In Italia, elettrificazione e idrogeno leve chiave per l’abbattimento delle emissioni

Come l’Unione Europea può diventare a emissioni net zero a costo zero

Studio McKinsey: l’Ue potrebbe ridurre le sue emissioni del 55% entro il 2030 ottenendo grandi vantaggi economici

[4 Dicembre 2020]

McKinsey & Company ha presentato il nuovo studio “Net-Zero Europe: Decarbonization pathways and socioeconomic implications”  che analizza quanto e come sia pr ossibile per l’Unione europea diventare climate neutral entro il 2050, rispettando i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra per il 2030 e il 2050.

La strategia avanzata nel dicembre 2019 non spiega però quanto ogni settore economico e Stato membro dovrà contribuire alle riduzioni delle emissioni o quanto costerebbe ottenerle.

LO studio di McKinsey ha tentato di  «Trovare un percorso socialmente ottimale in termini di costi per raggiungere gli obiettivi di emissioni».

Esistono innumerevoli percorsi possibili, il rapporto descrive quello meno costoso ed evidenzia che «Questo percorso ottimale in termini di costi illustra la fattibilità tecnica di ridurre le emissioni dell’Unione europea del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e di raggiungere il net zero entro il 2050. Mostra inoltre che la decarbonizzazione dell’Europa può avere ampi vantaggi economici, tra cui la crescita del PIL e la riduzione del costo della vita e la creazione di posti di lavoro».

Ma per farcela l’Ue ha ancora molto cammino da fare: il rapporto ricorda che «Nel 2017, i Paesi dell’Ue-27 hanno emesso 3,9 GtCO2e, delle quali 0,3 GtCO2e di emissioni negative.Sebbene ciò rappresenti solo il 7% delle emissioni globali di gas serra, il raggiungimento della climate neutrality da parte dell’Unione europea potrebbe fungere da modello per altre regioni e incoraggiare altri Paesi a intraprendere azioni più audaci».

Nell’Ue sono 5 i settori che emettono la maggior parte dei gas serra: trasporti 28%, industria 26%, energia 23%, edifici e agricoltura il 13% ciascuno. In tutti i settori, la combustione di combustibili fossili è la principale fonte di gas serra, che rappresenta l’80% delle emissioni.

I ricercatori che hanno redatto il rapporto evidenziano che «Per raggiungere il net zero, gli investimenti e il risparmio sui costi sarebbero maggiori in alcuni di questi settori rispetto ad altri. Tuttavia, se i costi della decarbonizzazione e i risparmi fossero trasferiti alle famiglie, il costo della vita aggregato per una famiglia media in un’Unione europea a impatto zero sul clima sarebbe lo stesso di oggi e le famiglie a basso reddito vedrebbero ridursi il loro costo della vita. In altre parole, abbiamo scoperto che l’Unione europea potrebbe raggiungere le emissioni net  zero entro il 2050 a un costo net zero».

Per ogni settore la velocità della decarbonizzazione dipende dalla disponibilità di tecnologia matura e dalla capacità di realizzare le catene di approvvigionamento. Ecco come, secondo il rapporto, i settori più inquinanti potrebbero raggiungere i loro obiettivi di riduzione delle emissioni:

Energia: poiché le tecnologie per la produzione di energia eolica e solare sono già disponibili su larga scala, l’energia sarebbe il settore più veloce a decarbonizzare, raggiungendo le emissioni net zero entro la metà degli anni 2040. La domanda di energia raddoppierebbe se altri settori passerebbero all’elettricità e all’idrogeno verde, richiedendo un rapido aumento della capacità di produzione e stoccaggio di energie rinnovabili.

