11 anni da Fukushima, con i soldati russi a Chernobyl. Legambiente: mai più nucleare

Greenpeace Japan: «La questione fondamentale dello smantellamento del Fukushima Daiichi rimane irrisolta anche dopo 11 anni, senza un chiaro obiettivo o piano d'azione»

[11 Marzo 2022]

11 anni fa, l’11 marzo 2011, iniziava la tragedia nucleare di Fukushima Daiichi, la seconda per gravità della storia del nucleare civile dopo quella di Chenobyl del 26 aprile 1986, la stessa Chernobyl che è tornata a far paura come un fantasma radioattivo dopo che le truppe russe l’hanno occupata nella guerra ucraina e dopo che è saltato l’allaccio alla linea che la rifornisce di elettricità, forse per sabotaggio, forse per un nuovo “errore umano”.

Oggi Legambiente ricorda che «Undici anni da uno tsnuami e dall’incidente alla centrale nucleare di Fukushima che ne è seguito non sono molti, non abbastanza per dimenticare e ricominciare, perché le sue conseguenze durano e dureranno oltre il tempo che la memoria umana può concepire. Non ci sono solo i danni diretti dell’incidente, le conseguenze sanitarie e ambientali dall’esposizione alle radiazioni, l’evacuazione immediata di migliaia di persone che, a parte per pochissimi numeri, non possono ancora tornare nelle proprie case. Non è solo il pericolo ancora presente per l’esposizione alle radiazioni in molte parti della zona di esclusione, o la preoccupazione per gli impatti sull’ambiente marino in caso di rilascio delle acque di raffreddamento nell’oceano, come previsto dai piani di smaltimento e bonifica. Non c’è solo questo. È che in quei territori non ci sono più le comunità, i rapporti sociali, i legami con il territorio e le tradizioni, le occasioni di lavoro».

Il Cigno Verde spera che «L’11 marzo – così come il 26 aprile anniversario dell’incidente di Chernobyl – ci sia da monito. Per ricordarci anche questi aspetti e rischi quando, come succede purtroppo ormai da tempo, parliamo di ritorno al nucleare come via per risolvere i nostri problemi energetici e di dipendenza dall’estero per il nostro approvvigionamento energetico, dipendenza che comunque il nucleare non risolverebbe. Ci sono altre tecnologie più economiche, più pulite, più sicure, più locali su cui investire, come le energie rinnovabili, a cui non si danno abbastanza occasioni di crescita».

Sam Annesley, direttore esecutivo di Greenpeace Japan, ricorda che «Sono passati 11 anni dal Grande terremoto del Giappone orientale e dalla centrale nucleare di Fukushima Daiichi che hanno causato danni incredibili. Porgiamo le nostre più sentite condoglianze a coloro che hanno tragicamente perso la vita e il nostro sincero rispetto a coloro che, nonostante il loro profondo dolore, hanno perseverato fino ad oggi. L’esempio delle aree colpite dal disastro, che hanno continuato ad andare verso la ripresa negli ultimi 11 anni nonostante le crisi senza precedenti di un grave terremoto/tsunami e di un incidente nucleare, ci ha dato grandi speranze. Tuttavia, mentre i ricordi del disastro e dell’incidente svaniscono, ci troviamo ora di fronte a un grave problema che dobbiamo affrontare. Ci sono ancora 59 reattori nucleari in Giappone, compresi quelli che sono permanentemente chiusi. Alla fine di febbraio 2022, 10 di loro hanno ripreso a funzionare. Di recente, il governo giapponese e le compagnie elettriche stanno promuovendo attivamente l’idea che le centrali nucleari siano a basse emissioni di carbonio e che saranno una delle soluzioni chiave per la decarbonizzazione. Tuttavia, la produzione di energia nucleare non dovrebbe mai essere una soluzione per la decarbonizzazione e il cambiamento climatico. Sebbene le centrali nucleari possano produrre enormi quantità di elettricità, comportano anche rischi insondabili. Tali rischi non si limitano solo alle catastrofi naturali e alle crisi umanitarie come Fukushima, ma potrebbero anche aumentare notevolmente il pericolo durante i conflitti, come nel caso della situazione della centrale nucleare di Zaporizhzhia in Ucraina dall’inizio di questo mese».

Greenpeace Japan evidenzia che «Dei 10 reattori nucleari che sono stati riavviati in Giappone, solo 5 hanno installato le apparecchiature previste dalle misure antiterrorismo per contrastare eventualità come le collisioni di aerei. Anche questi reattori non si possono dire sicuri al 100% contro il rischio di futuri disastri naturali e conflitti, come abbiamo sperimentato con l’incidente di Fukushima. L’incidente nucleare di Fukushima Daiichi è ancora in corso. Ci sono molte persone in Giappone che sono state costrette a lasciare le loro case sulla scia del disastro e che vivono ancora come sfollati. A livello nazionale ci sono più di 12.000 querelanti in azioni legali collettive intentate da sfollati che chiedono un risarcimento dal governo e dalla Tepco».

Annesley  sottolinea che «Inoltre, l’anno scorso il governo giapponese ha deciso che rilascerà nell’oceano circa 1,29 milioni di tonnellate di acqua contaminata radioattivamente attualmente immagazzinata nei serbatoi in loco a Fukushima. Nel frattempo, nel 2021 sono state prodotte ogni giorno 150 tonnellate di nuova acqua radioattiva. La questione fondamentale dello smantellamento del Fukushima Daiichi rimane irrisolta anche dopo 11 anni, senza un chiaro obiettivo o piano d’azione».

E Fukushima rappresentava anche una lezione energetica che l’occidente non ha voluto comprendere: «Dopo l’inizio del disastro nucleare, il governo giapponese ha promosso la produzione di energia a carbone come fonte di energia alternativa, il che ha solo accelerato ulteriormente la crisi climatica. Ora, il governo giapponese sta ancora una volta scegliendo l’opzione sbagliata: provare a riavviare le centrali nucleari per risolvere la crisi climatica. Mantenere la produzione di energia nucleare ai fini della decarbonizzazione non è altro che un atto deliberato di autolesionismo – conclude Annesley – Come nazione che ha profondamente sofferto la devastazione sia degli incidenti delle centrali nucleari che delle bombe nucleari, chiediamo al Giappone di mostrare la leadership globale rifiutando tutte le forme di produzione di energia nucleare e di guidare la transizione del mondo verso un futuro a energia sostenibile e rinnovabile».