Intervista a Bruno Della Vedova, neo-presidente dell’Unione geotermica italiana

Ugi, ecco quali sono le priorità per sostenere lo sviluppo sostenibile della geotermia in Italia

Un’Autorità geotermica nazionale unica e standard di sostenibilità delineati a livello globale per mettere a frutto nel nostro Paese l’inesauribile risorsa del calore della Terra

[22 Novembre 2021]

Dopo il grande impegno profuso da Adele Manzella, i vertici dell’Unione geotermica italiana (Ugi) sono stati appena rinnovati chiamando Bruno Della Vedova alla presidenza: si apre adesso un triennio particolarmente sfidante, dato l’avvio degli investimenti sulla transizione ecologica previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che si abbina agli ambiziosi obiettivi stabiliti dall’Ue per il 2030 con il Green deal. Obiettivi che richiedono un sforzo epocale e coordinato di tutte le fonti rinnovabili; la geotermia in particolare, per le sue peculiari caratteristiche, può dare un enorme contributo a uno sviluppo realmente sostenibile per il nostro Paese – dove le tecnologie geotermiche sono nate per la prima volta al mondo oltre due secoli fa – sia sotto il profilo ambientale sia per quanto riguarda la dimensione socio-economica.

Presidente, quali saranno le priorità del suo mandato?

«Nel 2006 l’Ugi ha pubblicato un’edizione speciale del proprio notiziario – La geotermia ieri, oggi e domani – con i dati relativi alla produzione elettrica e di calore e le relative previsioni al 2020, secondo diversi scenari di sviluppo. Per il 2012 si prevedeva la realizzazione di quattro nuovi impianti già definiti, portando la potenza complessiva installata a 960 MWe, con due scenari ipotizzati al 2020 con obiettivi di potenza complessiva installata fino a 1200-1500 MWe.

Ad oggi invece la potenza complessiva installata è di circa 944 MWe, per una produzione elettrica netta annua di circa 6 GWh. In altre parole non abbiamo incrementato significativamente la produzione: ci sono ampi margini di miglioramento, dato che in Italia le risorse geotermiche sono abbondanti, la tecnologia è di elevato livello e il settore ha enormi potenzialità di sviluppo: geoscambio, teleriscaldamento, produzione geotermoelettrica. Senza contare che dai fluidi geotermici si possono ricavare idrogeno, litio e altri minerali.

Bisogna mettere mano alle barriere che hanno impedito finora lo sviluppo del settore. Ugi intende contribuire a questa transizione ecologica lavorando assieme alle altre associazioni, istituzioni ed enti di ricerca nella Piattaforma geotermica – anche a livello internazionale, in stretta collaborazione con Egec e Iga – attivando rapporti istituzionali e proposte per una strategia condivisa che favorisca la ripartenza del settore per il raggiungimento degli obiettivi europei al 2030: riduzione nelle emissioni clima-alteranti del 55% e contestuale aumento del contributo da fonti rinnovabili nel mix energetico al 40%».

La nuova strategia sulle energie rinnovabili a cui sta lavorando il ministero della Transizione ecologica (Mite) prevede un incremento al 2030 nella potenza geotermoelettrica installata pari a 0,2 GW, contro i 43 GW dal solare e i 12 GW dall’eolico. Sono queste le reali potenzialità della geotermia italiana, o le risorse geotermiche disponibili nel sottosuolo giustificherebbero ambizioni maggiori?

«Sicuramente le potenzialità sono enormi, sia per la produzione elettrica che per l’uso del calore. In teoria le risorse sarebbero tali da portare un contributo molto significativo al nostro fabbisogno ma, nella pratica, il rilancio del settore geotermico – finora marginale e poco considerato – richiede una seria analisi e rigorosa riduzione delle molte barriere che ne impediscono lo sviluppo: una normativa complessa e frammentaria, tempi eccessivamente lunghi per ottenere i permessi e le concessioni geotermiche, elevati costi iniziali, scarsi investimenti in R&S e contestuali carenza di misure di sostegno per far decollare il settore, e su tutto una scarsa diffusione della conoscenza del settore, con informazione e comunicazione insufficienti e formazione marginale e inadeguata.

Come Ugi riteniamo sia necessario attivare dei meccanismi incentivanti per un periodo limitato, analogamente a quanto esiste in altri Paesi, al fine di condurre il settore verso l’autosostentamento sul mercato, inclusa l’attivazione di un fondo per coprire il rischio minerario inerente la perforazione del primo pozzo esplorativo. Proponiamo inoltre l’investimento in progetti geotermici sperimentali a circuito chiuso per la produzione elettrica e l’incentivazione degli impianti geotermici ad alto rendimento.

