600 posti di lavoro persi nell’oil & gas nel ravennate, quelli che doveva salvare l’astensione al referendum

In Croazia stop alle trivelle offshore, ma via libera a quelle onshore

Trivellazioni offshore pericolose per turismo e pesca, ma sì a quelle onshore nel granaio dei Balcani

[20 Giugno 2016]

Il governo croato, appena sfiduciato dal più grosso partito del Paese e della destra, l’Hrvatska demokratska zajednic (HDZ), ha deciso di chiudere definitivamente il mare della Croazia alle trivellazioni di gas e petrolio hoffshore. Il ministro per l’economia, Tomislav Panenić, ha detto: « Posso confermare che le prospezioni petrolifere in adriatico non sono accettabili. Non ci saranno esplorazioni petrolifere nel mare Adriatico. La maggioranza dei cittadini è contraria all’estrazione di petrolio in Adriatico , e noi obbediamo. Il turismo è molto più importante e questo progetto è semplicemente inaccettabile».

Secondo Greenpeace,  si tratta di «Poche righe che fanno calare il sipario sul miraggio fossile dei croati e, con esso, su uno dei più goffi argomenti usati nel nostro Paese per legittimare le trivellazioni: “Se lo fanno i nostri vicini, perché non possiamo farlo anche noi?”. Che la Croazia avesse già da mesi bloccato ogni piano di sfruttamento energetico dei suoi mari era cosa nota. Eppure, durante la campagna referendaria dei mesi scorsi, la grancassa governativa e lobbistica ha continuato a raccontare di un Adriatico che sarebbe comunque stato perforato in ogni dove, a pochi chilometri da casa nostra».

In Croazia si va verso elezioni anticipate e i sondaggi danno nuovamente in testa il Socijaldemokratska Partija Hrvatske, (SPH), che pagò molto cara la decisione del suo governo di dare l’ok alle trivelle per poi annunciare una moratoria pochi giorni prima delle elezioni che videro il successo del Most, la formazione liberista del  manager croato-canadese Tihomir Orešković  poi diventato leader del governo conservatore con l’HDZ, il più breve della storia della Croazia. Nessun partito parla più delle trivellazioni hoffshore: si perdono troppi voti.  Come spiega Greenpeace, «I croati hanno fatto due conti, capito che i cittadini non volevano consegnare i mari alle multinazionali delle fossili e verificato che il turismo può generare molta più ricchezza».

E anche al nostro governo il politicamente inutile referendum sulle trivelle potrebbe essere costato molto più caro di quel che sembrava in un primo momento.  Secondo Andrea Boraschi, responsabile campagna energia e clima di Greenpeace, «In realtà la situazione italiana non è dissimile. Malgrado il risultato negativo del referendum – da tarare rispetto ai livelli correnti di partecipazione al voto, oramai ai minimi, nonché alla campagna di sabotaggio messa in campo da Renzi e petrolieri – tutti i sondaggi rilevano che anche nel nostro Paese la maggioranza della popolazione è contraria allo sfruttamento delle riserve offshore; e il settore del turismo si è schierato in maniera pressoché univoca contro le trivelle. Sarebbe tuttavia ora che questo settore facesse qualcosa di più: chi ricava profitti soprattutto dalla bellezza dei nostri paesaggi e dall’integrità dei nostri mari e dei nostri ecosistemi in generale, dovrebbe essere impegnato a promuovere l’alternativa energetica, investendo convintamente in rinnovabili ed efficienza. E dovrebbe avere alleato un governo che favorisca questi investimenti».

Ma Boraschi dice che questo in Italia non sta avvenendo: « Nel 2015 le rinnovabili in Italia hanno ridotto la loro produzione assoluta, rispetto al 2014, del 9,6 per cento. Non sappiamo di altri Paesi – almeno tra quelli più sviluppati – in cui le fonti pulite invece di crescere calano di produzione. E dove a contrarsi sono i Terawattora verdi e a crescere sono quelli termoelettrici di gas e carbone. E pensare che, proprio nei giorni che precedevano il 17 aprile, Renzi aveva dichiarato che nel giro di due anni porterà in Italia le rinnovabili al 50%… L’invito all’astensione del primo ministro, in occasione del voto sulle trivelle, ha garantito (per il momento) la sopravvivenza di una norma apertamente contraria al diritto dell’Ue che garantisce diritti di sfruttamento illimitati dei giacimenti entro le 12 miglia marine. Nella “narrazione” del governo, il mancato quorum avrebbe dovuto garantire i posti di lavoro di chi opera nell’oil & gas. Ma è la Filctem CGIL, già molto attiva nelle settimane precedenti il voto, a lanciare l’allarme: 600 posti di lavoro già persi nel ravennate – epicentro del settore – cantieri fermissimi, bilanci che saranno presto ben più pesanti. Ora certamente il governo Renzi, con la stessa solerzia con cui ha difeso quei posti di lavoro dal voto “No Triv”, vorrà trovare soluzione, garantire tutela per quei lavoratori. Vedremo».

