Dal Piano Mattei al Piano Descalzi. Eni e governo alla campagna d’Africa

Enrico Gagliano: «Ove attuato il Piano Descalzi renderebbe l’Italia dipendente dalle fonti fossili fino al 2048»

[15 Febbraio 2023]

Dopo Gentiloni, Conte, Di Maio e Draghi, è toccato questa volta a Giorgia Meloni seguire le orme della diplomazia Eni in Algeria. Risponde a realtà, infatti, che in certe aree a pesare di più siano i buoni uffici dei funzionari di San Donato Milanese piuttosto che l’operato della Farnesina e che il cosiddetto nuovo “Piano Mattei” sia ispirato più dalla visione strategica di Eni e del Suo Amministratore Delegato che del Presidente del Consiglio.

La missione di Giorgia Meloni in Algeria è avvenuta a cose già fatte: il Cane a sei zampe “è presente in Algeria dal 1981 ed è oggi la principale compagnia energetica internazionale operante nel Paese”; qui nel corso del 2021 Eni ha prodotto petrolio e condensati per 20 milioni di barili, 1,7 miliardi di mc di gas naturale e 31 milioni di mc di barili equivalenti di idrocarburi. Anche grazie agli accordi siglati con la compagnia di Stato algerina Sonatrach, nel 2023 la produzione di olio di Eni in Algeria raggiungerà la quota record di 43,8 milioni di barili l’anno. Non male per una compagnia che ha fissato al 2050 il raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni!

Nel corso dell’ultimo anno Eni ha impresso una forte accelerazione allo sviluppo delle sue attività sul suolo algerino: ha avviato un nuovo campo nel Berkin Basin per la produzione di olio e la produzione di due campi a gas del nuovo contratto Berkin Sud, in entrambi i casi in collaborazione con Sonatrach; acquisito le attività di British Petroleum dei più importanti campi produttivi a gas operati da compagnie internazionali in Algeria; annunciato una nuova scoperta onshore nel bacino di Berkin Nord; firmato nuovi contratti per i blocchi 404 e 208; siglato numerosi accordi con Sonatrach.

Ad Eni segue a ruota la “gemella” Snam: questo vale sia per i due memorandum strategici firmati da Meloni e dal Presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, sia per le ricadute che le intese produrranno sul territorio italiano in termini di realizzazione di nuove infrastrutture per il trasporto del gas. La prima partnership tra Eni e Snam sui gasdotti tra Algeria e Italia risale al 2021 ed è stata sugellata dalla cessione da Eni a Snam del 49.9% “delle partecipazioni detenute (direttamente e indirettamente) da Eni nelle società che gestiscono i due gruppi di gasdotti internazionali che collegano l’Algeria all’Italia (TTPC e TMPC). Eni ci informa che l’operazione si è perfezionata il 10 gennaio scorso.

Non alle dichiarazioni rese da Giorgia Meloni in conferenza stampa, quindi, bensì ai contenuti delle interviste rilasciate dall’AD di Eni, Claudio Descalzi, dobbiamo guardare per comprendere la portata delle nuove intese Italia-Algeria e come si è involuta la politica energetica dell’Italia. Cosa prevede il Piano battezzato dal Governo come “Nuovo Piano Mattei” e che sarebbe invece più corretto denominare “Piano Descalzi”, che intende fare dell’Italia l’hub energetico del Mediterraneo?

Come precisato nel comunicato stampa ufficiale di Sonatrach “Il primo memorandum di intenti strategici mira a identificare le migliori opzioni per aumentare le esportazioni di energia dell’Algeria verso l’Europa, al fine di garantire la sicurezza energetica supportando al contempo una transizione energetica sostenibile. Si baserà sulla valutazione dei seguenti quattro assi: l’estensione della capacità di trasporto gas esistente, la posa di un nuovo gasdotto per il trasporto di gas naturale e in alternativa idrogeno e ammoniaca blu e verde, la posa di un cavo elettrico sottomarino e l’estensione dell’attuale capacità di liquefazione del gas naturale. Il secondo protocollo di intenti strategici identificherà le opportunità per ridurre le emissioni di gas serra in Algeria e le migliori tecnologie per attuare tale riduzione”.

Riletto dalla sponda italiana del Mediterraneo, il primo memorandum si tradurrà in un ulteriore aumento delle importazioni di gas dall’Algeria dagli attuali 25 miliardi di metri cubi ai 28 del prossimo anno, fino a raggiungere quota 35 miliardi, nella prospettiva di azzerare le importazioni di gas russo dal 2024/2025. Il Piano Descalzi in verità mira a fare dell’Italia l’hub energetico dell’Europa, un ponte tra l’Africa e L’Europa. La partnership italo-algerina è solo uno dei tasselli di cui si compone il mosaico di Eni. Dice Descalzi: “Con L’Africa siamo gli unici ad avere una connessione via pipe con l’Algeria, che ha una capacità di 36 miliardi di metri cubi, ancora sottoutilizzata … Abbiamo una connessione via pipe con la Libia che vale adesso 12-14 miliardi di metri cubi in termini di capacità che, con adeguate aggiunte di compressione, può salire di parecchi miliardi. Poi abbiamo l’Egitto e tutta l’Africa, con Nigeria, Angola, Congo, Mozambico, che può portare energia”.

