Salgono a 7 le ecoballe recuperate dalla Marina militare

Ecco come funzionano nel dettaglio le operazioni di recupero nel golfo di Follonica, spiegate dalla Protezione civile

[17 Agosto 2020]

Dal 6 agosto continuano incessantemente le operazioni di recupero delle ecoballe disperse in mare dal 2015 nel golfo di Follonica, quando ben 56 di questi ammassi di combustibile solido secondario (Css) da rifiuti vennero dispersi dalla Motonave Ivy che li stava traghettando verso la Bulgaria, dove sarebbero poi stati inceneriti.

Al momento le navi della Marina militare ne hanno recuperate 7, come testimonia l’ultimo aggiornamento fornito dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra): ne restano dunque ancora 33 in fondo al mare, dato che 16 si sono già spiaggiate oppure sono finite nelle reti dei pescatori nel corso degli anni.

È direttamente la Protezione civile a spiegare il modus operandi delle operazioni di recupero. Un ruolo centrale è svolto dal Gruppo operativo subacquei (Gos) del Comando subacquei e incursori (Comsubin) della Marina militare, con i palombari che scendono in coppie a circa 40 metri di profondità operando in condizioni di scarsissima visibilità, talvolta ulteriormente complicate dalle forti correnti presenti nell’area.

Una volta individuata un’ecoballa i palombari la avvolgono in una o più braghe piazzando al contempo una rete di contenimento per limitare la dispersione di rifiuti; successivamente l’ecoballa viene trasportata verso la superficie impiegando un pallone di sollevamento, per poi essere salpata a bordo dalla Marina per mezzo di una gru.

A questo punto tecnici di Ispra, Arpat e ministero dell’Ambiente – che hanno il compito di seguire le operazioni individuando anche eventuali soluzioni volte a minimizzare le conseguenze ambientali di un’eventuale rottura delle ecoballe – ne verificano la composizione.

Ne emerge che le ecoballe hanno un peso di circa 1,4 tonnellate e sono composte di tessuti, plastiche, carta e legno, cioè materiale combustibile, in quanto come già accennato erano destinate a termovalorizzatori (esteri), dove avrebbero prodotto energia. Dopo aver trascorso anni in mare, però, adesso i rifiuti devono essere ri-caratterizzati prima del loro definitivo smaltimento.

Ancora a bordo dell’unità navale, le ecoballe vengono avvolte da una pellicola di plastica per prevenire lo sfaldamento o la fuoriuscita di percolato, per poi essere trasportate verso il porto di Piombino dove è stato allestito un sito di stoccaggio temporaneo, in attesa che venga individuata la destinazione per il loro smaltimento finale.

L’auspicio è che, almeno stavolta, tale impianto possa essere individuato secondo criteri di sostenibilità e prossimità: se le ecoballe, nel 2015, avessero potuto essere destinate anziché in Bulgaria in Toscana – che invece sconta importanti deficit impiantistici per la gestione che imprese e cittadini del territorio producono – non sarebbero oggi in fondo al mare.