Rifiuti, per mitigare la crisi della plastica non è più possibile ignorare il plasmix

Vignaroli (M5S): «Le plastiche eterogenee rappresentano circa la metà di quelle raccolte in maniera differenziata». E in Parlamento c’è una proposta di legge per incentivarne il riciclo

[1 Agosto 2017]

I quantitativi della raccolta differenziata degli imballaggi in plastica post consumo stanno andando a gonfie vele: secondo i dati contenuti nel bilancio Corepla – il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero degli imballaggi in plastica – nell’ultimo anno «la raccolta differenziata gestita dal Consorzio è stata pari a 960.961 tonnellate, con un aumento del 6,9% rispetto al 2015», proseguendo un trend al rialzo che continua da anni: nel 2012 le tonnellate erano 704.471. Il 2016 è stato un anno particolarmente importante, in quanto «si è riscontrato un marcato incremento nella raccolta (superiore al 20%) da parte delle Regioni che nel corso degli anni sono sempre state il fanalino di coda a livello nazionale».

Perché mai allora proprio adesso la gestione degli imballaggi in plastica divenuti rifiuti è entrata in crisi, come abbiamo documentato su greenreport nelle ultime settimane (qui, qui e qui)? Il problema è assai complesso, e come sempre in questi casi non è possibile fornire una risposta semplice che sia anche corretta: c’entrano l’immissione sul mercato di imballaggi difficilissimi o impossibili da riciclare, la cronica mancanza di impianti industriali lungo la filiera nazionale, un quadro normativo ingarbugliato e uno fiscale incoerente – con risorse dedicate alla raccolta differenziata e alla termovalorizzazione, saltando a piè pari il riciclo –, e da ultimo anche la decisione della Cina di non accogliere più la nostra raccolta differenziata di pessima qualità.

Perché, oggi, il nodo è proprio lì: benissimo che la raccolta differenziata sia in aumento, in quanto strumento imprescindibile per il futuro riciclo dei materiali raccolti. Ma se la qualità della raccolta differenziata è pessima, a essere frenato è in primis il riciclo. E i dati nel merito sono tutt’altro che incoraggianti: «La performance di riciclo – testimonia infatti il Corepla – rimane pressoché uguale al 2015 (41%) nonostante l’aumento dell’immesso al consumo (+2,3%) e una raccolta sempre più ricca di materiale difficilmente riciclabile», con un aumento «sia della frazione estranea che della frazione neutra conferita nei flussi monomateriale ed un peggioramento della qualità del multimateriale conferito».

Che fare, dunque? La gerarchia europea per la gestione dei rifiuti dà già la risposta: sul medio periodo è necessario prevenire l’immissione sul mercato di imballaggi difficili da riciclare, scoraggiandone la produzione con norme e leve fiscali ad hoc. Nell’immediato, invece, è possibile intervenire a livello nazionale incentivando il riciclo delle plastiche eterogenee – il cosiddetto plasmix, che solo un’avanguardia d’imprese con capostipite la toscana Revet ad oggi riesce a riciclare –, che da sole valgono «circa la metà delle plastiche raccolte in maniera differenziata dai Comuni».

A parlare è il vicepresidente della Commissione parlamentare sul traffico illecito dei rifiuti, Stefano Vignaroli (M5S), primo firmatario di una proposta di legge sul tema (in allegato, ndr). «Ci sono imprese virtuose che utilizzano il plasmix per creare prodotti di alta qualità, come ad esempio tavoli di design italiano che vengono commercializzati in tutto il mondo, accessori e carenature di ciclomotori di una famosa azienda italiana, bancali, altalene, panchine e ogni genere di arredo urbano», eppure – sottolinea Vignaroli – queste imprese si scontrano «con condizioni sfavorevoli che si riassumono con alcuni gap di sistema: riciclare le plastiche miste ha costi industriali unitari superiori alla produzione di polimeri vergini; il mercato di sbocco dei prodotti in plasmix è ancora in una fase potremmo dire primordiale rispetto alle effettive potenzialità, e non è affatto sostenuto da norme, standard, regolamenti. Come noto, il Governo italiano destina incentivi ai proprietari degli inceneritori che purtroppo bruciano queste plastiche per un totale di circa 300 milioni di euro annui. Chi, invece, vuole valorizzare in recupero di materia che, ricordo, è una priorità della gerarchia europea dei rifiuti rispetto al recupero energetico, non riceve alcun contributo».

Questo, naturalmente, non significa che si possa fare a meno della termovalorizzazione (che difatti è compresa nella gerarchia europea, dopo il riciclo e prima della discarica): la somma della frazione estranea, più i rifiuti da selezione, più i rifiuti da riciclo va a formare un ingente quantitativo di tonnellate, dalle quali è possibile trarre preziosa energia. Basti pensare che in media da 100 chili di plasmix se ne riciclano 70 (le poliolefine) e se ne scartano 30: è inutile far finta che non esistano. Ma è altrettanto paradossale che il plasmix venga raccolto in modo differenziato – con costi maggiori, dunque – e poi inviato in toto o quasi a bruciare, con incentivi, mentre il riciclo non gode di incentivo alcuno. La proposta di legge firmata da Vignaroli – e che ha già incassato l’interesse del presidente della Commissione parlamentare sul traffico illecito dei rifiuti, Alessandro Bratti (Pd) – punta a ribaltare questo paradosso. Ma sullo stesso tema pare che ci stia lavorando anche il Pd, proprio con gli onorevoli Alessandro Bratti e Stella Bianchi (vicepresidente della commissione Ambiente della camera), pronti a presentare un loro testo. Dopo anni di convegni, dichiarazioni e lodi all’economia circolare, sarebbe giusto passare dalle parole ai fatti: gli interessi dell’ambiente sono quelli di tutti, al di là dei colori politici.