Eni a tutto gas, dunque. Il comunicato diramato il 23 gennaio da Eni e Sonatrach ha il sapore della beffa, in tutto e per tutto drammaticamente coerente con la campagna di greenwashing e mistificazione che Eni sta finanziando da anni nel nostro Paese: “L’Amministratore Delegato di Eni, Claudio Descalzi, e l’Amministratore Delegato di Sonatrach, Toufik Hakkar, hanno firmato oggi ad Algeri accordi strategici che delineano i futuri progetti congiunti in materia di approvvigionamento energetico, transizione energetica e decarbonizzazione. … Attraverso questi accordi, Eni e Sonatrach identificheranno opportunità per la riduzione delle emissioni di gas serra e di gas metano, definiranno iniziative di efficienza energetica, sviluppo di rinnovabili, produzione di idrogeno verde e progetti di cattura e stoccaggio di anidride carbonica, a supporto della sicurezza energetica e allo stesso tempo per una transizione energetica sostenibile”.

In estrema sintesi, parrebbe che Eni e il Governo italiano abbiano individuato un partner privilegiato per lo sviluppo di rinnovabili, l’efficientamento energetico e la produzione di idrogeno verde in un Paese che è decimo produttore al mondo di gas naturale, detentore dell’1,2% delle riserve provate di gas a livello mondiale e di importanti riserve di metano non convenzionale. Quando si dice “il profilo del partner ideale”. In realtà, vista la marginalità degli investimenti in rinnovabili ed efficienza energetica, Eni è ancora oggi sinonimo di gas e petrolio e tale sarà ancora per molto. Nihil novi sub sole, dunque, se non fosse per il riferimento di Descalzi a certi “colli di bottiglia” che con molta probabilità anticipano una riedizione dello “Sblocca Italia” di renziana memoria e la realizzazione di nuove grandi opere dannose e inutili, che renderanno l’Italia ancor più dipendente dalle importazioni di gas e sempre più esposta agli effetti devastanti della crisi climatica.

Descalzi sul punto è stato chiaro e diretto: cosa serve importare gas se poi non lo possiamo dirottare da sud verso nord? Dobbiamo quindi stringere su burocrazia ed autorizzazioni: “Ora tra Campania, Abruzzo e Molise abbiamo un collo di bottiglia: dal sud possono arrivare al massimo 126 milioni di metri cubi al giorno, questo è il collo di bottiglia e siamo quasi al limite. Snam ha lanciato un piano di espansione che deve essere approvato da Arera … Venendo tutto il gas dal Sud se abbiamo un collo di bottiglia il concetto di hub è potenziale, non si entra in energia cinetica. È un grande potenziale che non si esprime”.

L’AD di Eni ha già evocato un piano Gnl ed un piano Gasdotti per il Sud, e non v’è dubbio che il Governo di Giorgia Meloni li farà propri riscrivendo in peggio sia il Piano Nazionale Integrato Energia Clima sia il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, assecondando le richieste di Eni e di Snam. La lista della spesa è nota: raddoppio della linea adriatica; raddoppio del Tap; raddoppio/potenziamento del Trasnmed; autorizzazione del gasdotto Galsi; rilancio del gasdotto Eastmed; 5 nuovi gasdotti per il Sud; nuovi rigassificatori, tra cui uno a Gioia Tauro (Enel) ed uno a Porto Empedocle (Sorgenia e Iren), con le partite dell’idrogeno blu e della cattura/stoccaggio di CO2 tutte ancora da giocare a favore dei “killer del clima”, Eni in testa.

Tutto questo con quali effetti se non quello, evidentemente voluto e perseguito da Eni e Governo, di procrastinare il compimento della transizione dalle fonti energetiche sporche a quelle pulite e rinnovabili? Le ragioni di un prevedibile rallentamento sono evidenti: le opere fossili dreneranno risorse pubbliche e private sottraendole ai progetti riguardanti rinnovabili ed efficientamento. Non solo. Atteso che, citando Sergio Ferraris, il ritorno sugli investimenti in infrastrutture fossili si compie tra gli 8 ed i 15 anni e che ne occorrono altri 10 per superare “l’inerzia industriale dovuta agli investimenti accessori relativi all’utilizzo del gas naturale negli usi finali”, ove attuato il Piano Descalzi renderebbe l’Italia dipendente dalle fonti fossili fino al 2048.

In ultimo e non per ultimo, l’eventualità che, superata l’emergenza gas, l’eccesso di offerta rispetto una domanda in contrazione possa far precipitare il prezzo del chilowattora elettrico prodotto da gas al di sotto di quello “rinnovabile”.

Tirando le somme, a chi giova, dunque, il Piano Descalzi?

di Enrico Gagliano

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