Via libera dall’Europarlamento all’embargo sull’import di combustibili fossili dalla Russia

Nature: «La decarbonizzazione consentirà all'Europa di porre fine alla sua dipendenza dalla Russia e contemporaneamente di raggiungere i suoi obiettivi climatici»

[8 Aprile 2022]

Con quasi 6,5 milioni di cittadini ucraini sono stati sfollati all’interno del paese e oltre 4 milioni sono fuggiti nei paesi vicini, l’Europarlamento ha adottato ieri una risoluzione – approvata con 513 voti favorevoli, 22 contrari e 19 astensioni – in cui i deputati chiedono ulteriori misure per fermare la guerra, tra cui un embargo totale e immediato sulle importazioni dalla Russia di petrolio, carbone, combustibile nucleare (la Russia è il quarto stato al mondo per risorse di uranio) e gas.

Le misure dovrebbero essere accompagnate da un’azione volta a continuare ad assicurare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’UE nel breve termine e da dettagliate tappe da seguire per eventualmente revocare le sanzioni “nel caso in cui la Russia adotti provvedimenti intesi a ripristinare l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale e ritiri completamente le proprie truppe dal territorio ucraino”.

Un’opzione tutt’altro che indolore per l’economia europea e italiana in particolare, legata colpevolmente a doppio filo all’import di combustibili fossili dalla Russia.

Secondo le stime del ministro dell’Economia, Daniele Franco, l’attuale scenario di crescita dell’economia italiana vede una crescita tendenziale per il 2022 al 2,9%, ma un blocco completo del gas russo potrebbe portarla «sotto il 2,3% ereditato dal 2021».

Fino ad ottobre il nostro Paese, che ha le riserve di gas ben fornite e l’estate alle porte, potrebbe sopportare senza eccessivi problemi uno stop all’import dalla Russia, ma con l’autunno le cose si complicherebbero non poco.

Nell’ultimo anno il 77% del fabbisogno energetico nazionale è stato soddisfatto dalle importazioni di combustibili fossili, ovvero gas, petrolio e carbone, con la Russia in prima fila: dipendono da questo canale d’approvvigionamento un quarto di tutti i nostri consumi di energia fossile.

Ci troviamo così a pagare un conto molto salato per l’ignavia sulla transizione energetica: dal 2014 in Italia le rinnovabili hanno rallentato molto la loro crescita, più che nel resto d’Europa (solo +3% tra il 2015 e il 2019 in Italia, a fronte di una media Ue del 13%). Basti pensare che se lo sviluppo delle rinnovabili fosse andato avanti con lo stesso incremento annuale medio registrato nel triennio 2010-2013 (pari a 5,9 GW l’anno, contro il dato attuale inferiore a 1 GW), oggi l’Italia avrebbe 50 GW in più di impianti e sarebbe stata così in grado di ridurre i consumi di gas metano di 20 miliardi di metri cubi l’anno, tagliando le importazioni di gas dalla Russia del 70%.

Nonostante tutto, è sempre questa la strada da percorrere, solo molto più velocemente. La principale associazione confindustriale attiva nel comparto elettrico – Elettricità futura –, afferma di poter realizzare 20 GW di nuovi impianti l’anno, permettendo contestualmente di ridurre l’import di 5 mld mc di gas annuo, ogni anno. Al contempo, se ci allineiamo agli obiettivi climatici (-55% emissioni di gas serra rispetto al 1990) la quota di fabbisogno energetico coperto da fonti nazionali passerà dall’attuale 23% al 54% entro il 2030.

Il problema è che ormai non c’è modo di recuperare in pochi mesi il ritardo di anni accumulato sulle rinnovabili, e anche il piano del Governo per rinunciare completamente all’import di gas russo – basandosi essenzialmente sull’import di gas da altri Paesi, in larga parte politicamente instabili e/o con criticità sul fronte dei diritti umani – prevede un orizzonte di tre anni.

L’unica buona notizia è che la nostra è una dipendenza reciproca: senza le forniture di gas all’Europa, la Russia perderebbe introiti per 700 mln di euro al giorno, che non potrebbe ricavare altrove – almeno a stretto giro di posta – per il nostro stesso problema, ovvero la mancanza di infrastrutture alternative.

Per staccare la spina a Putin, nel breve termine come europei dovremmo dunque prepararci a dei sacrifici, oltre ad una forte accelerazione sulle rinnovabili; in altre parole a «un’azione immediata su molti fronti – come spiega Nature in un’editoriale – inclusa un’intensa cooperazione internazionale per aumentare le importazioni di gas naturale da altri paesi; il lancio di una serie di progetti sull’energia pulita e l’introduzione di una serie di misure di risparmio energetico ed efficienza, forse compreso il razionamento dell’energia». Sacrifici che dovranno essere equamente distribuiti, sostenendo sia le fasce più deboli (ed esposte) della popolazione, sia l’azione climatica: «Se l’obiettivo immediato è mantenere le luci accese, l’obiettivo a lungo termine deve essere la decarbonizzazione, che consentirà all’Europa di porre fine alla sua dipendenza dalla Russia e contemporaneamente di raggiungere i suoi obiettivi climatici», concludono da Nature.