Ricci: «Sono i produttori e rivenditori di bevande a doversi fare carico del 100% dei costi»

What we waste, riparte il dibattito sul deposito cauzionale per i contenitori di bevande

Morawski (Reloop): «Se restituisci una bottiglia vuota riavrai indietro l’importo del deposito pagato nel momento dell’acquisto della bevanda, indipendentemente dal fatto che il passaggio successivo sia il riempimento o il riciclaggio»

[30 Aprile 2021]

Grazie al lavoro certosino dell’associazione Comuni virtuosi si sta facendo largo anche in Italia il rapporto What we waste – curato dalla piattaforma europea no profit Reloop col supporto di Break free from plastic e Changing markets foundation –, che torna ad animare l’almeno decennale dibattito sui sistemi di deposito cauzionali finalizzati al riciclo e al riuso (vuoto a rendere con bottiglie ricaricabili) dei contenitori per bevande.

Ovvero una delle frazioni di rifiuti più visibili in assoluto tra quelle che generiamo ogni giorno, anche se largamente minoritaria rispetto al contesto generale: tutti gli imballaggi rappresentano appena l’8% di tutti i rifiuti (urbani e speciali) prodotti nel nostro Paese, mentre bottiglie e lattine sono evidentemente una frazione di questa frazione. Che però alcuni cittadini incivili ancora continua a disperdere nell’ambiente, anziché gettare negli appositi contenitori per la raccolta differenziata; per contrastare questa arretratezza culturale uno degli strumenti a disposizione è il deposito cauzionale, ovvero introduree una convenienza economica diretta per il cittadino-consumatore.

«I sistemi di deposito in cui il contenitore si recupera per essere riciclato o ricaricato riducono sostanzialmente le quantità di lattine e bottiglie che finiscono sprecate nell’ambiente, in discarica o negli inceneritori – spiega Clarissa Morawski, ceo di Reloop – Dal punto di vista del consumatore l’esperienza è la stessa. Se restituisci una bottiglia vuota, riavrai indietro l’importo del deposito pagato nel momento dell’acquisto della bevanda, indipendentemente dal fatto che il passaggio successivo sia il riempimento o il riciclaggio».

A cambiare però sarebbe tutto il resto. Le bottiglie in Pet, ad esempio, sono i “pezzi pregiati” della raccolta differenziata in un contesto dove anche tutti gli altri imballaggi in plastica, anche quelli poco remunerativi (o tecnicamente infattibili) da raccogliere per avviare a riciclo come il plasmix, che arriva a rappresentare anche la metà della plastica raccolta in modo differenziato. È evidente come ogni proposta di modifica in questo sistema integrato sia chiamata a soppesare le ricadute, ambientali ed economiche, lungo tutte le filiere di raccolta rifiuti su cui andrebbe a impattare per non rischiare di peggiorare l’avvio a riciclo di altre frazioni di imballaggi.

Un dato di fatto è che in molti altri Paesi europei i sistemi di deposito (Deposit return system, Drs) sono già presenti e funzionanti o in fase d’introduzione; in Italia invece anche l’ultimo tentativo proposto nel 2017 è andato praticamente a vuoto.

«I sistemi di deposito cauzionale si stanno velocemente diffondendo in Europa – argomenta Silvia Ricci, responsabile Rifiuti ed economia circolare dell’associazione Comuni virtuosi – Altri 12 paesi hanno già stabilito l’introduzione del sistema entro i prossimi quattro anni in relazione agli obiettivi imposti dalla Sup (la direttiva europea sulla plastica monouso, ndr). In Italia ancora non se ne parla e la nostra associazione è stata l’unica realtà italiana ad avere portato all’attenzione del Governo  attuale precedente – un elenco di proposte in materia». Ma chi pagherebbe? «Implementare un sistema di deposito non significa dovere investire risorse finanziarie pubbliche perché sono i produttori e rivenditori di bevande a doversi fare carico del 100% dei costi di avviamento e gestione del sistema nell´ambito della loro responsabilità estesa del produttore», dichiara Ricci.

La necessità di raggiungere per le bottiglie di plastica obiettivi di raccolta del 90% previsti dalla direttiva Sup al 2029 (77% entro il 2025 ) e di contenuto riciclato (almeno il 30% al 2030), stanno infatti spingendo alcuni governi europei ad introdurre sistemi Drs: «Le performance di successo dei paesi, prevalentemente nel nord Europa, dove i sistemi di deposito sono in vigore da tempo sono caratterizzate infatti da tassi di raccolta media del 91% per gli imballaggi di bevande immessi sul mercato – commentano dall’Associazione – Paesi che hanno implementato un Drs in tempi più recenti come la Lituania, dimostrano inoltre che è possibile raggiungere questi risultati di intercettazione media in tempi brevissimi».

Secondo i dati raccolti nel report What we waste, se l’Italia adottasse un Drs con le performance medie di riciclo dei sistemi di deposito attivi in Europa ridurrebbe del 75% lo spreco di imballaggi per bevande. Ad oggi si contano circa 7,2 miliardi di contenitori per bevande non riciclati in Italia (dati 2019), che a livello procapite corrispondono a 119 contenitori l’anno: 98 bottiglie in Pet, 12 bottiglie in vetro e 9 lattine. Introducendo un sistema Drs, il report stima che i contenitori non avviati a riciclo si ridurrebbero a 1,7 miliardi con una quota media pro capite di 29 contenitori.

Una prospettiva che il report confronta con il contesto europeo: «Mentre la quota di mercato europea dei ricaricabili – come birra, bibite e bottiglie d’acqua – è crollata dal 47% al 21% in soli vent’anni, nello stesso periodo i contenitori monouso sono aumentati di oltre il 200%. Tuttavia, i paesi con sistemi di deposito cauzionali e con una quota di mercato di vuoto a rendere con bottiglie ricaricabili superiore al 25% sono quelli che hanno ottenuto i risultati migliori in termini di dispersione degli imballaggi. Lo spreco di di bottiglie e lattine è infatti sette volte più basso in questi Paesi rispetto a quelli che non hanno sistemi di deposito e di vuoto a rendere. Tra questi paesi, la Germania si distingue come la migliore della categoria, con una quota di ricaricabile del 55% e uno spreco limitato a soli 10 contenitori per persona all’anno».