Trasporti: questo settore si avvicinerà alla neutralità climatica entro il 2045. I veicoli elettrici sono già in fase di adozione anticipata, ma ci vorranno circa 10 anni per creare catene di approvvigionamento per supportare il passaggio alle vendite di veicoli elettrici al 100%, dall’estrazione delle materie prime per le batterie all’assemblaggio di veicoli elettrici . Una volta che ciò accadrà, le emissioni possono essere ridotte rapidamente, ad eccezione di quelle di aerei e navi che sono troppo grandi e viaggiano troppo lontano per fare affidamento sulla potenza delle batterie. Devono optare per la soluzione più costosa del passaggio a biocarburanti, ammoniaca o synfuels.

Edifici: la maggior parte della tecnologia necessaria per decarbonizzare il settore degli edifici è già disponibile. Tuttavia, ristrutturare ampie porzioni del patrimonio edilizio dell’Unione europea è un’impresa enorme. La quota di abitazioni che utilizzano fonti di riscaldamento rinnovabili dovrebbe aumentare al 100% rispetto al solo 35% di oggi. Anche il consumo di gas negli edifici dovrebbe diminuire di oltre la metà. Il settore dell’edilizia raggiungerebbe l<il net zero alla fine degli anni ’40.

Industria: è il settore più costoso da decarbonizzare, avrebbe bisogno di una tecnologia ancora in fase di sviluppo. Di conseguenza, raggiungerebbe il net zero entro il 2050. Anche allora, il settore continuerebbe a generare alcune emissioni residue da attività come la gestione dei rifiuti e la produzione pesante, che dovrebbero essere compensate.

Agricoltura: l’utilizzo di pratiche agricole più efficienti potrebbe ridurre le emissioni agricole. Ma l’agricoltura è di gran lunga il settore più difficile da decarbonizzare perché più della metà delle emissioni agricole proviene dall’allevamento di animali per il cibo e non può essere ridotta senza cambiamenti significativi nel consumo di carne o innovazioni tecnologiche. Come per l’industria, il percorso ottimale in termini di costi richiede di compensare le emissioni dell’agricoltura con emissioni negative in altri settori e aumentare i serbatoi naturali di carbonio.

Quattro fattori geografici determineranno quanto sia facile per ogni paese ridurre le emissioni e quali misure di decarbonizzazione sarebbero ottimali in termini di costi: clima locale, opportunità di stoccaggio di CO2, pratiche agricole locali e territorio disponibile per il rimboschimento, i parchi eolici e gli impianti solari.

Lo studio McKinsey  fa l’esempio dei Paesi del nord europa che beneficerebbero dal 30 al 60% in più di ore di vento per le pale eoliche onshore rispetto a quelli del sud. Mentre I Paesi del sud trarrebbero vantaggio dalle 1.000 ore in più di luce solare che ricevono ogni anno. In Italia, l’elettrificazione e l’idrogeno rappresenterebbero leve chiave per l’abbattimento delle emissioni: nel nostro Paese la domanda di energia elettrica potrebbe quasi raddoppiare entro il 2050 e il consumo di carbone si esaurirebbe quasi completamente prima del 2040.

Secondo il percorso ottimale in termini di costi, «Gli Stati membri dell’Ue raggiungerebbero gli obiettivi climatici collettivamente in modo da poter unire i propri vantaggi e ridurre i costi di transizione. Ad esempio, i Paesi con risorse solari più abbondanti o pozzi di assorbimento del carbonio naturali potrebbero aiutare altri Paesi a compensare le proprie emissioni a un costo inferiore rispetto a se dovessero ridurre le emissioni localmente utilizzando il Carcbon capture and storage (CCS). Se gli Stati membri perseguissero obiettivi di riduzione singolarmente piuttosto che complessivamente, il costo della transizione aumenterebbe di circa 25 euro per tCO2e».

La maggior parte delle tecnologie richieste è disponibile, ma sarà necessario accelerare l’innovazione: entro il 2030, il 64% della riduzione delle emissioni dell’Ue dovrebbe essere ottenuta con l’elettrificazione su larga scala e l’aumento dell’efficienza energetica, pari rispettivamente al 47 e al 17%. Domanda e circolarità dovrebbero ridurre le emissioni di un ulteriore 15%. L’idrogeno contribuirebbe con il 13%,  Il resto verrebbe dall’aumento dell’utilizzo di biomasse, cambiamenti nell’uso del suolo e da altre innovazioni.

