Dopo il lockdown, a maggio le emissioni di CO2 della Cina sono già risalite del 4 – 5%

La difficile ripresa del gigante cinese. Ma il governo di Pechino non sembra puntare sulla crescita verde

[1 Luglio 2020]

Nelle sei settimane successive al blocco delle attività per l’epidemia di Coronavirusa, dall’inizio di febbraio a metà marzo, prima di raggiungere il del minimo, in Cina le emissioni di gas serra erano diminuite del 25% grazie soprattutto alla riduzione della produzione nelle fabbriche e nelle centrali elettriche. Anche il traffico stradale e aereo è diminuito drasticamente.

Ma, come scrive su Carbon Brief Lauri Myllyvirta, analista del Centre for Research on Energy and Clean, «Gli ultimi dati mostrano che il rimbalzo delle emissioni è stato rapido, come dimostra il ritorno dell’inquinamento atmosferico ai livelli pre-crisi. L’aumento di CO2 a maggio è stato trainato dal carbone, dal cemento e da altre industrie pesanti, che sembrano rimbalzare più velocemente di altri settori dell’economia. Questo sta suscitando preoccupazioni riguardo alle implicazioni globali di una ripresa coal-heavy in Cina». Myllyvirta aggiunge però che «Tuttavia, gli ultimi dati mostrano che le emissioni di CO2 della Cina nel 2020 ad oggi rimangono circa il 6% al di sotto dei livelli del 2019. Con la Cina che ha perso il suo obiettivo del PIL per la prima volta in 30 anni – ma sta anche accantonando obiettivi “verdi”, quest’anno rimangono dei punti interrogativi sul trend delle emissioni».

Gli ultimi dati ufficiali mostrano che il rimbalzo delle emissioni cinesi è stato rapido, con quelle di CO2 in aumento di circa il 4-5% su base annua a maggio. I principali fattori dell’aumento complessivo delle emissioni di CO2 a maggio sono stati il 9% in più della produzione di energia termica e della produzione di cemento.

L’energia termica, soprattutto carbone è rimbalzata molto più velocemente della domanda di energia complessiva a causa dei pochi impianti di energie rinnovabili entrati in funzione la scorsa estate e della diminuzione della produzione delle dighe idroelettriche.

Invece, a maggio in Cina la produzione di energia nucleare è aumentata del 14%, quella eolica del 5% e il solare del 7% su base annua, ma  non è stato sufficiente per compensare il calo del 17% dell’energia idroelettrica.

Gli ultimi dati di giugno sono però abbastanza confortanti e mostrano che l’aumento della produzione di carbone è diminuito, con livelli leggermente inferiori a quelli del 2019.

Un altro brutto segnale, per il clima è l’ambiente cinesi, è il forte aumento a maggio della produzione di cemento  che ha rappresentato un quinto dell’aumento complessivo delle emissioni mensili di CO2 rispetto allo scorso anno. Ma finora la produzione di cemento è ancora in calo rispetto al 2019, il che significa che gran parte della crescita di aprile e maggio rappresenta un recupero dopo che la produzione è stata interrotta dal blocco anti-Covid-19. Myllyvirta fa notare che «La domanda di cemento è guidata da investimenti immobiliari e infrastrutturali, che devono ancora recuperare completamente. Non è ancora chiaro se il salto di maggio rappresenti una crescita di recupero a breve termine o un aumento più profondo dei volumi delle costruzioni».

In Cina, anche la domanda di petrolio  è tornata ai livelli dell’anno scorso e l’utilizzo del diesel è aumentato fortemente a causa della domanda del trasporto merci e dell’industria. Anche il  passaggio dal trasporto pubblico alle auto private da parte di molti pendolari ha fatto aumentare la domanda di benzina.

Le importazioni e la produzione delle raffinerie sono a livelli quasi record e l’industria petrolchimica cinese  cerca di trarre il massimo vantaggio dai bassi prezzi del petrolio, puntellando così il traballante mercato petrolifero globale. Ormai le capacità di stoccaggio di prodotti petroliferi in Cina sono al limite e questo significa che le importazioni potrebbero diminuire man mano che le scorte raggiungono il culmine.

