Anbi: principio di precauzione per l’estrazione di gas in Alto Adriatico

Ma finora la precauzione non c’è stata e ANBI chiede una commissione di esperti e chiarezza sul risarcimento di eventuali danni

[18 Febbraio 2022]

Con un comunicato, l’ Associazione Nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue (ANBI)  tenta un difficile equilibrismo su estrazione petrolifera e crisi energetica, senza però nascondersi quanto sia ardua l’impresa.

Infatti, dopo aver partecipato al sopralluogo lagunare della Commissione agricoltura del Senato, che ha visionato, su iniziativa del presidente, Gianpaolo Vallardi, i gravi danni indotti dalle estrazioni metanifere nel Delta del Po, il presidente dell’ANBI, Francesco Vincenzi, ha detto che «Sulla questione energetica, pur puntando prioritariamente sulle rinnovabili, l’ANBI non si schiera con un aprioristico partito del no, anche perché i Consorzi di bonifica ed irrigazione sono vittime dei rincari, pagando bollette salatissime, nonostante siano produttori netti di energia green. Sulle trivellazioni in Alto Adriatico, però, ci appelliamo ad un elementare principio di precauzione verso popolazioni, che hanno visto il territorio abbassarsi anche di 4 metri sia nel rodigino che nel ferrarese, a causa della subsidenza indotta delle estrazioni di acque metanifere».

Ma a dire che del principio di precauzione finora non si è tenuto conto è la stessa ricostruzione della storia dello sfrittamento degli idrocarburi tra Emilia Romagna e Veneto fatta dall’ANBI: «I territori delle province di Rovigo, Ferrara e del comune di Ravenna sono stati interessati dallo sfruttamento di giacimenti metaniferi dal 1938 al 1964; l’emungimento innescò un’accelerazione, nell’abbassamento del suolo, decine di volte superiore ai livelli normali con punte massime di oltre 3 metri dal 1950 al 1980. Recenti rilievi effettuati dall’Università di Padova hanno evidenziato un ulteriore abbassamento di 50 centimetri nel periodo 1983-2008 nelle zone interne del Delta del Po. L’ “affondamento” del Polesine e del Delta Padano ha causato un grave dissesto idraulico e idrogeologico, nonchè ripercussioni sull’economia e la vita sociale dell’area. Tutti i corsi d’acqua si trovarono in uno stato di piena apparente, perché gli alvei e le sommità arginali si erano abbassate, aumentando la pressione idraulica sulle sponde ed esponendo il territorio a frequenti esondazioni. Si rese così indispensabile il riordino della rete scolante come degli argini a mare. Gli impianti idrovori cominciarono a funzionare per un numero di ore di gran lunga superiore a quello precedente (addirittura il triplo od il quadruplo), con maggior consumo di energia e conseguente aumento delle spese di esercizio a carico dei Consorzi di bonifica.

Il sistema di bonifica è attualmente costituito da un numero importante di impianti idrovori: 201 nel rodigino, 170 nel ferrarese e 144 nel ravennate».

E, vista che finora la preucazione è mancata, attualmente i due enti di bonifica della provincia d Rovigo spendono  quasi 7 milioni di euro all’anno per asportare circa 1 miliardo di metri cubi d’acqua, garantendo vivibilità ad un territorio altrimenti acquitrinoso. ANBI spiega che «Di tale volume idrico , però, solo 400.000 metri cubi dipendono dalla pioggia; il restante sono infiltrazioni in aree “scese” abbondantemente sotto il livello del mare».

Giancarlo Mantovani,  Direttore dei  Consorzi di bonifica polesani, conclude: «Allo stato attuale, le richieste di concessioni metanifere si basano su calcoli matematici, facilmente malleabili, perchè non esistono univoche esperienze sperimentali. Per questo, è necessaria una commissione indipendente di esperti, che esprima un parere tecnico sui rischi per il territorio in una cornice costi-benefici. C’è infine un’ulteriore questione da dirimere: nel caso, chi pagherà eventuali, ulteriori danni?»