Il nuovo rapporto della Fondazione Cariplo

Poveri quasi triplicati dal 2005 e disuguaglianza alle stelle: alla radici della crisi sociale italiana

E per il 2023 è previsto un nuovo aumento della disuguaglianza dei redditi netti in conseguenza delle scelte politiche messe in campo, come dichiara lo stesso Governo Meloni

[29 Marzo 2023]

Il rapporto Crescere in Italia, oltre le disuguaglianze, presentato ieri dalla Fondazione Cariplo, solleva il coperchio del Paese e sbircia tra i principali motivi che lo fanno ribollire di rabbia sociale, ansia e frustrazione: in particolare negli ultimi due decenni povertà e disuguaglianza hanno messo il turbo, non solo a causa di molteplici crisi ma anche a causa di deliberate scelte di politica economica.

Se nel 1980 la disuguaglianza di redditi lordi (ovvero prima dell’intervento pubblico) era pari al 35,4, misurata in base all’indice di Gini, nel 2021 era a 44,4 (media europea 48). Questo si traduce nella forte riduzione della quota di redditi percepiti dalla metà più povera della popolazione (in calo dal 26% nel 1980 al 20,7% nel 2021) e la corrispondente crescita della quota di redditi percepiti dal 10% più ricco della popolazione (in crescita dal 24,6% nel 1980 al 32,2 nel 2021) e dall’1% più ricco (in crescita dal 5,5 al 8,7).

Non va meglio guardando ai redditi netti, cioè a quel che resta dopo aver pagato tributi o ricevuto trasferimenti pubblici. redditi netti, ovvero quelli osservati dopo l’intervento pubblico di imposte e sussidi o trasferimenti. Secondo il World inequality database (Wid), per l’Italia si passa dal 28,4 del 1980 al 36,1 nel 2020, con il contributo dello Stato per la riduzione della disuguaglianza che appare «il più basso» tra i principali Paesi analizzati.

Ma le distorsioni maggiori riguardano la disuguaglianza della ricchezza netta, che è molto più alta di quella dei redditi. Se nei principali Paesi considerati è rimasta pressoché invariata nell’ultimo decennio e presenta valori abbastanza simili, fa eccezione, assieme agli Stati Uniti, l’Italia: essa presenta oggi una disuguaglianza della ricchezza simile agli altri Paesi (75,3%), ma l’accentuarsi di questo fenomeno nel corso del tempo è stato molto rapido a partire dal 1995.

Oggi la principale anomalia del nostro Paese riguarda la ricchezza finanziaria e immobiliare dei privati, concentrata nelle mani di una minoranza esigua della popolazione. Essa è fortemente cresciuta, in proporzione ai redditi. Nel 1966, il primo anno in cui sono disponibili i dati Wid, era il 225,7% dei redditi; nel 2021 è salita a quota 609,7%.

«In sostanza – si legge nel rapporto – i patrimoni sono passati in poco più di mezzo secolo da valere in media un po’ più del doppio delle entrate annue delle famiglie a valere fra cinque e sei volte le entrate annue delle famiglie».

Allo stesso tempo i dati Istat evidenziano che l’incidenza della povertà assoluta «è decisamente aumentata dal 2005», più che raddoppiando da 1,9 a 5,6 milioni di persone (dato 2021). Lo stesso vale per la povertà relativa, che riguarda 8,8 mln di persone rispetto alle 1,9 del 1997. A fare la differenza sono soprattutto gli anni successivi al 2010, quelli seguenti alla Grande recessione.

Non per tutti però sono stati anni di sofferenza, anzi, i dati riportati poco sopra documentano una stretta minoranza di italiani che si è arricchita a discapito del resto. Uno stato dell’arte in cui i tradizionali strumenti per la mobilità sociale verso l’alto, in particolare l’istruzione, possono poco.

«Il percorso di istruzione obbligatoria fatica purtroppo da solo a svolgere il ruolo di ascensore sociale per i gruppi di studenti più svantaggiati, contribuendo anzi a sedimentare le disuguaglianze iniziali di apprendimento che derivano dai diversi background socioeconomici», affermano dalla Fondazione Cariplo.

E le disuguaglianze, anche di istruzione, si perpetuano lungo le generazioni: oggi in Italia solo l’8% dei giovani con genitori senza un titolo superiore ottiene un diploma universitario (22% la media Ocse).

Dall’altra parte ci sono i grandi ricchi, che accumulano fortune enormi lavorando il minimo indispensabile. La stragrande maggioranza (circa il 90%) della ricchezza posseduta dallo 0,01% più ricco delle famiglie è costituita da attività finanziarie e attività imprenditoriali: «Per i contribuenti più ricchi, il reddito percepito non deriva prevalentemente da redditi da lavoro».

Un risultato che appare strutturalmente avvantaggiato dal sistema fiscale nazionale, in barba alla Costituzione italiana che dispone la progressività dell’imposta.

«Il nostro sistema fiscale – ricorda il rapporto – risulta essere solo lievemente progressivo (l’incidenza varia tra il 40% e il 50% al crescere del reddito), e lo è solamente per i primi 95 percentili della distribuzione dei redditi individuali. Per il 5% più ricco della distribuzione, l’incidenza del prelievo addirittura diminuisce fino a raggiungere quota 36% per il top 0,1% dei contribuenti».

È la conferma di quanto afferma ad esempio il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, secondo cui la disuguaglianza è una scelta puramente politica. Una scelta che viene scientemente confermata anche dal Governo Meloni.

Come osserva l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS), è lo stesso esecutivo – all’interno della Relazione sugli indicatori Bes – a informare che «per il 2023 è previsto un aumento della disuguaglianza del reddito netto, misurata dal rapporto fra il reddito totale del 20% più ricco della popolazione con quello del 20% della popolazione più povera. L’estensione del regime dei contribuenti forfettari per professionisti e autonomi per ricavi fino a 85mila euro, l’introduzione della flat tax incrementale e la sostituzione del Reddito di cittadinanza sono tra le misure adottate dal Governo. Queste politiche “producono un incremento elevato del reddito del primo quinto (+7,7 %), a fronte di un moderato aumento del reddito dell’ultimo quinto della popolazione (+1,6%)” si legge nella Relazione».

Un risultato che grava non solo sulla crisi sociale italiana, ma anche su quella climatica: i grandi ricchi emettono un quantitativo spropositato di CO2 rispetto al resto della popolazione, e senza una tassazione molto più progressiva di quella attuale la crisi climatica continuerà a marciare inesorabile. Approfondendo a sua volta, ancora una volta, il solco della disuguaglianza sia a livello nazionale ed europeo che globale.