In questo scenario virtuoso, verso il 2040, le opportunità di elettrificazione si avvicinerebbero alla loro massima diffusione. Entro il 2050, il 45% delle emissioni totali dell’Ue verrebbe ridotto passando dai combustibili fossili all’elettrificazione e un altro 30% grazie a idrogeno, biomassa e CCS.

Entro il 2030, il 75% dell’abbattimento delle emissioni dovrebbe essere ottenuto espandendo rapidamente l’uso di tecnologie mature come le pompe di calore negli edifici, il recupero di calore nell’industria e le auto elettriche. Il rapporto prevede che «Entro il 2050, queste tecnologie mature raggiungerebbero la massima penetrazione nel mercato, contribuendo al 60% dell’abbattimento richiesto per la climate neutrality. Tecnologie sperimentate, ma non ancora mature come la CCS dovrebbero essere rapidamente incrementate dopo il 2030 per ridurre le emissioni di un ulteriore 25-30%. Soluzioni ancora in fase di ricerca e sviluppo, come la cattura diretta dell’aria, sarebbero necessarie per ridurre il restante 10-15%». Ma qui stiamo parlando di tecnologie ancora molto costose e delle quali non si conoscono i possibili impatti, e per questo osteggiate da molte associazioni ambientaliste.

Alla McKinsey fanno però notare: «Anche se la maggior parte delle emissioni verrebbe ridotta utilizzando tecnologie mature e di rapida adozione, l’innovazione continua e gli effetti di scala saranno importanti per ridurre i costi di transizione. I pannelli solari sono un buon esempio di una soluzione che è diventata molto più economica grazie alla continua innovazione e all’industrializzazione della produzione. Nei prossimi 20 anni, i veicoli elettrici e gli elettrolizzatori potrebbero ottenere riduzioni di prezzo simili».

In questa prospettiva, settore energetico diventerebbe ancora più centrale: il rapporto evidenzia che «Oggi l’Unione europea soddisfa il 75% della sua domanda di energia primaria con combustibili fossili. Nel percorso ottimale in termini di costi, la maggior parte del consumo di carbone verrebbe eliminato entro il 2030 e il consumo di petrolio e gas scenderebbe a meno del 10% entro il 2050. L’energia rinnovabile soddisferà oltre l’80% della domanda di energia primaria entro il 2050. Il 75% di energia rinnovabile verrebbe utilizzata direttamente come elettricità. Un altro 25% verrebbe convertito in idrogeno verde per sostituire i combustibili fossili in sottosettori come la produzione di acciaio, i trasporti a lungo raggio, l’aviazione e la navigazione».  Per soddisfare questa domanda di energia rinnovabile sarebbe necessario aumentare la capacità del solare fo da 20 gigawatt all’anno a 50 GW entro il 2050.

Ma raggiungere il net zero netto richiederebbe anche un ripensamento dell’utilizzo del suolo: «La neutralità climatica richiederebbe un maggiore sequestro naturale del carbonio per compensare le emissioni residue difficili da abbattere e aumentare la produzione di bioenergia sostenibile, in particolare per i settori dei trasporti e dell’industria – dicono i ricercatori –  Stimiamo che il sequestro naturale del carbonio nell’Unione Europea potrebbe essere aumentato a 350 megatoni (Mt) all’anno, principalmente attraverso il rimboschimento di 12 Mha di terreno liberato da una maggiore efficienza nel settore agricolo. Inoltre, 62 Mha di terreno dell’Ue sono attualmente inutilizzati o abbandonati e mancano di un elevato valore di biodiversità, di cui circa 30 Mha (dal 45 al 50%) sarebbero utilizzati per la produzione di bioenergia».

