Energy day alla Cop27: mantenere vivo l’obiettivo di 1,5° C, lasciare gas e petrolio sotto terra (VIDEO)

Le energie rinnovabili possono generare tre volte più posti di lavoro di quanto potrebbero fare gli stessi investimenti nei combustibili fossili

[16 Novembre 2022]

Ieri alla COP27 Unfccc di Sharm el-Sheikh si è celebrato l’Energy Day ed è stata l’occasione per i movimenti ambientalisti e la società civile per prendersi la scena in una COP resa quasi impraticabile per il dissenso a causa della scelta di farla in un Paese autoritario dove una dittatura militare i dissidenti li mette in galera e li tortura.

Le ONG e i loro alleati sono passati al contrattacco rispetto alle notizie che i Paesi ricchi, con la complicità della pesidenza di turno egiziana, starebbero cercando di far saltare l’obiettivo degli 1,5° C e hanno ribadito che «La preoccupante espansione dei progetti di petrolio, gas e carbone, nonostante la scienza ci dica che i combustibili fossili devono rimanere nel sottosuolo per scongiurare i peggiori impatti del cambiamento climatico».

Nei Paesi in via di sviluppo, l’estrazione dei combustibili fossili spesso non porta ricchezza redistribuita ma disuguaglianza, profonda sofferenza e perdita per le comunità e gli ecosistemi vulnerabili.

Secondo l’ International Renewable Agency (IRENA),  «Attualmente solo il 29% della produzione globale di elettricità proviene da fonti rinnovabili e le emissioni di carbonio continuano a registrare una tendenza al rialzo». Intervenendo a un evento a Sharm el-Sheikh, la direttrice esecutiva dell’United Nations environment programme (Unep) Inger Andersen, ha ricordato che «Abbiamo appena scalfito la superficie. E l’anno trascorso da Glasgow, francamente, è stato un anno di procrastinazione climatica. Entro il 2030, dobbiamo ridurre le emissioni tra il 30 e il 45%, ma dalla COP26 le abbiamo ridotte dell’1%. Quindi, abbiamo ancora molta strada da fare. Attualmente viviamo in un mondo che si è riscaldato di 1,1 gradi Celsius dall’era preindustriale e stiamo già assistendo a un aumento di tempeste, siccità, inondazioni e fallimenti dei raccolti. Le politiche attuali ci portano a un mondo a 2,8 gradi… E’ importante che si parli della riduzione delle emissioni e di chi ne fa il carico. Il G20, che si riunisce proprio questa settimana ha una responsabilità collettiva per il 75% di tutte le emissioni. Chiedo a queste economie di investire nella finanza climatica e nella “giustizia climatica”».

Anche il segretario esecutivo dell’Unfccc, Simon Stiell, ha sottolineato l’importanza di contenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi: «Si tratta di un obiettivo fissato dall’accordo di Parigi ma anche saldamente fondato sulla scienza e sui dati concreti. Qualunque cosa oltre un aumento degli 1,5° C aumenta i rischi per la salute, i mezzi di sussistenza, la sicurezza alimentare, l’approvvigionamento idrico, la sicurezza umana e la crescita economica. Per molti, è già un inferno vivente: ogni frazione di grado oltre gli 1,5 mette sempre più in pericolo la vita umana su questo pianeta. Invito tutti i Paesi a essere “rigorosi” nei loro sforzi per mantenere i loro impegni presi con il Glasgow Climate Pact per tenere in vista gli 1,5° C». Già il 14 novembre Stiell aveva invitato soprattutto i Paesi sviluppati a «Colmare il gap a Sharm el-Sheikh per garantire un’azione rapida su mitigazione, adattamento, finanziamento di perdite e danni e responsabilità» e  a «Presentare “posizioni sostanziali” per andare avanti su questi temi». Ieri, dopo aver lodato il Sudafrica per il piano multimilionario per passare dal carbone all’energia verde, ha aggiunto: «Prevediamo di sentire maggiore ambizione in questo settore quando i ministri del G20 si incontreranno questa settimana a Bali. Quindi, stiamo facendo progressi alla COP27, ma andare oltre e più velocemente significa anche agire oltre la COP per ridurre le emissioni».

In effetti, al G20 di Bali, una coalizione di paesi, guidata da Usa e Giappone, ha annunciato che investirà 20 miliardi di dollari per ridurre drasticamente la dipendenza dell’Indonesia dal carbone e per avviare la transizione della grande nazione del sud-est asiatico verso l’energia rinnovabile. Attualmente, l’Indonesia è uno dei maggiori consumatori mondiali di carbone e il quinto più grande emettitore di gas serra al mondo.

