Tutela del capitale naturale? In Italia sono in vigore 37 sussidi dannosi per la biodiversità

Sono quelli censiti dal ministero dell’Ambiente. Nel mentre le imposte che hanno come basi imponibili l’inquinamento o l’uso delle risorse naturali sono solo l’1%

[10 Gennaio 2020]

Il ministero dell’Ambiente ha pubblicato la terza edizione del Rapporto sullo stato del capitale naturale in Italia, un prezioso documento che attraverso la contabilizzazione dei beni naturali punta a superare il paradosso della “invisibilità economica della natura”: ci ostiniamo a osservare l’incremento (o più spesso lo stallo) della nostra economia, dimenticando che per sostenerla consumiamo 8,7 tonnellate di risorse naturali l’anno a testa, e che per ottenere mille euro di Pil servono 0,31 tonnellate di queste risorse: nel 2016 (ultimo dato disponibile) il Consumo materiale interno ha raggiunto le 493.538.000 tonnellate a livello nazionale.

Non solo: secondo le precedenti edizioni del report la natura ci regala 338 miliardi di euro in servizi ecosistemici, ma attraverso la nostra pressione sull’ambiente mettiamo a rischio beni assai più preziosi. Acqua e aria pulite, cibo, il piacere di passeggiare in un bosco. La natura ci dà la vita ma «pur essendo indubbiamente fonte primaria di tutti i valori d’uso e di scambio, non si vede riconosciuto alcun merito e alla sua protezione sono allocate quote irrisorie del prodotto sociale. L’idea di fondo è che, adottando un’unità di riferimento e un sistema di misurazione comune (e al quale i vari portatori di interesse sono più abituati), si possa meglio comprendere e far comprendere il valore della natura e persino proteggerla e conservarla con più efficacia».

Nonostante il ministero dell’Ambiente sia arrivato al terzo rapporto di questa serie, i progressi nella tutela del capitale naturale però scarseggiano. Ad ogni nuovo documento si aggiunge anzi un altro aspetto su cui è necessario migliorare.

In questo caso emerge il tema della fiscalità: una disamina dei sussidi dannosi per la biodiversità, ovvero un sottoinsieme dei sussidi ambientalmente dannosi individuati nella seconda edizione del Catalogo elaborato sempre dal ministero (la terza edizione per legge avrebbe dovuto vedere la luce lo scorso giugno, ma ancora non è nota), arrivando a individuare 19,3 miliardi di euro in sussidi ambientalmente dannosi (Sad) contro 15,2 miliardi di euro stanziati per sussidi ambientalmente favorevoli. Tra i Sad censiti dal dicastero, il rapporto individua ben 37 – qui l’elenco completo – dannose per la biodiversità nazionale.

Non a caso la prima delle raccomandazioni contenute nel documento sottolinea la necessità di “studiare forme di fiscalità orientata alla protezione del capitale naturale”. Ad oggi (dato 2017) il gettito legato alle tasse ambientali – ovvero quelle dove la base impositiva “è costituita da una grandezza fisica (eventualmente sostituita da una proxy) che ha un impatto negativo provato e specifico sull’ambiente” – arriva a livello nazionale a 57,4 miliardi di euro (il 3,3% del Pil), ma per «la quasi totalità» non sono tasse di scopo. Ovvero, sono imposte il cui gettito non è utilizzato per finanziare le spese per la protezione ambientale. Solo l’1% circa delle imposte ambientali è soggetto ad un vincolo di destinazione riguardante il finanziamento delle spese per la protezione dell’ambiente.

«Un’imposizione fiscale maggiormente orientata alla razionalizzazione dell’uso delle risorse del capitale naturale – conclude nel merito il rapporto – dovrebbe veder aumentare in termini assoluti questa componente; contribuirebbe anche a contrastare la riduzione delle risorse finanziarie disponibili per gli investimenti nella protezione dell’ambiente, evidenziata nell’Ecorendiconto». Ovvero?

L’Ecorendiconto datato settembre 2019, e riguardante l’esercizio finanziario 2018, mostra che «le risorse destinate dallo Stato alla spesa primaria per la protezione dell’ambiente e per l’uso e la gestione delle risorse naturali ammontano nel 2017 a circa 4,7 miliardi di euro, pari allo 0,7% della spesa primaria complessiva del bilancio dello Stato. Questo volume di risorse rappresenta la massa spendibile per la spesa primaria ambientale», un’inezia rispetto ai 338 miliardi di euro che ogni anno ci regala la natura.