’ambiente dai lagunaggi e in molti altri siti nei quali vengono accidentalmente rilasciati i fluidi del fracking. Inoltre, la maggior parte della “produced water” contiene bromuro, che può combinarsi con la materia organica e il cloro, il disinfettante utilizzato per l’acqua potabile, e formare trialometani, contaminanti pericolosi per il fegato e il sistema nervoso. I ricercatori della Duke hanno trovato concentrazioni molto elevate di bromuro oltre un miglio a valle dall’impianto di trattamento, il che rappresenta un forte rischio per gli impianti di acqua potabile ancora più a valle.

Dopo il 2011, i pozzi di iniezione del fracking hanno cominciato a inviare le acque reflue sotto le falde di acqua potabile e gli industriali dicono che questo impedisce la migrazione di contaminanti nell’acqua dolce.

«Ma alcuni ritengono che questa potrebbe essere una ipotesi sbagliata – scrive la Brown – La ragione per la quale si usa il fracking per forzare la fuoriuscita del gas dalla roccia è anche il motivo per cui alcuni osservatori pensano che i pozzi di iniezione potrebbero essere instabili». Secondo Tom Myers, un consulente idrologico che nel 2012 ha pubblicato uno studio di modellazione sul comportamento dei fluidi sotterranei del fracking, «Ci può volere più di un anno per dissipare l’estrema pressione dell’iniezione. La pressione persistente più alta del normale potrebbe portare alla formazione di acqua più vicino alla superficie, insieme alle sostanze chimiche dl fracking, molto più velocemente di quanto avverrebbe su scale temporali geologiche naturali di migliaia di anni. Questo è particolarmente vero se ci sono anomalie e/o pozzi abbandonati all’interno della zona del fracking». Un altro studio ha dimostrato la possibilità che la “produced water” può migrare nelle falde attraverso percorsi naturali e che il fracking può solo aggravare la cosa.

La scorie del fracking possono essere smaltite utilizzando il sale sulle strade gelate o le scorie solide nella manutenzione stradale, ma mentre i permessi per questi utilizzi fissano limiti consentiti per numerosi componenti, non includono la radioattività. A livello federale i Norm non sono compresi né nell’Atomic Energy Act del 1954 né nel Low-Level Radioactive Waste Policy Act e la Nuclear Regulatory Commission non ha alcuna autorità sulle scorie petrolifere o la radioattività del gas.

Il boom del fracking nel Marcellus Shale è stato così rapido che la ricerca sulle sue conseguenze e in ritardo e l’opinione pubblica lo è ancora di più e ci sono molte domande sulla portata e la grandezza del rischio per la salute umana.