Tex Majhong, l’ennesima inchiesta sui rifiuti toscani torna a colpire il distretto tessile di Prato

La Dda di Firenze denuncia smaltimenti illeciti all’estero e in «plurimi capannoni industriali, container e semirimorchi» pronti a bruciare. Ma le alternative legali per smaltimento e recupero continuano a mancare

[10 Giugno 2021]

Dalla Dda di Firenze è scattata l’ennesima inchiesta – con questa sono almeno cinque nell’ultimo anno – sulla gestione dei rifiuti toscani, stavolta con un grande classico come protagonista: oggetto dell’operazione Tex Majhong sono infatti gli scarti tessili del distretto pratese, peraltro uno dei cluster più circolari d’Europa proprio per la storica capacità nel portare a nuova vita abiti e stracci usati. Ma anche dalla migliore economia circolare, come del resto da ogni altro processo industriale, esitano nuovi rifiuti (speciali) che poi non sappiamo come gestire data la storica carenza d’impianti adeguati e di prossimità.

L’inchiesta Tex Majhong, che richiama non a caso il famoso gioco d’azzardo di origine cinese, ha portato ieri all’esecuzione di otto ordinanze di misura cautelare, oltre perquisizioni e sequestri emesse dal gip del Tribunale di Firenze tra le Province di Prato, Pisa, Bassano del Grappa e Pesaro Urbino. L’accusa verte su «diecimila tonnellate di rifiuti speciali costituiti da scarti e ritagli di tessuto frammisti a ritagli di carta, frammenti di plastica nonché, a vari rifiuti di origine domestica tipici della produzione e confezione di capi di abbigliamento», che da Prato sarebbero stati sparsi illegalmente in «plurimi capannoni industriali, container e semirimorchi, individuati tra le Provincie di Prato, di Pistoia e Pesaro Urbino» nonché nel nord Italia, oltre che tramite smaltimento illecito all’estero.

Il tutto con «elevati profitti per tutti i componenti dell’associazione criminosa, con un illecito profitto stimato, nell’arco temporale di circa un anno e mezzo di 800.000 euro».

Complessivamente sono 34 gli indagati, a cui vengono contestati reati a vario titolo: «I più gravi – spiegano direttamente dal Comune di Prato –, associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti su tutto il territorio nazionale e traffico transfrontaliero di rifiuti verso paesi dell’unione europea vengono rivolti nei confronti di soggetti italiani e cinesi».

L’operazione affonda le radici in accertamenti svolti nell’anno 2018 dalla Polizia municipale di Prato, dai quali sarebbe emersa «una prima triade criminale», composta da due italiani e una cinese, che si occupavano della raccolta dei rifiuti presso i vari pronto moda e confezioni di abbigliamento dell’hinterland pratese mediante «un apposito servizio di ritiro “porta a porta”» portato avanti tramite «l’affidamento dei propri scarti di lavorazione a soggetti privi di autorizzazioni (i mezzi utilizzati per il trasporto erano spesso privi di iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali e venivano utilizzati timbri di ditte fittizie)», con relativa evasione fiscale.

Il successivo modus operandi ricostruito nell’inchiesta – che ha portato gli investigatori all’individuazione di due filoni di smaltimento, nelle Marche e nel Nord Italia – sembra collimare con una strategia ampiamente diffusa nel Paese, che non di rado porta a incendi: «Comune denominatore l’individuazione di capannoni industriali dismessi, siti in luoghi appartati per i quali veniva corrisposto il canone di locazione solo per i primi mesi e dove quindi gli scarti tessili, fatti viaggiare con documentazione che attestava “magicamente” la perdita dello status di rifiuto, senza che in realtà gli stessi fossero stati sottoposti ad alcuna delle attività previste dalla normativa, quali la cernita selezione ed igienizzazione, venivano ivi abbandonati […] Immobili con rifiuti che raggiungevano quasi il colmo dell’edificio, bombe ad orologeria in virtù dell’elevato potere calorifero scaturito da tali materiali in caso di combustione e privi di ogni requisito di sicurezza ai fini antincendio per i lavoratori all’interno».

Con l’auspicio che l’inchiesta giunga prontamente a conclusione, e dunque all’eventuale processo con sentenza (nessuna delle cinque scoppiate in Toscana nell’ultimo anno è arrivata a tal punto), l’ennesimo scandalo rende evidente l’urgenza di colmare il deficit impiantistico toscano per la gestione dei rifiuti, anche e soprattutto speciali.

L’operazione Tex Majhong riguarda 10mila tonnellate di scarti, ma i rifiuti speciali generati ogni anno in Toscana arrivano a 10 milioni di tonnellate. Che non sappiamo dove mettere, come mostra ad esempio il crescente (e legale) ricorso all’export documentato dall’Ispra.

Gli scarti tessili rappresentano una delle tante frazioni critiche, che anche l’Arpat da anni segue con grande attenzione. Non si tratta certo di una novità: sulla (non) gestione dei rifiuti tessili del distretto pratese si contano numerose inchieste, come mostrano ad esempio le cronache del 2017, del 2019 e ora del 2021. Già nel 2018 gli imprenditori chiedevano soluzioni alla Regione – cui spetta l’onere di rilasciare (o meno) le autorizzazioni a realizzare gli impianti di gestione rifiuti, anche speciali –, che nel 2020 ha risposto siglando il “Patto del tessile” col distretto pratese.

Un patto che avrebbe dovuto «favorire la formazione di filiere certe e stabili da sviluppare dalla lavorazione fino alla destinazione degli scarti e al reimpiego o, laddove questo non sia possibile, agli impianti di incenerimento o alle discariche». Peccato che le discariche siano sempre più piene, mentre gli impianti di incenerimento aborriti ovunque: erano 7 nel 2013, ne solo rimasti 4 e nessun altro è in via di realizzazione.

Senza impianti di prossimità legalmente autorizzati a gestire i rifiuti che cittadini e imprese generano ogni giorno, non c’è dunque da stupirsi se il ricorso all’illegalità sembra crescere. A mettere sull’avviso, per ben due volte solo nel corso del 2020, era stata anche la Direzione investigativa antimafia: secondo la Dia infatti «la cronica carenza di strutture moderne per il trattamento potrebbe favorire logiche clientelari e corruttive da parte di sodalizi criminali», e risulta «significativa, ad esempio, la mancata realizzazione di termovalorizzatori».