L’industria dei combustibili fossili riceve 11 milioni di dollari al minuto di sussidi espliciti e impliciti

Fondo monetario internazionale: 5,9 trilioni di sussidi ai combustibili fossili solo nel 2020

L’Italia nel 2020 ha dato alle compagnie petrolifere 41 miliardi di dollari, il 2,1% del PIL e 676 dollari pro-capite

[7 Ottobre 2021]

Mentre le compagnie petrolifere fanno schizzare verso l’alto il costo di petrolio e gas mettendo a rischio la ripresa post–Covid e infiammando l’inflazione, il working paperStill not getting energy prices right: a global and country update of fossil fuel subsidies” del Fondo monetario internazionale (Fmi) dimostra quanto siano ingrate e ingorde, e quanto la politica globale sia stata e sia prona ai loro “bisogni”.

Il nuovo studio del Fmi fornisce «un aggiornamento completo a livello globale, regionale e nazionale di: (i) prezzi efficienti dei combustibili fossili per riflettere i loro costi privati ​​e sociali completi; e (ii) le sovvenzioni implicate dai prezzi errati dei carburanti».

Gli autori dello studio, Ian Parry, Simon Black e Nate Vernon, scrivono che «a livello globale, i sussidi ai combustibili fossili sono stati pari a 5,9 trilioni di dollari nel 2020, ovvero circa il 6,8% del Pil, e si prevede che saliranno al 7,4% del Pil nel 2025. Solo l’8% dei sussidi del 2020 riflette un addebito insufficiente per i costi di fornitura (sovvenzioni esplicite) e il 92% è per addebito dei costi ambientali e le tasse di consumo mancato (sussidi impliciti)».

Poi c’è un colossale risvolto economico di questi sussidi, espliciti e impliciti: «Un prezzo efficiente del carburante nel 2025 ridurrebbe le emissioni globali di anidride carbonica del 36% al di sotto dei livelli di base, il che è in linea con il mantenimento del riscaldamento globale a 1,5 gradi, aumentando le entrate pari al 3,8% del Pil globale e prevenendo 0,9 milioni di morti per inquinamento atmosferico locale. I fogli di calcolo di accompagnamento forniscono risultati dettagliati per 191 Paesi».

Dallo studio del Fmi emerge che per sussidi espliciti e impliciti ai combustibili fossili l’Italia ha speso ancora di più dei 34,6 miliardi di euro stimati il 30 settembre da Legambiente nel report “Stop sussidi ambientalmente dannosi”.  Per il Fondo monetario internazionale abbiamo infatti dato alle compagnie petrolifere 41 miliardi di dollari, cioè 35,49 miliardi di euro, il 2,1% del Pil, ovvero 676 dollari pro-capite. Quasi un miliardo di euro in più di quanto aveva prudenzialmente calcolato Legambiente.

A livello globale invece i 5,9 trilioni di dollari dati nel 2020 a carbone, petrolio e gas naturale equivalgono a circa 11 milioni di dollari al minuto e, come già accennato, l’Fmi dettaglia che il 92% è rappresentato dai sussidi impliciti come sgravi fiscali o, in misura molto maggiore, i danni alla salute e all’ambiente che in gran parte non sono stati calcolati nel costo dei combustibili fossili.

Gli autori dell’analisi evidenziano che «il sottoprezzo porta a un consumo eccessivo di combustibili fossili, che accelera il riscaldamento globale e aggrava i problemi ambientali domestici, comprese le perdite di vite umane dovute all’inquinamento atmosferico locale e alla congestione e agli incidenti stradali eccessivi. Questo è stato riconosciuto da tempo, ma a livello globale i Paesi sono ancora lontani dall’adeguare i prezzi dell’energia». Insomma, invece di calmierare i prezzi di fronte alle esose richieste delle compagnie petrolifere e del gas i governi farebbero bene a raffreddare i consumi, togliere gli incentivi alle energie fossili e incentivare quelle rinnovabili, che diventerebbero ancora più competitive se le fossili non venissero così pesantemente drogate con denaro pubblico.

