Ripresa post-Covid: abbiamo un grosso problema di elusione ed evasione fiscale

Perry, FMI: così i costi della crisi saranno a carico dei più poveri e vulnerabili. Ci vuole un approccio progressivo, meno inquinante e più sostenibile

[13 Luglio 2020]

A dirlo non è una qualche cellula comunista, ma il Fondo monetario internazionale: «Sulla scia della crisi senza precedenti del Covid-19, i sistemi fiscali dovrebbero essere riformati e l’elusione  e l’evasione fiscali ridotte, al fine di garantire una ripresa economica in cui ognuno paghi la propria parte». Il tutto mentre in Italia Salvini, Berlusconi e la Meloni, con buona parte di Confindustria e qualche pezzo di maggioranza che gli fanno eco, ripetono come un disco rotto la favola antica della flat tax.

E’ lo stesso FMI a ricordare che le tasse si pagano per molte delle cose che sono fondamentali per avere società funzionanti in tutto il mondo, come scuole, assistenza sanitaria e servizi sociali. Il denaro raccolto attraverso la tassazione è fondamentale per garantire che questi servizi siano mantenuti durante la crisi del Covid-19. Ma è anche vero che quando le imprese chiudono e milioni di persone perdono il lavoro, come è accaduto durante l’attuale crisi, le entrate fiscali precipitano.

A breve termine, i governi hanno messo insieme pacchetti di stimolo e un’ampia gamma di misure per aiutare le imprese e i cittadini a rimettersi in piedi. L’ FMI sta monitorando queste iniziative, che vanno dal recovery found di 540 miliardi di dollari dell’Unione europea, che comprende  finanziamenti per aiutare gli Stati più colpiti, al programma di ” cash for work ” in Cambogia e alla riduzione per un semestre delle bollette per i servizi pubblici nelle Samoa.

Intanto, l’FMI –  pur con la sua pessima fama in questo campo – ha messo a disposizione  finanziamenti di emergenza Covid-19, si tratta di 250 miliardi di dollari, sotto forma di assistenza finanziaria e riduzione del debt service, per circa 77 Paesi membri, in particolare per quelli in via di sviluppo. Ad esempio, ad aprile, l’FMI ha approvato la richiesta dell’Afghanistan di un pacchetto di assistenza di emergenza di circa 220 milioni di dollari, per aiutare il paese a far fronte alla crisi del commercio, che ha portato a gravi danni all’economia.

A maggio, il Bangladesh, che è stato gravemente colpito dal crollo della domanda di abbigliamento del quale è uno dei maggiori produttori mondiali, ha ricevuto assistenza di emergenza per circa 732 milioni di dollari. Sempre a maggio, per evitare quella che l’FMI ha definito «una perturbazione economica immediata e grave», l’Egitto ha ricevuto un pacchetto di aiuti per oltre 2,7 miliardi di dollari, per alleviare alcune delle esigenze finanziarie più urgenti, anche per spesa sanitaria, protezione sociale e sostegno ai settori più colpiti e ai gruppi vulnerabili.

Ma l’FMI fa notare che «A lungo termine, tuttavia, queste misure di stop-gap non saranno sufficienti a risolvere molti dei problemi di fondo dell’economia globale, tra cui la crescente disuguaglianza all’interno dei Paesi e la capacità delle imprese multinazionali di ridurre al minimo le imposte sulle società».

