Alla Camera l’informativa del ministro Cingolani

Tanto gas e poche rinnovabili nei piani del Governo per dire addio all’import dalla Russia

Entro i tre anni indicati dal ministro come orizzonte minimo per dire addio al gas russo, le infrastrutture esistenti insieme alle nuove rinnovabili sarebbero sufficienti a colmare il gap

[23 Marzo 2022]

Nell’informativa resa ieri alla Camera, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha illustrato le linee guida che il Governo sta seguendo – rivolte al breve, medio e lungo periodo – per rispondere alla crisi energetica in corso e ridurre fino ad azzerare l’import di gas dalla Russia, attualmente il nostro principale fornitore, in un «orizzonte minimo di circa tre anni».

Prospettive che puntano molto alla diversificazione nell’import di gas, e poco a sfruttare appieno l’enorme potenziale di energia rinnovabile presente nel Paese, nonostante le continue promesse in senso contrario.

Il dato di fondo restano i consumi di gas naturale da sostituire: in tutto si tratta di 76 mld di metri cubi nel 2021, pressappoco il dato medio degli ultimi vent’anni. Oltre il 95% di questo fabbisogno è importato, coi flussi dalla Russia che in particolare sono cresciuti da 20 mld mc del 2011 ai 29 del 2021.

Sotto questo profilo, ad oggi a scarseggiare sembra la materia prima oggetto d’importazione (il gas naturale) più che le infrastrutture per trasportarla nel nostro Paese – gasdotti o rigassificatori –, che neanche lavorano a pieno regime.

«Il totale dei flussi di importazione tramite terminali di rigassificazione ammonta a circa il 13% del totale, cioè 9,8 miliardi di metri cubi, a fronte di una capacità massima che questi terminali potrebbero garantire, che è pari a 16 miliardi di metri cubi. Tipicamente, questi terminali di rigassificazione lavorano circa il 60% del tempo», spiega ad esempio Cingolani. Ipotizzando un maggiore utilizzo di questi terminali, anche in periodi dell’anno in cui tipicamente non sono utilizzati, questo «ci potrebbe dare circa 6 miliardi di metri cubi annuali in più».

Guardando invece ai gasdotti, il Transitgas che interconnette la rete di trasporto tedesca e francese a quella italiana, oggi porta 2,2 mld mc di gas «ma avrebbe una capacità massima, riscontrata negli anni passati, sino a 12 miliardi di metri cubi», sulla quale però c’è da considerare la concorrenza dei Paesi del nord Europa. Il gasdotto Transmed, che attraversa il canale di Sicilia e importa gas algerino dalla Tunisia, ci dà invece 21 mld mc di gas ma ha una capacità massima che arriva a 27. Dal Greenstream, che porta sempre in Sicilia il gas dalla Libia, già oggi arriva invece tutto il gas possibile (3,2 mld mc). Infine, il Tap che approda a Melendugno in Puglia e trasporta, tramite la Turchia, anche gas proveniente dall’Azerbaigian: attualmente trasporta 7,2 mld mc a fronte di una capacità massima annua pari a 8,5. «Si può considerare il raddoppio della capacità della Tap – informa Cingolani – tecnicamente è possibile incrementare le importazioni via Tap di circa 10 miliardi di metri cubi/anno. Ovviamente questo richiede 45 mesi di lavori e tutta una serie di grossi interventi a livello internazionale».

Nell’immediato, invece? «L’incremento di importazioni del gas algerino, in particolare con le infrastrutture attuali, è ipotizzabile sino a 9 miliardi di metri cubi l’anno. Per quanto riguarda l’incremento di importazioni sull’infrastruttura Tap attuale, vi può essere un aumento di circa 1,5 miliardi di metri cubi l’anno». Ipotizzando poi un maggiore utilizzo dei rigassificatori esistenti, anche in periodi dell’anno in cui tipicamente non sono utilizzati, questo «ci potrebbe dare circa 6 miliardi di metri cubi annuali in più».