La domanda di gas, cresciuta del 10% negli ultimi anni, a febbraio è crollata, con i consumi nei primi due mesi dell’anno che hanno registrato un aumento dell1% rispetto allo stesso periodo del 2019. A marzo la  domanda di gas ha toccato il fondo, ma ad aprile era già cresciuta del 9%.

Myllyvirta scrive che «Mentre le emissioni di CO2 della Cina sono aumentate a maggio, il totale per il 2020 ad oggi rimane al di sotto dei livelli dello scorso anno e le prospettive per il resto dell’anno e oltre sono incerte». Quel che è certo è che per sostenere l’economia sono stati avviati progetti molto inquinanti e che le centrali a carbone autorizzate arriveranno a produrre 40 gigawatt nella prima metà dell’anno, il picco dell’ondata di autorizzazioni dal 2015 e quattro volte la capacità totale del Regno Unito.

Ma a quanto pare il governo centrale cinese sta correndo ai ripari: a giugno 6 ministeri hanno firmato un documento congiunto nel quale danno indicazioni alle province di dare la priorità all’energia pulita, alla trasmissione di energia tra le province e alle misure di flessibilità, invece di approvare più centrali a carbone.

Gli investimenti complessivi nella produzione di energia elettrica stanno aumentando: l da gennaio a maggio in Cina la spesa in conto capitale per servizi di pubblica utilità è cresciuta del 14% su base annua, anche se la spesa complessiva in conto capitale è diminuita del 6%. «Ciò dimostra – diceMyllyvirta  –  che è probabile che il settore dell’energia elettrica contribuirà in modo decisivo a riavviare la spesa per investimenti dopo la crisi del  Covid-19. Dove vanno questi investimenti nel settore energetico – in una maggiore capacità di carbone o in reti e fonti più pulite – ha implicazioni a lungo termine per l’energia e le emissioni.  Il settore delle energie rinnovabili prevede che l’aumento della spesa farà ripredere gli impianti di energia eolica e solare, che sono crollati l’anno scorso. Prima delle interruzioni dovute al Covid-19, quest’anno si prevedeva che gli impianti fotovoltaici aumentassero fino al 50%, riguadagnando il calo degli impianti nel 2019 in seguito alla riduzione delle tariffe solari. Dopo i blocchi del Covid-19, l’industria sta ancora pfacendo proiezioni per un guadagno del 15-30% a 35-40 GW installati. Le aggiunte totali combinate di energia eolica e solare nel 2020 potrebbero salire del 25% su base annua a circa 70 GW».

Dopo l’eccezionale decisione del governo comunista cinese di eliminare gli obiettivi di crescita del PIL E di spostare l’attenzione sul mantenimento dei posti di lavoro e il soddisfacimento delle esigenze della popolazione, le industrie pesanti potrebbero trovarsi a rivedere le loro previsioni di crescita. Ma dietro tutto questo non sembrano esserci preoccupazioni ambientali, visto che il governo ha abbandonato anche una serie di obiettivi ambientali e sulle emissioni».

Per Myllyvirta, «Una motivazione più probabile è quella di preservare la flessibilità della politica tra le preoccupazioni relative alla creazione di posti di lavoro urbani e livelli elevati di debito, problemi che non vengono risolti dalla costruzione di più parchi industriali sottoutilizzati nelle regioni interne. I leader cinesi, a differenza di molti altri in tutto il mondo, non hanno esplicitamente enfatizzato la “ripresa verde” Tuttavia, se il resto dell’economia rimane debole e le pressioni finanziarie aumentano, i politici potrebbero sentirsi in dovere di aumentare la spesa per gli incentivi ad alta intensità di carbonio spingendo a fondo il pedale dell’acceleratore. Si teme già che lo stimolo di tali settori potrebbe mettere a rischio l’obiettivo di intensità energetica nel piano quinquennale 2016-2020 della nazione. Ciò richiede ancora una riduzione dell’intensità energetica quest’anno, il che significa che la crescita del consumo di energia dovrebbe essere più lenta della crescita del PIL».