Global opportunity report 2016, disoccupazione giovanile e ambiente i rischi maggiori

Un quarto dei giovani di tutto il mondo non studia né lavora: 75 milioni di Neet

L’Italia ha la popolazione con educazione terziaria più bassa d’Europa, tra i giovani il 14,7% si è fermato alle scuole medie

[27 Aprile 2016]

Secondo le ultime rilevazioni dell’Eurostat, dopo i greci sono i giovani italiani quelli che se le passano peggio in Europa, con una percentuale di Neet – individui nella fascia d’età 15-34 anni che non studiano né lavorano – che è ancora inchiodata al 26,9%: più di un quarto del totale. Una zona grigia che riceve poca o nessuna attenzione da parte delle istituzioni, e che non è semplice esplorare (sulle nostre pagine ci abbiamo provato con l’aiuto dell’esperta in formazione Vittoria Gallina) ma che ha ormai raggiunto dimensioni preoccupanti e non solo in Italia. Secondo il Global opportunity report 2016, un’indagine condotta a livello globale da Dnv Gl, dal Global compact delle Nazioni Unite e da Monday Morning, nel mondo i giovani che oggi non stanno né studiando né lavorando sono 75 milioni, circa un quarto di tutti i ragazze e ragazze che oggi abitano il mondo. Una percentuale che è destinata ad aumentare, se non prenderanno provvedimenti, vista la crescita demografica ancora in corso. Nel prossimo decennio, un altro miliardo di giovani si affaccerà al mondo del lavoro: che cosa farà?

«Le cause di questa situazione non vanno ricercate solo nella recessione economica – spiega Luca Crisciotti, ceo di Dnv Gl – Business assurance – Siamo di fronte a un nuovo mondo del lavoro caratterizzato da incertezza, crescente robotizzazione, rapidi cambiamenti e tassi di disoccupazione che rimangono alti anche quando l’economia cresce. È necessario ripensare modelli e sistemi, anche per le aziende, che altrimenti perderanno una generazione di consumatori».

Proprio l’indagine che ha prodotto il Global opportunity report 2016 ha coinvolto oltre 5.500 rappresentanti del mondo delle aziende, del governo e della società civile, e la disoccupazione giovanile è risultato essere il rischio che preoccupa di più tra quelli presi in considerazione raccogliendo il 42% delle indicazioni, precedendo quelli legati all’accelerazione delle emissioni dai trasporti (21%), la crisi mondiale del cibo (14%), la resistenza ai farmaci salvavita (15%) e la perdita della biodiversità degli oceani (8%). Non è indifferente sottolineare però che sommando i rischi direttamente correlati alle problematiche ambientali si raggiunge un 43%, una percezione del rischio maggiore anche rispetto a quella legata alla disoccupazione giovanile.

E proprio lo sviluppo di un’economia più verde e circolare, basata sulla conoscenza, potrebbe costituire una via d’uscita per i giovani di oggi e di domani. In particolare, secondo il rapporto le principali armi per combattere la disoccupazione dei giovani sono tre: incubare l’imprenditoria giovanile, sviluppare un mercato del lavoro digitale, coordinare competenze e mercato.

Nel 2020 – si legge nel report – a livello globale mancheranno 40 milioni di lavoratori con istruzione terziaria, nelle economie in via di sviluppo ne mancheranno 45 milioni con istruzione secondaria e ci saranno 95 milioni di lavoratori con istruzione di base in più rispetto a quelli che servono; si tratta di dati con cui cominciare già oggi a fare i conti, e a oggi l’Italia non è affatto ben posizionata per raccogliere la sfida. Come documenta ancora l’Eurostat, nella fascia d’età 30-34 anni l’Italia ha la popolazione con educazione terziaria più bassa d’Europa, con paesi come Romania e Malta che vantano performance migliori delle nostre. Al contempo, nel Bel Paese la popolazione (18-24 anni) che si è fermata alle medie inferiori e non partecipa ad altri corsi di formazione arriva al 14,7% del totale, la quarta più grande dell’Unione europea.

Si tratta di un quadro scoraggiante, che collima però perfettamente con un tessuto economico e produttivo che non valorizza neanche le competenze acquisite: l’Italia ha sia il più basso tasso d’occupazione tra laureati nei paesi Ocse, sia la quarta peggiore performance d’Europa tra i giovani 20-29enni diplomati e occupati.

Per dare reale slancio a un’economia verde e innovativa, questi numeri devono cambiare. Si tratta di uno sforzo titanico, che comunque potrebbe non bastare per sanare la piaga della disoccupazione giovanile. Nonostante i suggerimenti  del Global opportunity report, non tutti i Neet italiani di oggi e di domani potranno essere imprenditori di sé stessi – a meno che questa non sia una semplice formula lessicale per ribattezzare di fatto una precarizzazione di massa –, o programmatori di software. L’enorme e crescente massa della disoccupazione giovanile nel mondo, insieme alla crescente robotizzazione individuata anche nel report 2016, suggeriscono quanto sia importante e urgente pensare a misure di sostegno al reddito e a un lavoro minimi. Il Comitato europeo delle Regioni ha recentemente chiesto alla Commissione Ue di introdurre «forme universalistiche di sostegno al reddito per chi accetta di svolgere lavori di pubblica utilità», rivolte ai disoccupati di lunga durata: è un primo spunto, ma la politica deve muoversi più in fretta.