Il tema al centro del Festival dell’economia di Trento, con due premi Nobel per l’economia

Quale carbon tax per una ripresa più verde e giusta dopo Covid-19?

Nordhaus: «Aumentare il prezzo delle emissioni di CO2 è oggi l’unico sistema», per frenare la crisi climatica. Duflo: «Le responsabilità non vanno date ai Paesi in cui fisicamente si produce CO2, ma ai Paesi per conto dei quali lo si produce, quelli ricchi»

[25 Settembre 2020]

La carbon tax, ovvero una tassa sui prodotti il cui consumo porta all’emissione di anidride carbonica, è stata al centro dei dibattiti che animano il Festival dell’economia di Trento, giunto ieri alla sua XV edizione. Ad affrontare di petto la tematica è stato il premio Nobel per l’Economia 2018 William Nordhaus (oggi all’Università di Yale), secondo cui l’introduzione di una carbon tax a livello globale è sempre più urgente per fare fronte alle emissioni di gas serra.

La posizione espressa da Nordhaus nel merito è estremamente chiara: la leva della “carbon tax”, seppur invisa da molti soggetti del sistema economico e politico internazionale, è una delle più importanti e concrete azioni per invertire la rotta sul fronte dei drammatici mutamenti climatici in atto anche a causa dei gas serra. «Aumentare il prezzo delle emissioni di CO2 – ha spiegato il premio Nobel – è oggi l’unico sistema per fermare un processo di crescita pari al 2% annuo che non si è fermato, come molti ipotizzavano, neppure durante il periodo del lockdown causato dal Covid – 19 e da un parziale blocco della produzione industriale».

Per fare questo è necessario e sempre più urgente un coordinamento a livello globale, oggi di fatto assente: «Purtroppo dopo trent’anni di discussioni sulle politiche ambientali – ha evidenziato Nordhaus (nella foto) – siamo ancora in un vicolo cieco. Gli accordi di Tokyo, Copenaghen e Parigi sono solo volontari e non obbligatori o vincolanti ma soprattutto non ci sono sanzioni per chi viola i protocolli».

Da qui, secondo il premio Nobel, la necessità di un nuovo patto sul clima con l’obbligo di fissare un prezzo del carbonio a livello mondiale, che si potrebbe aggirare in una forbice fra i 45 e 200 dollari a tonnellata, e nello stesso tempo stabilire elevate tariffe sanzionatorie per i trasgressori.

Tutto questo, è bene mettere in chiaro, si tradurrebbe in un aumento dei prezzi dei beni colpiti dalla carbon tax, come la benzina: un effetto che è ritenuto necessario dal premio Nobel per spingere sia le imprese che i consumatori verso la transizione energetica. Un concetto che si rifà a quello delle tasse pigouviane – quando si verifica un’esternalità negativa va introdotta una tassa, mentre quando l’esternalità è positiva si può utilizzare un sussidio – esplorato dall’economista Valentina Bosetti (Università Bocconi) durante il suo intervento al Festival: quando ad esempio ognuno di noi acquista un flacone di latte, non paga certi costi esterni che sono legati alla sua produzione. Costi che però danneggiano le altre persone, anche se non fruiscono del bene. Questo si intende per esternalità, e nel caso della CO2 prodotta dai combustibili fossili si tratta di effetti molto pesanti. Citando il concetto di esternalità, Bosetti ha elencato dunque tre sfide che abbiamo davanti: calcolare il costo esterno delle emissioni di gas serra, utilizzare lo strumento giusto perché tale costo venga utilizzato e dare un prezzo al carbonio nella vita reale.

Ma in concreto di quanto salirebbero i prezzi con l’introduzione di una carbon tax? Dal Festival di Trento cifre non ne sono arrivate, ma è utile rifarsi a un’analisi pubblicata dall’Osservatorio dei conti pubblici italiani alla fine dello scorso anno: con una carbon tax pari a 75 dollari a tonnellata, in Italia il prezzo del carbone aumenterebbe del 134%, quello dell’elettricità del 18% e quello della benzina del 12%, ovvero sui livelli già toccati sette anni fa. In compenso avremmo benefici ambientali, sanitari e oltre 14 miliardi di euro l’anno per compensazioni e sviluppo sostenibile. La chiave di volta starebbe dunque nel re-indirizzare in modo adeguato le nuove risorse economiche ricavabili dalla carbon tax, in modo da rendere la tassa socialmente accettabile sostenendo le fasce sociali più colpite e quelle più povere; al contrario, l’intera operazione potrebbe comprensibilmente accendere la miccia a rivolte analoghe a quella dei Gilet gialli francesi.

In questo contesto è però necessario sottolineare anche che la partita dell’equità, quando si parla di crisi climatica, non si gioca certo soltanto all’interno dei singoli confini nazionali.

Non ci gira intorno un altro premio Nobel per l’economia (2019) ospite a Trento, Esther Duflo, nell’individuare colpevoli e conseguenze del cambiamento climatico: «Le responsabilità non vanno date ai Paesi in cui fisicamente si produce CO2, ma ai Paesi per conto dei quali lo si produce, quelli ricchi», aprendo così implicazioni di non poco conto sull’architettura di una carbon tax globale che sia davvero equa e sostenibile. «Il cambiamento, in questa direzione, deve avvenire nei Paesi ricchi – dichiara la Duflo – perché anche se le più massicce emissioni di CO2 le riscontriamo in Paesi come la Cina e l’India, la vera responsabilità è da imputare a chi “impone” la produzione». Senza dimenticare le responsabilità storiche dell’Occidente: guardando i dati disponibili in merito alle emissioni di CO2 dall’inizio della rivoluzione industriale a oggi, l’Ue e il Regno Unito sono responsabili di emissioni globali cumulative nella misura del 22%, subito dietro agli Stati Uniti.

Come insegna anche la storia recentissima dell’epidemia da Covid-19, la soluzione alla crisi climatica non può che passare da cambiamenti sociali oltre che tecnologici, governati dalla mano pubblica delle istituzioni: un cambiamento di atteggiamento passa infatti, sottolinea Duflo, «anche da un governo che investe in tale direzione, in maniera trasparente, ottenendo la fiducia dei suoi cittadini, così come, del resto, ci ha dimostrato l’emergenza legata al Covid-19: i governi possono e devono imporre misure di cambiamento, e tali misure non ci danneggeranno come spesso siamo propensi a temere, di primo acchito».

L. A.