In un intervista a UN News, Jim Skea dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha fatto notare che «Il mondo ha assistito a importanti sviluppi in termini di energia rinnovabile, con costi in calo e diffusione in aumento negli ultimi anni. Oggi la metà delle emissioni mondiali è coperta dalla legislazione climatica. Un quinto delle emissioni mondiali è coperto da carbon prices i prezzi del carbonio. Quindi, le persone non hanno ancora utilizzato tutti gli strumenti, ma li hanno sul banco di lavoro. E se le persone hanno abbastanza forza di volontà per farlo, possono accadere grandi cose. I rapporti dell’IPCC chiariscono che nel breve termine dovrebbero esserci riduzioni “enormi” nell’uso del carbone, medie in termini di petrolio e modeste riduzioni in termini di gas per mantenere raggiungibile lo scenario 1,5° C. Dobbiamo ridurre il consumo di gas del 45% entro il 2050. Si tratta di una riduzione del 2% all’anno. E francamente, i giacimenti di gas esistenti si esauriranno più velocemente di così. Il mondo ha bisogno di “uscire” da tutti i combustibili fossili, ma forse a velocità diverse».

Intanto, il direttore generale di IRENA, Francesco La Camera, spiegava che «Il futuro dei sistemi energetici sarà basato in gran parte sulle rinnovabili e integrato dall’idrogeno verde e dall’uso sostenibile delle biomasse. Oggi nel sistema energetico abbiamo meno di un terzo di fonti rinnovabili, due terzi di combustibili fossili. Nel 2050 avremo una situazione completamente diversa, dove le rinnovabili e l’energia pulita costituiranno più dei due terzi dell’energia. Tutto sta cambiando. Le soluzioni per l’energia solare ed eolica hanno avuto una riduzione di prezzo a due cifre negli ultimi due anni. Le energie rinnovabili possono generare tre volte più posti di lavoro di quanto potrebbero fare gli stessi investimenti nel settore dei combustibili fossili, oltre a contribuire maggiormente al PIL dei Paesi. La crisi ucraina ha certificato la fine del sistema energetico centralizzato sui combustibili fossili. I governi hanno improvvisamente scoperto che non possiamo avere l’80% del Paese dipendente dai combustibili fossili e ora tutti vogliono optare per un sistema che potrebbe essere più indipendente. Tuttavia, mentre la transizione è in corso, non sta avvenendo alla velocità e alla portata necessarie per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi».

Il 10 novembre, Urgewald e altre 50 ONG partner hanno presentato alla COP27 la “2022 Global Oil & Gas Exit List – An Industry Willing to Sacrifice a Livable Planet” (GOGEL), un database a livello di public company  che copre 901 compagnie Oil & Gas che rappresentano il 95% della produzione globale di petrolio e gas e che ha rivelato che, nonostante le promesse di riduzione e transizione, «Il 96% dell’industria petrolifera e del gas è in espansione e molte istituzioni finanziarie e banche continuano a fare investimenti correlati, anche quando molti si sono impegnati a “passare al Net-Zero”».

Durante una conferenza stampa, la direttrice di Urgenwald, Heffa Schuecking, ha raccontato costa sta succedendo in Africa: «Vediamo nuovi progetti sui combustibili fossili in 48 dei 55 paesi africani e questi progetti possono essere ricondotti a 200 companies. Mentre qui alla COP si discute, vediamo uno scollamento con ciò che sta accadendo in Egitto e nel resto dell’Africa. Solo in Egitto, abbiamo 55 compagnie che fanno prospezioni per scoprire nuovo gas. Attualmente, circa 5 miliardi di dollari vengono spesi dalle compagnie per l’esplorazione di petrolio e gas in Africa. E’ uno spreco di denaro, soprattutto se si tiene conto del potenziale di energia rinnovabile nel continente. Se confrontiamo gli investimenti nel settore fossile e quelli nel settore rinnovabile, il gap è enorme, è enorme. Stiamo investendo nel posto sbagliato. Le compagnie dei combustibili fossili stanno aprendo un nuovo tipo di frontiere, con esplorazioni petrolifere ora pianificate anche in Namibia, dove fino ad ora non c’era stata alcuna espansione di petrolio e gas. Non si tratta solo di clima; si tratta di distruzione della natura. Si tratta della distruzione della salute delle persone. Si tratta di sfollamento e impoverimento delle comunità. La maggior parte delle imprese che realizzano questi progetti non sono africane, ma hanno sede in Europa, Stati Uniti e Cina».

