Eurostat ha pubblicato gli ultimi dati disponibili (2018) a livello continentale

Riciclo rifiuti di imballaggio in plastica, l’Italia è nella media europea

A sorpresa le migliori performance sarebbero dei Paesi dell’est. Ma qualche dubbio viene

[14 Gennaio 2021]

A 9 anni dall’obiettivo del 55% di riciclo dei rifiuti di imballaggio in plastica impostato dall’Ue per il 2030, la media degli Stati membri nel Vecchio continente è pari al 41,5% (2018). E la stima pubblicata da Eurostat vede l’Italia poco sopra questa media, con il 43.8% di avvio a riciclo, in crescita di due punti sul 2017.

Secondo i dati raccolti nel report pubblicato, solo in sette Stati membri più della metà dei rifiuti da imballaggi in plastica è stata riciclata. L’Italia, peraltro, sappiamo già che nel 2019 è rimasta più o meno stabile su questi dati come ha certificato il consorzio Corepla, secondo il quale sono state impiegate 2.083.880 tonnellate di plastiche da imballaggio delle quali il 43,39% è stato avviato a riciclo e il 48,63% a recupero energetico.

Quello che colpisce del report di Eurostat non è però la performance nazionale, che già sostanzialmente conoscevamo, piuttosto che il più alto tasso di riciclaggio dei rifiuti dai imballaggi in plastica è stato registrato in Lituania (69,3%), davanti a Slovenia (60,4%, dati 2017), Bulgaria (59,2%), Repubblica Ceca (57,0%), Cipro (54,3%), Slovacchia (51,4%) e Spagna (50,7%). Con rispetto parlando, in molti casi si tratta infatti di Paesi che difficilmente vengono individuati come campioni dell’economia circolare: l’ultimo report Ispra mostra ad esempio come la Slovacchia avvii il 55% di tutti i suoi rifiuti urbani in discarica, la Bulgaria il 61%, Cipro l’82%.

Per capire il contesto, meno di un terzo dei rifiuti di imballaggi in plastica è stato riciclato a Malta (19,2%, dati 2017), Francia (26,9%), Ungheria (30,0%), Irlanda (31,0%), Finlandia (31,1%), Danimarca (31,5 %), Austria (31,9%) e Lussemburgo (32,3%). E la Germania è a quota 46.4%”, addirittura in peggioramento rispetto al 2017. Viene dunque il dubbio che ci siano parametri di calcolo diversi a livello Ue e dunque, se così fosse, andrebbero omologati in modo da avere un quadro della situazione più certo; altrimenti difficile prendere decisione a livello governativo/politico efficienti ed efficaci.

Decisioni che riguardano direttamente anche Paesi come l’Italia, dato che l’export di rifiuti e materie prime seconde – plastiche o meno, spesso di bassa qualità – risulta ancora una valvola di sfogo imprescindibile dato che gli impianti sul territorio nazionale sono cronicamente insufficienti. Tanto che, come ricordato recentemente da Alfredo De Girolamo (Cispel Toscana) abbiamo «deciso di usare il mercato globale per conferire il 65% dei rifiuti urbani e circa il 70% dei rifiuti speciali in Italia, una montagna fatta di oltre 100 milioni di tonnellate di materiali all’anno». Non pochi finiscono proprio nei Paesi dell’Europa dell’est, ed è pacifico che in parte vengano poi contabilizzati come avviati a riciclo. Sul fatto che le cose vadano proprio così, però, resta più di un dubbio. In questo caso, visto anche che il nostro è un Paese manifatturiero ma dalle pochissime materie prime disponibili, un po’ d’autarchia non farebbe male.