Altro che sanzioni… In Francia arriva una nave carica di GNL russo. Shell acquista petrolio russo a prezzo scontato

Greenpeace France: «I combustibili fossili finanziano la guerra in Ucraina»

[7 Marzo 2022]

Mentre si discute di boicottaggi e alternativa al gas russo, sabato nel porto di Montoir-de-Bretagne è arrivata la nave Boris Vilkitsky, partita dal porto di Sabetta, nell’Artico russo, il 25 febbraio, e carica di gas naturale liquefatto (GNL) estratto nel giacimento di Yamal che vede come partner al 20% la compagnia energetica francese TotalEnergies.

Inizialmente la Boris Vilkitsky avrebbe dovuto attraccare nel porto britannico dell’Isola di Grain ma, di fronte alla mobilitazione dei portuali che si sono rifiutati di scaricarla, si è diretta verso la Francia.
TotalEnergies è anche  azionista del 19,4% del gruppo russo Novatek, che possiede il 50% del giacimento di gas di Yamal, e i cui principali azionisti sono oligarchi putiniani, alcuni dei quali sono sotto sanzioni dell’Unione europea. Il governo francese ha sostenuto il progetto  Yamal attraverso una garanzia all’esportazione, sebbene la Russia fosse già soggetta a sanzioni internazionali per l’annessione della Crimea. Total detiene anche una partecipazione diretta del 10% nel  progetto del sito di gas Arctic LNG2 di  Novatek , il 19,4%, un quarto del giacimento petrolifero di Kharyaga e quasi la metà del giacimento di gas di Termokarstovoye.

Il pomeriggio del 5 marzo gli attivisti di Greenpeace France si sono presentati in  mare  davanti alla nave cisterna carica di GNL e davanti al porto GNL di Montoir de Bretagne per denunciare «I legami tra TotalEnergies e il regime russo di Vladimir Putin», e per ricordare che «I combustibili fossili stanno alimentando questa guerra».

Hélène Bourges, responsabile della campagna sui combustibili fossili per Greenpeace France, ha denunciato: «Ecco il vero volto di TotalEnergies, autoproclamatosi “major dell’energia responsabile. I combustibili fossili alimentano la crisi climatica ma anche i conflitti in diverse regioni del mondo, compresa quello appena scoppiato alle porte dell’Unione Europea. Questo gas è la prova che TotalEnergies sta facendo business as usual e privilegia la preservazione dei propri interessi, a qualsiasi prezzo. Patrick Pouyanné (peresidente e and CEO di TotalEnergies del 2014, ndr). deve rinunciare immediatamente a tutti i progetti, attuali o futuri, legati al regime russo. Per Greenpeace, la vera sfida ora è recuperare il tempo perso, porre fine al sostegno ai combustibili fossili e accelerare il risparmio energetico e lo sviluppo delle energie rinnovabili. Cosa aspetta Bruno Le Maire (il ministro dell’economia e delle finanze francese, ndr) per attuare i “principi” a cui dice di essere così legato e per chiedere che TotalEnergies rompa i suoi legami con il regime russo? La Francia non può condannare la guerra in Ucraina lasciando che una compagnia francese tragga profitto dai suoi legami con gli oligarchi russi e dai loro affari nei combustibili fossili».

Greenpeace France ha ricordato che «La maggior parte delle major petrolifere, BP, Shell, Eni, Exxon, Equinor, hanno annunciato il ritiro dalla Russia subito dopo l’inizio del conflitto in Ucraina. Al contrario, TotalEnergies persiste nel mantenere le sue partecipazioni finanziarie e industriali in corso nel paese, la compagnia ha solo annunciato che non fornirà più capitali “a nuovi progetti in Russia”».

Ma gli ambientalisti francesi non sapevano ancora che proprio una delle multinazionali citate era stata beccata con le mani nella marmellata: il 4 marzo la Shell ha acquistato 100.000 tonnellate di greggio Urals dalla Russia, ottenendo uno sconto record proprio perché molte compagnie evitano di comprare petrolio russo dopo lo scoppio della guerra in ucraina.

Così, dopo aver promesso pochi giorni prima di uscire dalle sue joint venture con il colosso statale russo del gas Gazprom e le sussidiarie, la più grande compagnia energetica. Cercava di comprare sotto costo (e da vendere ad altissimo costo) il petrolio russo di migliore qualità. Ma è stata colta in flagrante dal ministro degli esteri ucraino Dmytro Kuleba che ha reso noto il sotterfugio. Alla Shell – che comunque non ha violato alcuna sanzione occidentale – non è rimasto altro che far buon viso a cattivo gioco e annunciare su Twitter: «Impegneremo i profitti dalla quantità limitata di petrolio russo che dobbiamo acquistare in un fondo dedicato. Nei prossimi giorni e settimane, lavoreremo con i partner umanitari e le agenzie umanitarie per determinare dove i fondi di questo fondo siano nella posizione migliore per alleviare le terribili conseguenze che questa guerra sta avendo sul popolo ucraino». Insomma, diamo a Putin i soldi per armarsi, ma poi aiutiamo le vittime delle armi comprate con i nostri soldi…

Bersagliata da aspre critiche, Shell ha aggiunto che sta intrattenendo «Intensi colloqui con i governi e di continuare a seguire le loro indicazioni su questo problema della sicurezza dell’approvvigionamento, ed è profondamente consapevole che dobbiamo affrontare questo dilemma con la massima cura. Continueremo a scegliere alternative al petrolio russo ove possibile, ma questo non può accadere dall’oggi al domani a causa dell’importanza della Russia per l’offerta globale».

Dopo una prima offensiva delle lobby fossili che hanno approfittato della guerra, sia per speculare sui prezzi di gas e petrolio che per lanciare una controffensiva contro le “poco affidabili” energie rinnovabili (sic!), ora cominciano ad evidenziarsi le contraddizioni della politica pro-fossile “di emergenza”, sposata anche dal governo italiano, e di sanzioni che vogliono colpire il governo russo ma non il legame energetico stretto – un cappio al collo – con i combustibili fossili russi.

Di frongte a questo gioco delle tre carte, Greenpeace dice che  «Il governo francese deve porre fine al sostegno finanziario per tutti i progetti di estrazione di fossili in tutto il mondo, senza alcuna garanzia di esportazione».

In questa guerra che affonda le sue radici nell’energia fossile e nucleare quel che resta sullo sfondo, anche nelle draconiane sanzioni promesse dall’occidente, è il fatto che il 40% del bilancio federale russo proviene da petrolio e gas, che rappresentano il 60% delle esportazioni russe. Nell’ottobre 2021, la Russia guadagnava più di 500 milioni di dollari al giorno grazie ai combustibili fossili, «Denaro che va direttamente a finanziare la macchina da guerra di Vladimir Putin», fa notare Greenpeace France.

Secondo Eurostat, nel 2019, il 41% delle importazioni di gas naturale dell’Ue proveniva dalla Russia. Circa il 26,9% di tutte le importazioni di petrolio greggio sono state fornite da compagnie russe, così come il 46,7% delle importazioni di combustibili solidi dell’Ue.

La Bourges conclude: «Questa guerra dimostra la nostra dipendenza dal petrolio e dal gas fossili, da cui dobbiamo uscire urgentemente, ma anche la pericolosità dell’energia nucleare. Il governo deve dare una svolta alla sua politica energetica per garantire la pace e proteggerci dai cambiamenti climatici, implementando mezzi massicci per consentire il risparmio energetico e operare una rivoluzione verso le rinnovabili».