E Un News  racconta la storia di Odudu-Abasi James Asuquo, una giovane Ogoni che ha sperimentato in prima persona le conseguenze dell’esplorazione di petrolio e gas nella regione del delta del Niger, nel sud della Nigeria, un territorio e delle comunità che da decenni sono vittime delle compagnie petrolifere, tanto che alla fine, nel 2017, dopo decenni di inquinamento, guerra e miseria, la comunità Ogoni ha portato la Shell Oil in gtribunale. La Asuquo ha raccontato: «Perdo persone ogni giorno. La mia comunità è stata uccisa ed è stata distrutta. Ho tanta paura di mettere al mondo un bambino e sono solo una persona giovane. Ho paura per il mio futuro. La mia intera comunità ora vive in un campo per sfollati interni (IDP) dopo che l’intero Stato di Rivers è stato allagato. La mia comunità ha bisogno di molto aiuto. I governi devono svegliarsi. Il cambiamento climatico non è una statistica, è una realtà. Per me, è la mia vita quotidiana. ho perso i miei genitori; Ho perso la mia gente. Non ho una vita. Non ho nemmeno una casa dove tornare perché non c’è terra. L’acqua è inquinata. L’aria è inquinata. Quindi, il cambiamento climatico è la mia realtà».

Nel 2011, l’Unep  ha condotto una valutazione nel territorio da cui proviene la giovane attivista e ha scoperto che l’impatto di 50 anni di produzione di petrolio nella regione era più profondo di quanto si pensasse: « causa di fuoriuscite di petrolio, flaring di petrolio e scarico di rifiuti, il suolo alluvionale del delta del Niger non è più praticabile per l’agricoltura. Inoltre, in molte aree un tempo ritenute inalterate, si è scoperto che le acque sotterranee contengono alti livelli di idrocarburi o sono state contaminate da benzene, un cancerogeno, a livelli 900 volte sopra le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms)».

La Asuquo ha commentato: «Parlano del 2030 e io non so se ci arriverò. Stanno parlando del 2024, non sono sicura neanche di questo. La mia comunità ha bisogno di aiuto ora e oggi è il giorno dell’azione. I Paesi ricchi dovrebbero pagare il loro debito con il Sud del mondo. Devono pagarci quello che ci è dovuto, perché ci hanno distrutto. Non dovremmo implorare per questo».

Anche se contiene elementi di interesse espressi dalle parti in materia di mitigazione, adattamento e perdite e danni, la bozza di documento finale della COP27 che sta circolando non sembra rispondere a questa urgenza imminente. L’ambientalista Joseph-Zane Sikulu di Tonga ha detto che «Dobbiamo uscire da questa COP con un chiaro percorso verso gli 1,5° C. Il testo finale di quest’anno dovrebbe includere la frase “eliminazione graduale di tutti i combustibili fossili”, non solo del carbone».

Miriam Hinostroza, economista ambientale dell’Unep, ha parlato con UN News di alcune delle complessità nei negoziati sulla graduale eliminazione dei combustibili fossili nei Paesi in via di sviluppo: «A volte, per i Paesi una priorità è la crescita economica, che ottengono solo dall’uso di combustibili fossili: sono ancora economici, le tecnologie ci sono, ci sono molte centrali elettriche [e] non possono [all’improvviso] semplicemente sbarazzarsi di questi impianti. Quindi, c’è questo problema dei beni bloccati: cosa fare con tutti questi investimenti, tutte queste tecnologie. Cstringere i paesi a sbarazzarsi dei combustibili fossili nei prossimi 5 – 10 anni purtroppo non è  una realtà». Quindi, nonostante il greenwashing sparto a piene mani dai Paesi sviluppati e dalla multinazionali fossili, il problema non è che gas e petrolio servono a favorire lo sviluppo nei Paesi in via di sviluppo dove viene estratto, ma che serve a mantenere in piedi un’industria ipertrofica e vorace nei Paesi sviluppati.

Riguardo alle perdite e danni, diventata la questione principale della COP27 grazie al testardo impegno dei Paesi poveri, ieri la presidenza egiziana ha pubblicato una bozza di testo che include questioni relative al finanziamento con varie opzioni, una delle quali crea un nuovo meccanismo finanziario.

Il presidente dell’Assemblea generale dell’Onu, l’ungherese Csaba Kőrösi, ha sottolineato che «Gli impegni per ridurre le emissioni, per migliorare le misure di adattamento, per riparare le perdite e i danni e gli impegni per aumentare i finanziamenti, devono essere messi tutti in atto. La COP27 è “la COP di attuazione”. E’ giunto il momento di colmare il gap tra impegni e realizzazione. Invito i delegati a chiedersi se, entro la fine della conferenza, il bicchiere sarà mezzo pieno o mezzo vuoto. Il bicchiere sarà pieno quando manterremo i nostri impegni e utilizzeremo le soluzioni che già abbiamo. Questo bicchiere sarà pieno quando supereremo i dibattiti procedurali e potremo concentrarci completamente su come affrontare la trasformazione verso un percorso di sviluppo sicuro per l’acqua e il clima. Quindi lasciate che sia un bicchiere pieno».

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