Nelle imprese coesive il fatturato aumenta del 47% e l’occupazione del 10%

Symbola e Unioncamere: «La coesione è competizione. Fa crescere imprese e territori»

I territori coesivi sono più resilienti, ci si vive meglio e il Pil procapite è maggiore

[8 Luglio 2016]

Secondo il rapporto “Coesione è Competizione – Le nuove geografie della produzione del valore in Italia” realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere in partnership con Consorzio Aaster e Aiccon e con il sostegno di Enel e Comieco, presentato oggi in apertura del Seminario Estivo di Symbola, «C’è un’Italia che resiste e sa essere innovativa, creativa, solidale, collaborativa, vocata alla qualità e alla bellezza. In poche parole resiliente, giusta e competitiva, nonostante la ripresa fatichi a decollare. È l’Italia della coesione, quella che vede le aziende camminare con le comunità, coinvolgere i cittadini e i consumatori, valorizzare e sostenere i lavoratori, relazionarsi alle energie dei territori. Proprio le imprese “coesive”  – quelle cioè che intrattengono relazioni con le altre imprese, le comunità, le istituzioni, i consumatori, il terzo settore  – hanno una marcia in più che permette loro di andare lontano. Tanto che le nostre imprese “coesive” hanno registrato nel 2015 aumenti del fatturato, rispetto al 2014, nel 47% dei casi, mentre fra le imprese “non coesive” tale quota si ferma al 38%. Dimostrando una migliore dinamicità anche sul fronte dell’occupazione: il 10 % delle imprese coesive ha dichiarato assunzioni nel 2015, contro il 6% delle altre.  Idem dicasi per le esportazioni: le imprese coesive hanno ordinativi esteri in aumento nel 50% dei casi, a fronte del 39% delle non coesive, e sono maggiormente presenti sui mercati internazionali (il 76% di esse sono esportatrici contro il 68% delle non coesive). Sempre le realtà attente alla coesione sono quelle che hanno nel dna una considerazione maggiore di valori come l’ambiente (investono infatti in prodotti e tecnologie green il 53% delle imprese coesive contro il 38% delle non coesive), la creazione di occupazione e di benessere economico e sociale, gli investimenti in qualità (l’81% delle imprese coesive ha fatto social investment nel 2015 contro il 76% delle altre)».

Per Symbola e Unioncamere, «Tutte queste realtà danno corpo e sostanza a quell’Italia che, sfidando tutti i pronostici, è protagonista europea nell’economia circolare, nella green economy e nella riduzione delle emissioni climalteranti, con primati nel surplus manifatturiero (una delle sole 5 nazioni al mondo con un surplus sopra i 100 miliardi di dollari)».

Commentando il rapporto, Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, ha detto: «Quando l’Italia scommette sui suoi talenti e sulle comunità, quando investe sulla qualità, l’innovazione e la bellezza allora ce la fa e spesso vince nel mondo. Una scommessa ancora più valida dopo la Brexit. C’è infatti un Paese che combatte, resiste e compete grazie ad una combinazione unica di memoria del passato e voglia del futuro, di competitività e coesione sociale, di resilienza che è fatta di legami territoriali e beni comuni, di equità e giustizia sociale, di collaborazione, solidarietà e innovazione. Un’Italia che, a partire dal prossimo anno,  può avvantaggiarsi dall’obbligo di redigere il bilancio sociale e ambientale per le imprese sopra i 500 addetti fissato dall’Ue.  Un Paese ricco di saper fare artigiano che abbraccia ricerca, cultura, bellezza e raccoglie le sfide del web e delle nuove tecnologie. Un’Italia che fa l’Italia senza lasciare indietro nessuno e anzi trovando nuova forza nel viaggiare uniti, nel tenere insieme le diversità. Un’Italia dall’economia più a misura d’uomo, più vicina all’economia di cui parla Papa Francesco».

