Rapporto Censis: l’anno della paura nera e la ruota quadrata che non gira del sistema Italia (VIDEO

Il re è nudo: aumenta la disuguaglianza e la pandemia ha squarciato il velo delle nostre vulnerabilità

[4 Dicembre 2020]

Secondo Il rapporto Censis  “La società italiana al 2020”,  «Il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo per ogni quarto di giro compiuto, tra pesanti tonfi e tentennamenti. Mai lo si era visto così bene come durante quest’anno eccezionale, sotto i colpi dell’epidemia. Privi di un Churchill a fare da guida nell’ora più buia, capace di essere il collante delle comunità, il nostro modello individualista è stato il migliore alleato del virus, unitamente ai problemi sociali di antica data, alla rissosità della politica e ai conflitti interistituzionali. Uno degli effetti provocati dall’epidemia è di aver coperto sotto la coltre della paura e dietro le reazioni suscitate dallo stato d’allarme le nostre annose vulnerabilità e i nostri difetti strutturali, del tutto evidenti oggi nelle debolezze del sistema ‒ l’epidemia ha squarciato il velo: il re è nudo! ‒ e pronti a ripresentarsi il giorno dopo la fine dell’emergenza più gravi di prima».

Un’analisi impietosa di un Paese vecchio, rancoroso, che sembra esausto di sé stesso e che non conosce e nasconde le sue crescenti ineguaglianze e la povertà.

Infatti, sui ricchi e i poveri il Covid-109 ha avuto un effetto ancora più divaricante: «Il 90,2% degli italiani è convinto che l’emergenza e il lockdown abbiano danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili e ampliato le disuguaglianze sociali – spiega il Censis – Sono appena 40.949 gli italiani che dichiarano un reddito che supera i 300.000 euro l’anno, con una media di 606.210 euro pro capite. Corrispondono allo 0,1% del totale dei dichiaranti. Mentre sono 1.496.000 le persone con una ricchezza che supera il milione di dollari (circa 840.000 euro): sono pari al 3% degli italiani adulti, ma possiedono il 34% della ricchezza del Paese». Cifre che spiegano anche quanto sia assurda l’attuale polemica sulla patrimoniale che, è evidente, colpirebbe solo la parte più ricca ed agiata della popolazione, mentre destra, PD, M5S e Confindustria la presentano come un salasso per l’ormai mitico – e onnicomprensivo – ceto medio.

Il rapporto evidenzia che «Quando esaurirà la sua onda d’urto, la pandemia lascerà dietro di sé una società più incerta e impaurita, ma soprattutto una società con una profonda crisi economica e occupazionale, di cui non tutti pagheranno le spese allo stesso modo».

Quel che è certo è che, in un Paese dove la ricchezza si sta sempre più concengtrando in poche mani, «A fine 2019 in Italia le persone in povertà assoluta erano 4.593.400, pari al 7,7% della popolazione residente, e sono raddoppiate nell’ultimo decennio: di queste, 1.376.400, pari al 30,0% del totale, sono stranieri».

E il Censis promuove il tanto contestato reddito di cittadinanza – che SAlvini e Meloni continuano aad attaccare ad ogni piè sospinto – senza il quale la situazione sarebbe stata ancora peggiore:  «In realtà, il 2019 si era chiuso con un bilancio in positivo, con 447.000 poveri in meno rispetto al 2018, come conseguenza dell’introduzione, a partire dal mese di aprile, del Reddito e della Pensione di cittadinanza, di cui a settembre di quest’anno beneficiavano 1.327.888 famiglie, in cui vivono 3.133.322 individui: di questi, 419.467 sono cittadini stranieri (il 13,4% del totale)».  Però è lo stesso rapporto ad avvertire che «Si tratta di valori che evidenziano come questi sussidi hanno avuto difficoltà a raggiungere i poveri veramente poveri, e abbiano piuttosto aiutato persone a rischio di povertà».

