Dopo la strage di San Bernardino. Sayed Farooq è un americano

Il suo atto terribile non nasce da una cultura straniera inconoscibile. E’ la volenza endemica negli Stati Uniti

[4 Dicembre 2015]

Cari Compatrioti,

mi rivolgo a voi in un momento di stress collettivo, con un’altra sparatoria di massa, questa volta a San Bernardino, in California, che domina le news. Indovinare l’identità degli sparatori – nero o bianco, cristiano o musulmano, uomo o donna (anche se la mascolinità è quasi garantita) – è diventata un vizioso rituale dei social-media. Troppe persone sembrano credere che possiamo discernere la motivazione per etnia, o che l’etnicità da sola determini questo  tipo di terrore che può essere giustamente considerato terrorismo.

E’ stato con grande tristezza che ho assistito alla vostra reazione gioiosa quando la polizia ha indicato Syed Farooq, un musulmano devoto, come uno dei sospetti. Sembra che abbiate l’impressione che uno sparatore  musulmano assolva gli Stati Uniti della brutalità, dimenticando che Farooq è anche un americano. Questa visione del mondo vi permette di abbracciare mitologie che vi esonerano dalla violenza politica.

Ma dobbiamo riconoscere la nazionalità di Farooq, perché la sua terribile azione non nasce da una cultura straniera inconoscibile, ma da una endemica degli Stati Uniti. È possibile escludere se stessi dalle azioni di Farooq solo se si è disposti a escludere le minoranze dall’identità nazionale. Molti di voi sono felice di farlo, ma è una scelta intellettualmente pigra.

E’ per questo che vi saluto come compatriota. Un saluto che potrebbe mettervi a disagio perché sono arabo, ma sono anche americano. Essere americano non richiede speciali caratteristiche etniche, religiose o ideologiche, anche se la nostra nazionalità contiene domande implicite. Una di queste richieste è quella di non essere arabo o musulmano.

Però, ora basta parlare di tecnicismi. Non voglio rischiare di essere pedante o implorare la vostra accettazione, né ho alcun interesse a collocare l’omicidio di massa all’interno di gerarchie di tollerabilità. Vi chiedo semplicemente di prendere in considerazione il perché esistono queste gerarchie e perché sia così facile citare la violenza di Stato come necessaria o auspicabile. C’è un legame tra la devianza presunta della sparatoria di Farooq e la vostra infinita, irremovibile, giustificazione delle stragi USA in tutto il mondo.

Per dirla chiaramente: pensare a un comportamento violento come qualcosa di innato nello straniero è una logica terrificante per fare violenza in luoghi stranieri. Vi costringe a odiare le persone e richiede la vostra fedeltà ad istituzioni volte a violare i vostri interessi.

Penso che siete stati ingannati da politici e da luminari per odiare gli arabi e musulmani. Questo odio è un male per gli arabi e i musulmani, naturalmente, ma vi fa anche poco bene. Potrebbe farvi sentire meglio rispetto al vostro posto nella gerarchia razziale americana. Potrebbe alleviare le vostre ansie maggioritarie. Potrebbe ribadire la superiorità della vostra fede. Potrebbe rendere il nazionalismo più facile da accettare. Però, non vi aiuta a capire meglio questo mondo e certamente non manterrà il cibo sul tavolo. In realtà, depriva tutti insieme del sostentamento intellettuale ed economico.

Gli atteggiamenti che avete: che gli arabi sono obbligati ad una cultura violenta, che l’Islam è il solo che produce male religioso, che i rifugiati siriani minacciano la sicurezza americana, che il Medio Oriente e l’Asia meridionale sono luoghi di barbarie mistica, esistevano da prima del 9/11, ma sembrano avere una particolare risonanza nelle elezioni presidenziali in corso.

Ad essere onesti, è diventato straordinariamente inquietante. Mi ricorda un po’ troppo della retorica che precedette l’internamento dei giapponesi americani durante la seconda guerra mondiale. Non scelgo questa analogia a caso: più di un eminente conservatore ha suggerito di internare i musulmani. Lo ha fatto anche il Faro liberale Wesley Clark, quando ha parlato di internamento e l’ha proposto come rimedio per lo “sleale”.