Victoria Perry, vicedirettrice del dipartimento affari fiscali dell’FMI, ed esperta in materia fiscale, ha dichiarato un’intevista a UN News che «Nel pianificare il recupero post-pandemia, i Paesi dovrebbero cercare di affrontare la disuguaglianza implementando sistemi fiscali più progressivi. Questo significa che il l’aliquota fiscale media aumenta insieme al reddito. Spetta decidere a ogni Paese l’entità dell’onere fiscale per le persone più ricche, ma è certamente problematico quando le aliquote fiscali effettive per le persone più abbienti sono inferiori rispetto a quelle più povere. Inoltre, spesso le persone ricchei, con accesso alla consulenza fiscale e ad affari finanziari più complessi, possono fare un uso migliore delle eccezioni o delle lacune nel sistema fiscale rispetto a coloro che fanno affidamento solo sui salari.  Prima della pandemia di Covid-19, il crescente divario tra ricchi e poveri era già motivo di preoccupazione. Mentre la disuguaglianza è diminuita tra i Paesi, con alcuni paesi, come la Cina, che ha fatto passi da gigante nell’innalzare i livelli di reddito complessivo negli ultimi decenni, la disuguaglianza all’interno dei Paesi sembra aumentare». Per la Perry e l’FMI, «Le imposte sul reddito delle persone fisiche svolgono un ruolo guida nel determinare la progressività del sistema fiscale».

La Perry aggiunge che «Un’altra opzione per alcuni Paesi in via di sviluppo, che hanno difficoltà ad aumentare e applicare un’imposta sul reddito delle persone fisiche, è quella di considerare l’imposizione fiscale sulla proprietà (la patrimoniale che ormai in Italia è diventata un tabù, ndr). Mentre il reddito è relativamente facile da nascondere, le case di lusso sono molto visibili e spesso esentasse, spostare questa soglia significa che i proprietari di case più economiche possono essere esentati o sollevati dal pagamento».

La disuguaglianza di reddito differisce ampiamente da un Paese all’altro, ma  evidenzia ancora la Perry, «Gli studi dimostrano che la creazione di una società più giusta non riguarda solo la ridistribuzione della ricchezza, ma la si realizza mettendo in atto politiche che aiutano le persone a ottenere un lavoro dignitoso e sostenibile. La globalizzazione ha colpito tutte le economie aperte, ma i Paesi con efficaci sistemi redistributivi fiscali e previdenziali sono stati in grado di evitare l’aumento di una forte disuguaglianza in aumento (anche qui qualcosa di totalmente contrario ai condoni tombali e alle flat-tax della destra italiana, ndr). Tuttavia, la ridistribuzione da sola non è sufficiente. Deve andare di pari passo con una serie di altre misure, come la riqualificazione e il supporto al lavoro  Nel pensare all’equità, quindi, è importante guardare ad entrambi i lati dell’equazione, non solo le tasse, ma come vengono spesi i soldi per migliorare la vita».

Secondo i calcoli fatti da alcuni studi, nei Paesi più ricchi, circa il 10% del gettito fiscale delle imprese va “perso” a causa dell’elusione fiscale da parte delle multinazionali. Si stima che i Paesi in via di sviluppo perdano ancora di più, in proporzione, rispetto  ai più bassi redditi nazionali.

La Perry conferma e aggiunge: «Un altro problema è che il sistema fiscale internazionale potrebbe spostare la base imponibile lontano dal Paese di origine. Quindi, se una compagnia mineraria ha il suo quartier generale (residenza) in un paese più ricco, ma gestisce miniere in un’economia meno sviluppata (la fonte), il Paese di origine potrebbe non avere la parte del leone delle entrate fiscali. Quando parliamo di “distribuzione giusta ed equa”, molti osservatori parlano di come garantire che i Paesi di origine ottengano un accordo migliore. L’attuale dibattito internazionale sulla tassazione delle maggiori digital tech companies, molte delle quali con sede negli Stati Uniti, è simile, ma l’economia “digitale” è ancora più difficile da affrontare. Anche se fanno affari e fanno soldi in tutto il mondo, dove la loro presenza è virtuale piuttosto che fisica, i Paesi non sono autorizzati a riscuotere le entrate fiscali sul reddito».

La Perry  conclude: «Stiamo attraversando questa enorme crisi economica e i Paesi devono apportare importanti adeguamenti alle loro economie. Ma la disuguaglianza è anche una specie di enorme problema globale in sé. Questa è anche un’opportunità per cambiare in meglio i sistemi fiscali, renderli più giusti e più equi e promuovere attività economiche meno inquinanti, meno dominate dall’industria con una grande impronta di carbonio e più sostenibili».