Mentre a lamentarsi sono soprattutto quelli che bene o male se la cavano e che negli anni passati hanno messo un po’ di fieno in cascina, l’impatto del Covid-19 sulle tasche degli italiani meno fortunati è stato devastante: «Da marzo a settembre 2020 ci sono 582.485 individui in più che vivono nelle famiglie che percepiscono un sussidio di cittadinanza, in crescita del 22,8% nei mesi considerati – dice il Censis – I dati sul Reddito di cittadinanza evidenziano anche come siano stati i più deboli a pagare di più i costi economici della crisi: infatti, i cittadini stranieri, pur avendo difficoltà ad attingere a una forma di aiuto che per lo straniero richiedente prevede una residenza in Italia di almeno dieci anni, nel periodo marzo-settembre 2020 sono aumentati del 42,7%».

L’altro indicatore della difficoltà delle famiglie e gli individui meno abbienti è il Reddito di emergenza, una misura appositamente introdotta a maggio con il Decreto “Rilancioper aiutare i nuclei familiari economicamente più deboli e che non avevano diritto ad altre forme di aiuto: a luglio contava 697.748 beneficiari in 290.072 famiglie.

Il Censis ricorda che «Il tema delle disuguaglianze sociali esistenti nel nostro Paese non è nuovo ed è ben rappresentato dai dati disponibili su redditi, consumi e ricchezza: 40.949 italiani dichiarano un reddito che supera i 300.000 euro l’anno, per una media di 606.210 euro; sono lo 0,1% del totale dei dichiaranti e possiedono il 2,8% del reddito complessivamente dichiarato. Se si considerano poi coloro che dichiarano più di 200.000 euro l’anno, e che hanno un reddito medio dichiarato di quasi 400.000 euro, arriviamo a 98.778 individui, ovvero lo 0,2% del totale dei dichiaranti, che possiedono il 4,4% del reddito complessivamente dichiarato».

E questo gap sociale, economico e culturale è confermato anche dall’indagine sui consumi delle famiglie: «A fronte di una spesa mensile media di 2.571 euro, le famiglie meno abbienti, ovvero quelle che spendono meno di 1.000 euro al mese, sono 2.452.728, pari al 9,5% del totale, mentre 79.160 famiglie, pari allo 0,3% del totale, hanno consumi per più di 10.000 euro al mese e spendono complessivamente 962 milioni di euro, l’equivalente della spesa di 1,3 milioni di famiglie che si collocano nel gradino più basso, con meno di 1.000 euro di spesa mensile».

Tanto per tornare alla vituperata patrimoniale, il rapporto evidenzia che «Se, oltre a redditi e consumi, si considera anche la ricchezza, ovvero l’insieme del patrimonio di beni mobili e immobili posseduti, in Italia vivono 1.496.000 individui, pari al 3% degli italiani adulti, con una ricchezza che supera il milione di dollari (circa 840.000 euro), che possiedono il 34% della ricchezza del nostro Paese. Di questi, 40 sono miliardari e hanno una ricchezza complessiva di 165 miliardi di dollari. Questi ultimi sono aumentati sia in numero che in patrimonio durante la prima ondata dell’epidemia».

All’interno di questa frattura macroscopica ma che sembra invisibile, ce ne sono altre che invece fanno discutere e che sono al centro del disagio che vive l’intera società italiana e che spesso si trasforma in rancore. Il rapporto Censis spiega che «Per l’85,8% degli italiani la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no. Su tutti, i garantiti assoluti, i 3,2 milioni di dipendenti pubblici. A cui si aggiungono i 16 milioni di percettori di una pensione ‒ una larga parte dei quali ha fornito un aiuto economico a figli e nipoti in difficoltà: un «silver welfare» informale. Poi si entra nelle sabbie mobili: il settore privato senza casematte protettive. Vive con insicurezza il proprio posto di lavoro il 53,7% degli occupati nelle piccole imprese, per i quali la discesa agli inferi della disoccupazione non è un evento remoto, contro un più contenuto 28,6% degli addetti delle grandi aziende. C’è quindi la falange dei più vulnerabili: i dipendenti del settore privato a tempo determinato e le partite Iva. C’è poi l’universo degli scomparsi, quello dei lavoretti nei servizi e del lavoro nero, stimabile in circa 5 milioni di persone che hanno finito per inabissarsi senza fare rumore. Infine, i vulnerati inattesi: gli imprenditori dei settori schiantati, i commercianti, gli artigiani, i professionisti rimasti senza incassi e fatturati. Nel magmatico mondo del lavoro autonomo, solo il 23% ha continuato a percepire gli stessi redditi familiari di prima del Covid-19. Se il grado di protezione del lavoro e dei redditi è la chiave per la salvezza, allora quasi il 40% degli italiani oggi afferma che, dopo l’epidemia, avviare un’impresa, aprire un negozio o uno studio professionale è un azzardo e ‒ nel Pese dell’autoimprenditorialità ‒ solo il 13% lo considera ancora una opportunità».