Il rapporto ha rilevato che «il 47 % del gas naturale e il 99% del carbone ha un prezzo inferiore alla metà del suo vero costo» e che «solo cinque paesi – Cina, Stati Uniti, Russia, India e Giappone – rappresentano i due terzi dei sussidi erogati globalmente». Tutti e cinque i paesi appartengono al G20, che nel 2009 ha deciso di eliminare gradualmente i sussidi “inefficienti” ai combustibili fossili “nel medio termine”. Nel 2016 il G7 ha fissato una scadenza del 2025, ma com’è evidente sono stati fatti pochi progressi. A luglio, un rapporto di BloombergNEF e Bloomberg Philanthropies ha dimostrato che dal 2015 , anno in cui è stato adottato l’Accordo di Parigi, i Paesi del G20 hanno sovvenzionato i combustibili fossili per migliaia di miliardi di dollari. I paesi del G20 emettono quasi l’80% dei gas serra globali, mentre più di 600 multinazionali della coalizione We Mean Business, tra cui Unilever, Ikea, Aviva, Siemens e Volvo Cars, hanno recentemente esortato i leader del G20 a porre fine ai sussidi ai combustibili fossili entro il 2025 .

Gli esperti fanno notare che «i sussidi stanno aggiungendo benzina sul fuoco della crisi climatica, in un momento in cui era urgentemente necessaria una rapida riduzione delle emissioni di carbonio».

Il rapporto Fmi sottolinea dunque che «fissare il prezzo del carbone, del petrolio e del gas in modo che rifletta il loro vero costo, ad esempio con una carbon tax, ridurrebbe le emissioni di anidride carbonica di circa un terzo, contribuendo a mettere il mondo sulla buona strada per mantenere il riscaldamento al di sotto di 1,5 gradi. Tali politiche aumenterebbe anche il gettito fiscale per una cifra pari al 3,8% del Pil globale, e preverrebbero quasi 1 milione di morti ogni anno per inquinamento atmosferico locale».

Non a caso uno degli obiettivi della 26esima Conferenza delle parti dell’Unfccc che si terrà a Glasgow è quello di accordarsi sui mercati del carbonio, che consentano la corretta determinazione del prezzo dell’inquinamento e secondo i ricercatori Fmi «la riforma dei prezzi dei combustibili fossili non potrebbe essere più tempestiva. La fine dei sussidi ai combustibili fossili eviterebbe anche quasi un milione di morti all’anno per aria sporca e raccoglierebbe trilioni di dollari per i governi».

Parry ha dichiarato a The Guardian che «ci sarebbero enormi benefici dalla riforma, quindi la posta in gioco è enorme. Alcuni Paesi sono riluttanti ad aumentare i prezzi dell’energia perché pensano che questo danneggerà i poveri. Ma mantenere bassi i prezzi dei combustibili fossili è un modo altamente inefficiente per aiutare i poveri, perché la maggior parte dei benefici va alle famiglie più ricche. Sarebbe meglio destinare le risorse ad aiutare direttamente le persone povere e vulnerabili».

Ipek Gençsü, dell’Overseas development institute, è d’accordo: «La riforma delle sovvenzioni richiede sostegno per i consumatori vulnerabili che saranno colpiti dall’aumento dei costi, nonché per i lavoratori delle industrie che dovranno  semplicemente chiudere. Richiede anche campagne di informazione, che mostrino come i risparmi saranno ridistribuiti alla società sotto forma di assistenza sanitaria, istruzione e altri servizi sociali. Molte persone si oppongono alla riforma delle sovvenzioni perché la vedono esclusivamente come i governi che tolgono qualcosa e non restituiscono».

Con 50 Paesi (Italia compresa) impegnati a raggiungere le emissioni net zero entro la metà del secolo e più di 60 schemi di tariffazione del carbonio in tutto il mondo, per Parry «ci sono alcuni segnali incoraggianti. Ma stiamo ancora solo grattando la superficie e c’è ancora una strada molto lunga da fare».

Commentando il nuovo rapporto del Fmi, Maria Pastukhova del think tank  climatico e3g ha evidenziato che «è una lettura che fa riflettere, che indica uno dei principali difetti dell’economia globale. La roadmap net-zero dell’International energy agency (Iea) prevede che saranno necessari 5 trilioni di dollari entro il 2030 per mettere il mondo sulla strada per un mondo sicuro per il clima. È esasperante rendersi conto che il cambiamento tanto necessario potrebbe iniziare a verificarsi ora, se non fosse per il coinvolgimento dei governi con l’industria dei combustibili fossili in così tante grandi economie. I sussidi ai combustibili fossili sono stati per anni un grosso ostacolo nel processo del G20. Ora tutti gli occhi sono puntati sul vertice dei leader del G20 a fine ottobre».