Con una nuova e robusta strategia sulle rinnovabili, realizzare come indicato dal Mite 200 MW geotermici di nuovi impianti al 2030 (fra Enel green power e gli altri operatori con progetti autorizzati o in iter autorizzativo) è sicuramente poco ambizioso, ma in questi 9 anni fino al 2030 si potranno mettere in cantiere molti più progetti da realizzare immediatamente dopo».

Per quanto riguarda invece gli usi diretti del calore, realisticamente quale crede potrebbe essere il contributo della geotermia allo sviluppo sostenibile del Paese?

«Se pensiamo che il 50% circa del consumo energetico a livello europeo è rappresentato dalla domanda di calore, allora l’utilizzo del calore geotermico (inesauribile, costante, disponibile ovunque e a limitatissimo impatto) è di gran lunga la fonte rinnovabile più adatta a soddisfare questa domanda con il massimo rendimento.

Da quasi dieci anni stiamo contribuendo con circa 11.000 TJ/a (0,26 Mtep/a) di energia termica utilizzata, senza incrementi significativi. Questo valore potrebbe aumentare di diverse volte nei prossimi dieci anni se gli impianti a geoscambio e le reti di teleriscaldamento riuscissero a decollare.

Nel nostro Paese, il maggior consumo di combustibili fossili si registra proprio per gli usi termici negli edifici (55Mtep/anno), che sono responsabili della metà delle emissioni di CO2 – massimamente in ambito urbano –, eguagliando tutte quelle prodotte per la generazione di energia elettrica e nel settore dei trasporti. In questo campo, i sistemi di riscaldamento e raffrescamento che fanno uso di fonti rinnovabili già orientano in altri Paesi europei le scelte urbanistiche e di politica industriale. A nostro avviso, anche in Italia potrebbero guidare la crescita dei settori edilizio e manifatturiero, e soprattutto essere occasione di forte innovazione progettuale, in termini di riqualificazione energetica del nostro vasto (ed unico) patrimonio urbano di valore storico e architettonico».

Ad oggi l’indicazione arrivata dal Mite alla Regione Toscana è quella di autorizzare impianti rinnovabili per almeno 2,5 GW nell’ambito degli investimenti Pnrr, ma a livello locale la preoccupazione sembra incentrata sulla “tutela” del paesaggio. Coltivare geotermia presuppone un basso consumo di suolo rispetto all’energia prodotta: può rappresentare un vantaggio sotto il profilo paesaggistico?

«Premesso che l’impatto zero non esiste e che bisogna innovare ed investire per ridurre rischi e impatti delle attività antropiche a livelli minimali e sostenibili, bisogna dire che gli impianti geotermici per gli utilizzi del calore (geoscambio e teleriscaldamento/teleraffrescamento) hanno un impatto globale, e paesaggistico in particolare, veramente minimale in quanto reti e sonde geotermiche scambiano calore con il sottosuolo prevalentemente in sistemi a circuito chiuso. L’unico impatto paesaggistico è quello della centrale termica.

Per la produzione geotermoelettrica è importante continuare a percorrere, con più coraggio, la strada intrapresa finora in Toscana dove dal 2005 sono stati immessi in rete circa 120 MW di potenza con 5 nuovi impianti (Sasso 2 – 20 MW, Lagoni Rossi – 20 MW, Nuova Radicondoli – 20 MW, Chiusdino – 20 MW, Bagnore 4 – 40 MW), portando così la potenza totale installata a circa 944 MW e circa 6 TWh/a di energia elettrica netta annua prodotta, pari a circa 1,8% del consumo elettrico nazionale (330 TWh/a).

I nuovi impianti innovativi e sperimentali per la produzione geotermoelettrica che si stanno sviluppando in alcuni Paesi, e che potrebbero partire anche in Italia, prevedono un’ulteriore riduzione degli impatti globali sull’ambiente e sugli ecosistemi mediante il trattamento dei gas incondensabili e la reiniezione totale a circuito chiuso nei siti ove questa risulti possibile.

Da un punto di vista paesaggistico gli impianti e le reti superficiali di distribuzione dei fluidi fra pozzi e centrale hanno un impatto limitato e considerato sostenibile se confrontato con le altre fonti rinnovabili e convenzionali. Il monitoraggio degli impianti, in fase di realizzazione e di esercizio permetteranno di controllare la circolazione dei fluidi, i sistemi acquiferi superficiali e l’assetto geostrutturale».

Nonostante la presenza di risorse geotermiche ampie e di grande qualità, lo sviluppo industriale del comparto corre veloce nel mondo mentre in Italia soffre da tempo una fase di stallo. Quali sono gli strumenti a disposizione per rendere più fluido l’iter di permitting e al contempo accrescere i vantaggi per le comunità che ospitano gli impianti sul proprio territorio?