Le implicazioni socioeconomiche della decarbonizzazione dell’Europa sono enormi: per raggiungere il net zero bisognerebbe in vestire nei prossimi 30 anni circa 28 trilioni di euro in tecnologie e tecniche pulite. Circa 23 trilioni di euro di questo investimento, una media di 800 miliardi di euro l’anno, proverrebbero dal  reindirizzamento di investimenti che altrimenti avrebbero finanziato tecnologie ad alta intensità di carbonio. Si tratta di circa il 25% degli attuali investimenti di capitale annui dell’Ue, o il 4% dell’attuale PIL dell’Ue. Inolttere, imprese e amministrazioni pubbliche europee dovrebbero stanziare altri i 5,4 trilioni di euro (una media di 180 miliardi di euro all’anno) in tecnologie e tecniche pulite. Di questi 5,4 trilioni di euro, circa 1,5 trilioni di euro andrebbero investiti nell’edilizia (29%), 1,8 trilioni nell’energia (33%), 410 miliardi nell’industria (8%), 76 miliardi nell’agricoltura (circa l’1%) e 32 miliardi nei trasporti (meno dell’1%). Circa 1,5 trilioni di euro (28%) finanzierebbero le infrastrutture per migliorare la trasmissione e la distribuzione dell’energia in tutti i settori.

Ma allas fine questi investimenti aggiuntivi ridurrebbero i costi operativi: dal 2021 al 2050, l’Ue risparmierebbe una media di 130 miliardi di euro all’anno sui costi operativi totali del sistema. Entro il 2050, queste misure ridurranno le spese operative totali del sistema di 260 miliardi di euro all’anno, oltre l’1,5% dell’attuale PIL dell’Ue. La maggior parte di questi risparmi sarebbe nei trasporti.

I redattori del rapporto sono però consapevoli che «Senza un intervento mirato, le imprese ei consumatori probabilmente prenderebbero decisioni diverse da quelle stabilite nel nostro percorso ottimale in termini di costi, perché metà dell’esborso di capitale richiesto di 28 trilioni di euro non avrebbe casi di investimento positivi. Questo può derivare da differenze nel costo del capitale o dal fatto che uno stakeholder non considera il vantaggio a lungo termine di un investimento. Ad esempio, gli acquirenti di auto di solito si preoccupano di più del prezzo di acquisto anticipato rispetto al costo totale di proprietà. Nel settore industriale, il 95% delle spese in conto capitale del percorso manca di casi aziendali positivi; negli edifici è l’85%; nell’energia il 46%; nei trasporti il ​​36% e in agricoltura l’11%.

Mobilitare i finanziamenti per questi investimenti richiederebbe interventi, in particolare nei sottosettori con elevati costi di abbattimento, con carbon tax e migliorando i sistemi cap-and-trade.

Se i modelli di consumo resteranno gli stessi e gli aumenti dei costi e il risparmio della decarbonizzazione passeranno direttamente ai consumatori, il costo della vita aggregato per una famiglia media in una nazione dell’Unione europea a impatto zero sul clima rimarrebbe lo stesso di oggi. Le bollette di elettricità e riscaldamento/raffreddamento sarebbero inferiori e la mobilità sarebbe più accessibile, mentre aumenterebbe il costo del cibo e dei voli per le vacanze. I costi per le famiglie a reddito medio e basso diminuirebbero leggermente, mentre le famiglie ad alto reddito non vedrebbero cambiamenti significativi.

La transizione net zero creerebbe circa 11 milioni di posti di lavoro eliminandone 6 milioni, con un guadagno netto di 5 milioni di posti di lavoro. Molti dei nuovi posti di lavoro sarebbero nelle energie rinnovabili (1,54 milioni), nell’agricoltura (1,13 milioni) e nell’edilizia (1,1 milioni). Ad esempio, nel settore degli edifici, l’Ue avrebbe bisogno di 1,1 milioni di lavoratori qualificati per ammodernare case con un isolamento più elevato e installare sistemi di riscaldamento e cottura ecologici. Sebbene le diverse regioni europee  possano sperimentare diversi livelli di spostamento del lavoro, la maggior parte vedrebbe un aumento dell’occupazione netta.