La bonus economy nella quale viviamo sta solo tamponando una situazione che rischia di far precipitare una crisi che era già presente e che non è mai deflagrata grazie al risparmio delle famiglie che ora sta cedendo sotto i colpi della pandemia. E a pagare il conto del calo del lavoro sono soprattutto – come sempre – i giovani e le donne: «Rispetto all’anno scorso, nel terzo trimestre sono già 457.000 i posti di lavoro persi da giovani e donne, il 76% del totale dell’occupazione andata in fumo (605.000 posti di lavoro). E sono 654.000 i lavoratori indipendenti o con contratto a tempo determinato senza più un impiego. Nel secondo trimestre dell’anno i giovani di 15-34 anni risultavano particolarmente colpiti in alcuni settori: alberghi e ristorazione (sono più della metà dei 246.000 occupati in meno nel settore rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), industria in senso stretto (-80.000), attività immobiliari, professionali e servizi alle imprese (-80.000), commercio (-56.000). E la sperequazione nella possibilità di resistere alla perdita del lavoro vede nelle donne ancora una volta il segmento più svantaggiato. Al secondo trimestre il tasso di occupazione, che per gli uomini raggiungeva il 66,6%, presentava un divario di oltre 18 punti a sfavore delle donne. Nella classe di età 15-34 anni solo 32 donne su 100 risultano occupate o in cerca di una occupazione. Per le donne di 25-49 anni il tasso di occupazione è del 71,9% tra quelle senza figli, solo del 53,4% tra quelle con figli in età pre-scolare. E tra il 2008 e il 2019 la produttività del lavoro in Italia è aumenta appena dello 0,1%».

Un Paese dove procede l’erosione dei due pilastri dell’architrave sociale: libere professioni e rappresentanza e dove deficit antichi, politiche privatizzatorie dissennate e nuove pressioni hanno fatto emerget re, al tempo del Coronavirus, la crisi della sanità e della scuola pubbliche.

E la pandemia ha acuito la crisi – già in corso da tempo – del mattone come bene rifugio e della rendita immobiliare in un Paese dove si continuano a costruire case mentre la popolazione cala e ci sono sempre più appartamenti e negozi vuoti.

E’ il ritratto di unPaese atomizzato, impaurito, che cerca certezze ma non ama le regole e che si ritrova sempre più su internet – dal quale è però esclusa la popolazione più anziana – ma che pare stanco anche di questa vita sociale virtuale.

Un Paese dove la chiusura delle frontiere e la pauro del cointagio hanno fatto ritornare di moda il turismo di prossimità e le seconde case, un fenoimeno che però quest’estate ha incubato la seconbda ondata del Covid-19 che stiamo vivendo.

E all’interno di questo quadro fosco, mentre chiediamo che l’Europa ci dia i miliardi necessari per non affogare nella crisi, in questo sempre più strano Paese «Solo il 28% degli italiani nutre fiducia nelle istituzioni comunitarie, a fronte di una media Ue del 43%: siamo ultimi nella graduatoria europea. La percezione delle istituzioni comunitarie nell’immaginario collettivo degli italiani resta però positiva per il 31%, è negativa per il 29%». Ma il rapporto Censis conclude evidenziando la schizofrenia italiana: «Tuttavia, il 58% degli italiani si dice insoddisfatto delle misure adottate a livello comunitario per contrastare la crisi del Covid-19 (una percentuale superiore alla media Ue: 44%)».

Siamo davvero buffi. Buffi e disperati e senza bussole e politica per orientarci.

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