Ogni giorno sento un altro demagogo infiammare la vostra indignazione, chiedendovi di mantenere una psicologia acutamente risentita. Ben Carson, spesso descritto come giudizioso e presidenziale, di recente ha proclamato  che “non sarebbe favorevole a che mettessimo  un musulmano a capo di questa nazione” una flagrante violazione costituzionale e un  capro espiatorio un po’ volgare e inutile.

La scorsa settimana, Donald Trump ha ripetuto la bufala che gli arabi del New Jersey hanno festeggiato quando sono crollate le  Torri Gemelle, sostenendo che avrebbe visto “una grossa popolazione araba che faceva il  tifo mentre gli edifici venivano giù”. Questo per Trump implica che tutti gli arabi supportano il  9/11. Nessuno, quindi, è degno di fiducia. Per fare questo tipo di commenti, non c’è nessuna ragione diversa da quella di voler manipolare il nostro desiderio di sicurezza e creare così un pretesto per possibilità impensabili.

E’ così difficile riconoscere i tanti problemi di un discorso che si affida così pesantemente alla demonizzazione per generare consenso? Il demagogo può emanare violenza solo quando la sua audience   si rifiuta di riconoscere la natura violenta della demagogia.

I politici non amano niente più di una cittadinanza impaurita e disinformata. E’ così che ci convincono a consegnare loro la nostra espropriazione. Le persone che discernono le zone d’ombra e hanno la capacità di ragionare oltre la propaganda sono i loro clienti più indesiderabili. Gli Stati Uniti non possono essere una democrazia funzionante, se ci rendiamo così compiacenti.

Che ci crediate o no, arabi e musulmani (e altre minoranze) non sono la fonte dei vostri problemi. Girate alla larga dai politici che promettono un mondo semplice per avere un target migliore della vostra rabbia.

So che siete pronti a contrastare il “terrorismo”, ma il termine è in gran parte un bromuro nel vocabolario politico americano. E’ inutile discutere quali gruppi commettono violenza. Non passa settimana che non si senta di un altro suprematista bianco che ha ucciso sud-asiatici, ebrei, musulmani, ispanici o afroamericani. Noi Usa e i nostri alleati produciamo una straordinaria distruzione nelle regioni del mondo che può solo essere definita barbara. La polizia uccide impunemente. Il nostro presidente ordina la morte tramite  controllo remoto. Tutti soffrono, ma delle persone sovrintendono a questo orrore.

Esempi  di spettacolare crudeltà pervadono gli Stati Uniti, ma noi accogliamo qualsiasi possibilità di disconoscerlo come fosse un problema esotico. E oggi saranno uccise ancora più persone, molte delle quali da coloro per i quali avete votato ed ai quale paghiamo le tasse.

Dobbiamo lavorare per capire meglio come i discorsi dell’elite dividano la violenza nelle categorie del bene e del male, civile e selvaggio, razionale e irragionevole. Chi crea questi binari? Che soffre per le loro finalità? Chi trae profitto dalla loro persistenza?

Analizziamo insieme queste domande. Ci sarà sicuramente da essere sorpresi da ciò che apprenderemo  attraverso il semplice atto di ascolto. Prima di farlo, però, vi chiedo di ricordare che io sono un  fiero arabo ma giuridicamente americano, e mi rifiuto di prendere in considerazione la possibilità che una delle due categorie invalidi l’altra.

Steven Salaita

titolare della cattedra Edward W. Said all’Università americana di Beirut.

Il suo libro più recente è Uncivil Rites: Palestine and the Limits of Academic Freedom

 

Questo articolo è stato pubblicato il 3 dicembre 2015 da Salon.com con il titolo Syed Farooq is an American: Let’s stop the Muslim vs. Christian debate and take a look at ourselves” e subito ripreso da diversi siti statunitensi e internazionali