Il raggiungimento delle emissioni net  zero potrebbe richiedere la riqualificazione professionale di 18 milioni di lavoratori, soprattutto per occupare posti di lavoro che attualmente non esistono (quasi 3,4 milioni entro il 2050) e quelli persi durante la transizione (2,1 milioni entro il 2050). Alcuni dei nuovi lavori richiederebbero abilità simili a quelli che scompaiono. Ad esempio, gli ingegneri che oggi lavorano nell’industria petrolifera e del gas potrebbero passare alla discussa industria CCS, mentre pensionamenti anticipati dei settori con la  forza lavoro più anziana come le miniere di carbone, potrebbero ridurre il numero di lavoratori da riqualificare. Raggiungendo la decarbonizzazione, l’Ue potrebbe diventare indipendente dal punto di vista energetico: «Tra il 2020 e il 2050, la domanda di petrolio, gas e carbone diminuirebbe dell’80%, da 43 exajoule (EJ) a 6 EJ, e ridurrebbe di due terzi il deficit commerciale dei combustibili fossili».

Ma il rapporto avverte che «Sebbene l’Unione europea non dipenda più dalle importazioni di combustibili fossili, potrebbe sviluppare nuove dipendenze dalle importazioni di tecnologie vitali per un’economia a emissioni zero», v come pannelli solari e alcune materie prime fondamentali, come il cobalto per le batterie o l’iridio per gli elettrolizzatori. Il passaggio alle tecnologie a emissioni zero potrebbe anche influenzare le dinamiche competitive e spostare le sedi di produzione. L’adattamento al cambiamento potrebbe minacciare alcune arre dell’economia dell’Ue, creando però allo stesso tempo opportunità. Ad esempio, entro il 2050 l’esportazione di pompe di calore, forni elettrici, elettrolizzatori e tecnologie agricole a emissioni zero dall’Unione europea potrebbe rappresentare oltre 50 miliardi di euro all’anno.

Anche se le ragioni per la decarbonizzazione e il percorso per raggiungerla siano chiari, per rispettare gli obiettivi climatici dell’Unione europea saranno necessarie azioni decisive e per accelerare la transizione: ci saranno da affrontare cinque ostacoli;

Le emissioni zero dovranno diventare la nuova normalità sia per le norme sociali che perle aspettative dei consumatori e degli investitori; Bisogna creace quadri politici e ambienti normativi sicuri e stabili per favorire il successo della decarbonizzazione; Incoraggiare dinamiche costruttive delle imprese per superare gli ostacoli della transizione; Mobilitare capitali e investimenti verdi; Accelerar le tecnologie net-zero attraverso le scoperte tecnologiche necessarie per ridurre le emissioni in settori difficili. Ci vorrebbe anche una maggiore disponibilità da parte di leader aziendali e i responsabili politici per adottare nuove tecnologie.

Il successo della decarbonizzazione richiede l’implementazione e il ridimensionamento delle tecnologie net-zero.  L’innovazione accelerata è fondamentale, insieme a progetti pilota commerciali e l’acquisizione di effetti di scala per ridurre i costi. Il raggiungimento del net zero entro il 2050 richiederebbe di: Realizzare  rapidamente tecnologie e modelli di business competitivi in ​​termini di costi per ridurre le emissioni a breve termine.  Accelerare le tecnologie di prossima generazione e investire in infrastrutture che consentano di ridurre le emissioni dopo il 2030.

I ricercatori McKinsey concludono: «Come dimostra questo rapporto, l’Unione europea può raggiungere emissioni net zero senza compromettere la sua prosperità. I progressi degli ultimi decenni hanno messo a portata di mano la climate neutrality. Ma per raggiungere questo obiettivo, sarà fondamentale gettare le basi nel prossimo decennio».