Per Boraschi, «Quanto accade dimostra per l’ennesima volta alcune semplici cose. Che dietro la difesa dello 0,8 per cento del fabbisogno petrolifero nazionale e del 2-3% di quello del gas – sì, queste misere quantità erano la posta in gioco nel referendum del 17 aprile – non vi era alcuna strategia di difesa dell’occupazione, ma solo l’obiettivo di non far pagare alle compagnie petrolifere lo smantellamento di impianti vecchi, inquinanti, improduttivi. Inoltre, è definitivamente assodato che ai nostri vicini di casa l’epopea di un’economia morente come quella del petrolio non interessa. Non sono tanto sciocchi da consegnarsi a decenni di occupazione “fossile” dei propri mari, che sono probabilmente l’asset strategico principale dell’economia croata. E noi italiani? La partita sulle trivelle, spiace per Palazzo Chigi, non è affatto chiusa. Tutt’altro».

Ma la partita delle trivelle non è chiusa nemmeno in Croazia e forse Boraschi pecca di eccessivo ottimismo. Infatti, l’associazione croata NAŠ Jadran/Save Adriatic denuncia che «Lo sfiduciato “Governo” croato ha frettolosamente concluso  gli accordi con l’industria del petrolio e del gas per 6 campi di produzione sulla terraferma, su circa 15.000 kmq, lungo i fiumi Drava e Sava. Questa svendita alle compagnie della Slavonia, il “cestino del pane” della Regione, avrà gravi conseguenze, non solo per la Croazia e del bacino superiore ma , se gli accordi verranno approvati, per le risorse idriche potabili dell’intera regione ed è molto probabile che contaminerà la maggior parte della terra degli agricoltori croati».

Si tratta di 6 blocchi esplorativi onshore del Croatia’s 1st Onshore License Round, avviato nel 2014 dall’ex governo socialdemocratico, che copre l’area della Drava, Sava e Slavonia orientale, con un’estensione totale che varia da 2.100 a 2.600 Km2. Il nuovo ed effimero governo di Zagabria ha assegnato licenze per l’esplorazione e lo sfruttamento di idrocarburi del blocco esplorativo DR-02 alla compagni croata Ina – Industrija nafte e nel blocco esplorativo DR-03 alla Oando Plc, una compagnia nigeriana, mentre alla multinazionale canadese Vermilion sono andate ben 4 concessioni:  DR-04 , SA-08, SA-09 e SA-10.

L’assegnazione delle licenze era un prerequisito per l’avvio dei negoziati con gli offerenti selezionati, al termine dei quali il governo croato ha approvato gli accordi di condivisione della produzione e ha autorizzato il ministro Panenić a firmare gli accordi con , per conto del governo croato, a firmare accordi con l’Ina e nigeriani e canadesi.

Il governo uscente dice che «Questi accordi sono di importanza strategica per la Repubblica di Croazia. Il periodo di esplorazione durerà 5 anni e, nel caso di scoperta commerciale, il periodo di sfruttamento durerà 25 anni. Le attività di esplorazione si impegneranno in investimenti pari a circa 88 milioni di euro, mentre il fatturato netto potenziale per il bilancio dello Stato in caso di sfruttamento, a seconda delle riserve accertate di petrolio e gas, si stima che raggiungerà un importo tra 3,4 e 6,8 miliardi di kune su base annua. A parte le entrate dirette per il bilancio dello Stato, L’importanza strategica si riflette nel fatto che la produzione di petrolio e di gas è in grado di fornire sicurezza e indipendenza energetica alla Repubblica di Croazia e portare benefici significativi all’economia. E’ necessario sottolineare la stabilità dell’approvvigionamento energetico assieme sviluppo industriale diretto e indiretto. Si prevede che gli investimenti nell’esplorazione e nello sfruttamento di petrolio e gas sarà il motore dell’economia locale in termini di coinvolgimento dell’industria e dei fornitori ,locali, così come la creazione di nuova occupazione».

NAŠ Jadran/Save Adriatic si chiede come ci si possa fidare di un governo che dice che le trivellazioni offshore sono pericolose perché danneggiano turismo e pesca e poi da il via libera alle trivelle onshore nel granaio dei Balcani, in nome di una supposta sicurezza e indipendenza energetica della Croazia. Per questo i no-triv croati mettono in guardia Greenpeace ed altre associazioni delle due sponde dell’Adriatico che fanno parte della coalizione anti-trivelle Save Adriatic: «Non cantiamo vittoria troppo presto».