Il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello, è convinto che «La crescente sensibilità del cittadino ai temi della tutela della sostenibilità in tutte le sue sfaccettature sta progressivamente modificando il modo di fare impresa. Le aziende, infatti, sono sempre più consapevoli del fatto che una quota importante del successo dei propri prodotti e servizi si gioca oggi anche su aspetti non meramente economici ma valoriali. La forza dell’Italia è nella qualità di un’offerta altamente specializzata. Si articola in filiere e distretti e si fonda su un tessuto di piccole imprese che “si alleano” per affrontare i mercati. E’ una Italia in cui dobbiamo continuare a credere, fornendole gli strumenti per misurarsi con il mondo: semplificazione, digitalizzazione, formazione del capitale umano. Obiettivi strategici per il futuro del nostro Paese, che le Camere di commercio vogliono contribuire a raggiungere».

Emerge quella che il rapporto chiama “La coesione made in Italy”: «Oltre al profitto, le imprese coesive promuovono la creazione di valore sociale. Come una freccia in più nell’arco della competitività italiana. E’ sempre più diffusa, infatti, la consapevolezza che sono i territori competitivi (quelli con un’alta dotazione di capitale sociale) a far competitive le imprese, e non viceversa».  Symbol e Unioncamere indicano alcuni  esempi di aziende coesive che guardano al benessere dei propri collaboratori «Elica, che ha ottenuto per la settima volta consecutiva il marchio di certificazione Top Employer: un riconoscimento che premia, a livello mondiale, le aziende che offrono eccellenti condizioni di lavoro ai propri dipendenti. C’è chi guarda al territorio, come la sartoria di Angelo Inglese, che decidendo, nonostante i tanti problemi, di rimanere a Ginosa di Puglia non solo ha salvaguardato mestieri tradizionali che rischiavano di sparire creando un vero e proprio un indotto, ma è impegnata anche in un progetto di recupero della lana locale. O anche Cms, leader della meccanica mondiale, che ha attivato un progetto di volontariato d’impresa – VolontariAMO – a supporto della comunità di Marano sul Panaro (MO). C’è chi, come Illy, collabora con organizzazioni no profit per finanziare progetti educativi a sostegno di comunità straniere. C’è chi si mette insieme per essere più competitivo all’insegna della sostenibilità ambientale, come la rete 100% Campania che aggrega le industrie campane del ciclo di lavorazione della carta che hanno deciso di sviluppare prodotti sempre più innovativi e di promuovere il miglioramento della raccolta differenziata regionale. C’è Daniela Ducato, che con la sua Edizero, che tramite l’innovazione ecologica crea prodotti che risolvono i problemi delle comunità; Brunello Cucinelli con la grande attenzione al territorio e ai dipendenti, Ferrero con l’omonima Fondazione dedicata ai lavoratori in pensione, Gucci e l’attenzione alla filiera dei fornitori. C’è Enel, unica impresa italiana e unica utility al mondo nel Global Compact, iniziativa delle Nazioni Unite per incoraggiare le aziende di tutto il mondo verso la sostenibilità e la responsabilità sociale. Infine, c’è un marchio storico del made in Italy, come Ferragamo, che si prende cura della filiera, avvalendosi di un processo di qualificazione dei fornitori che tocca i requisiti tecnici e qualitativi, economici e finanziari e le certificazioni. Ma c’è di più. L’attenzione alla dimensione della sostenibilità sociale entra a far parte degli obiettivi di business con le Benefit Corporation, imprese che per statuto coniugano profitto e beneficio per la comunità e per il territorio in cui operano. Un nuovo paradigma in cui l’Italia è all’avanguardia, essendo il primo Paese dopo gli Stati Uniti, dove le B Corp sono nate, ad essersi dotato di una normativa in materia: e qualcosa questo vorrà pur dire. Alla pioniera Nativa si stanno aggiungendo altri casi, fra cui Fratelli Carli, Equilibrium, Banca Prossima».

Si tratta di un nuovo paradigma che ritroviamo anche nelle nuove forme dell’abitare: «Innovare il modo di vivere all’interno dei condomìni e progettare la residenzialità urbana in maniera sostenibile: ecco, in sintesi, le vocazioni di CoHousing.it, comunità collaborativa nata a Milano nel 2007. E parlare di co-housing, significa anche parlare di architettura partecipata. Come è avvenuto nel caso della collaborazione tra CoHousing.it e lo studio di architetti FreyrieFlores di Milano, che ha contribuito a migliorare il modello proprio introducendo questa pratica con il progetto CO22».