«Per il rilancio della geotermia ritengo cruciale e necessaria la creazione di un’unica Autorità geotermica nazionale, che si occupi della governance e coordinamento del settore, definendo le linee guida e piano strategico di sviluppo, valutazione dei progetti, rilascio dei permessi e delle concessioni, monitoraggio degli impatti. Questa scelta garantirebbe un approccio rigoroso ed omogeneo su tutto il territorio nazionale, ridurrebbe drasticamente i tempi per l’ottenimento di permessi e concessioni e favorirebbe gli investimenti.

Risulta inoltre evidente la necessità di procedere all’armonizzazione e standardizzazione della normativa in materia di geotermia, complicata e frammentata in troppe leggi, decreti e regolamenti, che ne rendono complesse le procedure sia per le istituzioni che per gli operatori.

Al contempo, è necessario concretizzare un sostegno alla filiera industriale geotermica di alto livello, nell’esplorazione, perforazione, realizzazione di impianti (anche in associazione con altre fonti energetiche), innovazione nelle tecnologie di decarbonizzazione, sostenibilità ambientale ed economia circolare.

In particolare, occorre supportare l’investimento in progetti geotermici sperimentali a circuito chiuso per la produzione elettrica e incentivare degli impianti geotermici ad alto rendimento, investire in progetti e infrastrutture in ambito urbano per il teleriscaldamento, sostenuto della risorsa geotermica disponibile in loco, e infine finanziare i centri di ricerca per rilanciare la formazione di base e applicata.

Si tratta di una strategia di sviluppo per il comparto geotermico da vincolare a precisi e stringenti criteri di sostenibilità, che proprio adesso vanno definendosi a livello internazionale tramite l’elaborazione di un Geothermal sustainability standard e geothermal sustainibility assessment protocol (Gsap), per garantire sia la sostenibilità ambientale sia equi vantaggi per le comunità locali».

In Toscana il modello di sviluppo geotermico inclusivo sostenuto dal CoSviG sta riscuotendo interesse a livello internazionale, dall’Islanda alla Turchia. Pensa possa rappresentare un pilastro per continuare a migliorare le ricadute socio-economiche – oltre che ambientali – della coltivazione geotermica anche nel nostro Paese?

«Sicuramente sì: le sfide globali poste dai 17 Sustainable development goals dell’Agenda Onu 2030 sono tutte interconnesse con stretti rapporti relazionali.

Il lavoro CoSviG presentato a Reykjavik sulle aree geotermiche toscane è un ottimo case history dove la ricerca del giusto equilibrio tra risorse naturali, innovazione, tecnologia, patrimonio storico e paesaggistico, insieme al coinvolgimento inclusivo delle comunità locali rappresentano un metodo partecipato e sostenibile da esportare ed estendere a modello anche a scala di settore.

Questo metodo è già stato applicato alla scala di un intero settore industriale come gli impianti idroelettrici. L’International hydropower association (Iha) ha infatti certificato e concordato con un ampio consiglio di governance multistakeholder un protocollo per la valutazione sulla sostenibilità degli impianti, per valutarne la performance mediante una matrice di 20 indicatori.

Seguendo questo modello, a Reykjavik durante il WGC2020+1 è stato siglato l’accordo fra Iha e l’International geothermal association (Iga) per procedere insieme alla costruzione di un analogo Standard di sostenibilità per il settore geotermico, che dovrà produrre le linee guida, e il già accennato Geothermal sustainibility assessment protocol (Gsap): ovvero un protocollo che mira a valutare i progetti geotermici in funzione della loro sostenibilità, minimo impatto e compensazione delle comunità locali, durante tutte le fasi di progettazione, realizzazione, operatività e smantellamento degli impianti».

Come e più che altre energie rinnovabili, la geotermia – fonte ancora poco nota al grande pubblico – soffre di sindromi Nimby e Nimto che ne frenano l’impiego in Italia. Investire in buona comunicazione e informazione ambientale può essere uno strumento utile per fare ordine nel mare magnum delle fake news e promuovere uno sviluppo realmente sostenibile del comparto?

«La promozione della geotermia per uno sviluppo davvero sostenibile è un processo articolato e laborioso, che richiede il coordinamento e la collaborazione di diversi settori: strategia di sviluppo, investimenti e incentivi, sostenibilità e monitoraggio impatti, coinvolgimento e inclusione del territorio, formazione scientifica e professionale. In questo processo l’informazione seria e la comunicazione giocano un ruolo fondamentale per aumentare la conoscenza e la consapevolezza dei cittadini».