Ucraina, la crisi energetica peggiora: le utility italiane puntano sulle rinnovabili

Colarullo: «Nel breve e medio periodo è necessario lavorare a dei patti territoriali che coinvolgano imprese ed enti locali per accelerare sul fronte delle energie rinnovabili»

[24 Febbraio 2022]

La crisi ucraina, con le sue ricadute sugli assetti energetici del continente e non solo, si è resa protagonista stamani anche nel corso del Top utility, l’evento organizzato in collaborazione con Utilitalia che fa il punto dello stato dell’arte nei settori acqua, energia e rifiuti.

Nel corso dell’evento è stata illustrata la decima edizione dello studio “Le performance delle utility italiane. Analisi delle 100 maggiori aziende dell’energia, dell’acqua, del gas e dei rifiuti” presentato questa mattina da Alessandro Marangoni, ad di Althesys e capo del team di ricerca, mostrando i progressi compiuti dalle utility italiane nel corso dell’ultimo decennio ma anche le imminente sfide che si trovano adesso ad affrontare.

Per quanto riguarda il pregresso, Top utility ha analizzato il mercato dei servizi pubblici a partire dal 2011, mostrando come il settore utility italiano goda nel complesso di buona salute: se i ricavi sono calati progressivamente dalla prima edizione del report, passando dai 111 miliardi del 2011 ai 102 del 2019 (6% del Pil), prima del crollo del 2020, il settore realizza in genere buoni margini.

In generale, si è verificato un miglioramento delle performance, ad esempio con la riduzione delle perdite idriche: il valore registrato nel 2020 (29%) è il più basso del decennio. Pochi sono i miglioramenti, invece, per la depurazione: la percentuale di utenti collegata ai depuratori del 2020 (85%) si mantiene vicina alla media del decennio. Per i rifiuti, invece, si assiste all’aumento della raccolta differenziata passata in media dal 52% (2011) al 66% (2020).

La pandemia ha rappresentato un improvviso cambio scenario, anche per le utility che hanno continuato a garantire servizi essenziali alla cittadinanza. Nel 2020 si registra infatti una caduta senza precedenti del fatturato (-16% rispetto al 2019), anche se il valore della produzione aggregato delle Top100 vale 88,7 miliardi, pari al 5,3% del Pil italiano.

A incidere maggiormente è stato il settore elettrico, che ha perso oltre il 22% rispetto all’anno precedente, condividendo con il gas (-6,7%) le conseguenze del crollo della produzione industriale e della caduta dei prezzi nei mercati energetici. Penalizzati anche gli altri comparti, anche se in misura inferiore: le utility idriche (-4,1%) e le multiutility (-3%), mentre il waste management ha mantenuto un fatturato aggregato sostanzialmente inalterato.

Nonostante l’annus horribilis, non c’è stata tuttavia una flessione negli investimenti, che si sono attestati sui 7,2 miliardi, sostanzialmente invariati, a perimetro omogeneo, rispetto all’anno precedente.

E ora, con la guerra tornata ad incendiare l’Europa? «Contro il caro bollette, e alla luce degli eventi straordinari delle ultime ore che potrebbero comportare un’ulteriore crescita dei prezzi e mettere a rischio la sicurezza dei sistemi di approvvigionamento, è necessario mettere in campo nei prossimi mesi misure concrete anche per ridurre la dipendenza del Paese dal gas», dichiara Giordano Colarullo, direttore generale di Utilitalia.

«Nel breve e medio periodo – ha aggiunto – è necessario lavorare a dei patti territoriali che coinvolgano imprese ed enti locali per accelerare sul fronte delle energie rinnovabili, alla luce del fatto che su questo tipo di impiantistica non è solo il Governo centrale a decidere, ma è fondamentale la collaborazione dei territori per riuscire a portare a compimento gli investimenti necessari in maniera rapida. In quest’ottica, lo sviluppo di patti territoriali tra imprese ed enti locali, tesi all’individuazione di aree idonee alla realizzazione degli impianti e alla velocizzazione delle procedure, potrebbe aiutare il Paese a ridurre la dipendenza dalle fonti fossili. Se, dal un lato, le imprese dei servizi pubblici sono pronte a massicci investimenti sulle rinnovabili, dall’altro lato per gli enti locali ciò si tradurrebbe in importanti vantaggi ambientali ed occupazionali».

Occorre però riconoscere che finora non è stata imboccata la strada giusta, a livello nazionale: «Le prime mosse del Governo sono invece andate nella direzione sbagliata: è il caso dell’articolo 16 del decreto Sostegni-ter, che finisce per colpire proprio il settore delle rinnovabili. In un orizzonte di medio periodo bisogna invece ragionare su un ampio spettro di vettori a sostegno della transizione energetica. Penso al teleriscaldamento, a un’impiantistica adeguata per la gestione dei rifiuti che possa valorizzarli anche dal punto di vista energetico e al biometano, che ha un potenziale di 8 miliardi di metri cubi, pari al 10% del fabbisogno nazionale».