Ma il Governo ha deciso di premere sull’acceleratore acquistando «nuova capacità di rigassificazione su unità galleggianti ancorate in prossimità di porti, che può essere realizzata in 12-18 mesi. Questo potrebbe fornire da 16 a 24 miliardi di metri cubi di gas», ovvero un intervento che da solo potrebbe arrivare a coprire quasi interamente la quota di import di gas dalla Russia, pari a circa 29 mld mc.

«È chiaro – ha aggiunto Cingolani – che le unità galleggianti hanno il vantaggio che possono essere utilizzate finché servono e poi possono essere tolte in qualsiasi momento, quindi non sono infrastrutture permanenti». Di fatto, ieri è partito l’incarico a Snam per la negoziazione all’acquisto di una Fsru, una nave da rigassificazione, e al noleggio di una seconda unità; non è ancora data sapere invece la localizzazione degli impianti, nonostante circoli ad esempio il nome di Piombino.

Ce n’è bisogno? Potrebbe aver senso discuterne solo all’interno di un approccio di vera transizione ecologica, che individui nei rigassificatori un margine di sicurezza per l’approvvigionamento di gas mentre si installano gli impianti necessari per le rinnovabili, ma di fatto queste ultime sembrano continuare a svolgere un ruolo residuale per il Governo.

Nel merito, nell’informativa resa alla Camera il ministro Cingolani punta sullo «sviluppo dei progetti rinnovabili off-shore e on-shore, in particolare considerando che ci sono oltre 40 gigawatt di richieste di connessione per progetti off-shore e numerosi interventi relativi alla liberalizzazione del fotovoltaico per autoconsumo sino a 200 kW e all’applicazione dell’agrofotovoltaico», stimando che «questo tipo di accelerazione possa garantire un ulteriore risparmio annuo di 3 miliardi di metri cubi di gas naturale, quindi ogni anno questa è una quantità che si somma». A questi numeri Cingolani affianca poi lo «sviluppo del biometano, rispetto al quale, con la recente disposizione, abbiamo previsto una crescita importante; dovremmo raggiungere il 16% di questi synthetic fuel prima del 2030 previsto dall’Europa. Questo equivale ad un potenziale di circa 2,5 miliardi di metri cubi di risparmio al 2026».

Si tratta di dati che sembrano però scontrarsi col livello d’ambizione mostrato dalle imprese di settore. La principale associazione confindustriale attiva nel comparto elettrico – Elettricità futura –, afferma di poter realizzare 20 GW di nuovi impianti l’anno (permettendo contestualmente di ridurre l’import di 5 mld mc di gas annuo, ogni anno), mentre più a lungo termine (2030) le potenzialità del biometano nazionale potrebbero passare dagli attuali 0,7 mld mc cubi l’anno a 10.

In altre parole in quell’«orizzonte minimo di circa tre anni» indicato da Cingolani per dire addio al gas importato dalla Russia, lo sviluppo delle rinnovabili potrebbe garantirci di tagliare le importazioni per almeno 15 mld mc annui, che si sommerebbero alla diversificazione nell’import di gas naturale indicata da Cingolani – facendo leva esclusivamente su rigassificatori e gasdotti esistenti – per altri 16,5 mld mc l’anno, superando il quantitativo annuo importato dalla Russia (29 mld mc).

E tutto questo senza considerare, ad esempio, le indispensabili misure di risparmio ed efficientamento energetico – indicate dalla Iea come dalle associazioni ambientaliste – che sembrano però lontanissime dalla sensibilità del Governo. Per non parlare delle opportunità che abbiamo perso finora: se l’Italia avesse mantenuto il trend di installazioni di fonti rinnovabili raggiunto negli anni d’oro 2010-2013, oggi avrebbe 50 GW in più di impianti e sarebbe già in grado di ridurre i consumi di gas metano di 20 miliardi di metri cubi l’anno, tagliando le importazioni di gas dalla Russia del 70%.