Perché gli inceneritori svolgono un ruolo fondamentale nell’economia circolare

Brandolini: per centrare i target Ue la raccolta differenziata dovrà salire all’82%, fondamentale pianificare l’organizzazione dei servizi e il fabbisogno impiantistico in ogni sua fase

[30 Giugno 2021]

Troppo spesso in Italia si è sostenuto che i termovalorizzatori e l’economia circolare siano elementi in antitesi. E invece è vero il contrario. A dimostrarlo sono i dati sulla gestione dei rifiuti nel nostro Paese: i territori che registrano le percentuali più alte di raccolta differenziata e riciclo sono proprio quelli in cui è presente il maggior numero di impianti; non solo per il trattamento – ad esempio – dell’organico, ma anche per il recupero energetico dei rifiuti indifferenziati e degli scarti del riciclo.

Una lezione è arrivata anche dall’emergenza pandemica, perché i termovalorizzatori hanno garantito la tenuta del sistema a fronte dell’aumento di rifiuti indifferenziati come guanti e mascherine o di quelli a rischio sanitario e di altri rifiuti non altrimenti gestibili. Ma proprio le difficoltà di questo periodo hanno evidenziato che, se non si pianifica e si realizza un sistema infrastrutturale nazionale tendente all’autosufficienza nella gestione dei rifiuti, il nostro Paese resta esposto a periodiche situazioni di crisi, che possono essere dovute a cause molto differenti (si pensi allo stop cinese all’importazione della plastica da raccolta differenziata), ma con impatti comunque negativi.

I rifiuti che non hanno la possibilità di recupero come materiale, se non recuperati energeticamente, hanno come unica alternativa il solo smaltimento in discarica: pensiamo agli scarti del riciclaggio delle frazioni organiche, alle 127 mila tonnellate di scarti del riciclaggio della plastica, le 300 mila tonnellate del riciclaggio della carta e alle 180 mila tonnellate del riciclaggio dei veicoli a fine vita.

Il Libro bianco sull’incenerimento dei rifiuti urbani, il recente studio realizzato per conto di Utilitalia dai Politecnici di Milano e di Torino e dalle Università di Trento e di Roma Tor Vergata, ha messo in luce diversi elementi sui quali vale la pena riflettere.

Il primo è relativo alle emissioni climalteranti degli inceneritori, soprattutto se confrontate con l’unica alternativa attualmente disponibile per lo smaltimento finale: le discariche. Gli impatti negativi di quest’ultime, infatti, sono 8 volte superiori a quelle degli impianti di recupero energetico.

In Germania sono attivi 96 inceneritori, in Francia 126. Nel nostro Paese, soprattutto al Centro e al Sud, si registra una carenza impiantistica tale che se non si inverte questa tendenza, continueremo a ricorrere in maniera eccessiva allo smaltimento in discarica: attualmente ci attestiamo al di sopra del 20%. Ricordiamo che l’Unione Europea prevede di dimezzare tale dato entro il 2035, mancano appena 14 anni, che sembra un periodo ampio ma gli attuali tempi necessari a pianificare e autorizzare un impianto oggi nel nostro paese mostrano invece che siamo già in ritardo.

Per quanto riguarda gli inceneritori, oltretutto, ci sono limiti molto stringenti alle emissioni che non hanno eguali nel panorama delle istallazioni industriali. Relativamente alle fonti di PM10 nell’atmosfera, lo studio evidenzia che il contributo degli inceneritori è pari solo allo 0,03% (contro il 53,8% delle combustioni commerciali e residenziali), per gli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) è pari allo 0.007% (contro il 78,1% delle combustioni residenziali e commerciali) e per le diossine ed i furani si attesta allo 0,2% (contro il 37,5% delle combustioni residenziali e commerciali).

L’85% delle ceneri pesanti prodotte dalla combustione, inoltre, sono avviate a processi di riciclo dei metalli e recupero, con ulteriori miglioramenti degli impatti ambientali rispetto all’utilizzo delle materie vergini in attività quali, nel caso per esempio della frazione minerale, la produzione di cemento e la realizzazione di sottofondi stradali.

C’è inoltre il tema, non secondario, dell’importanza del recupero di energia. Attualmente in Italia sono attivi 37 inceneritori: nel 2019 hanno trattato 5,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e rifiuti speciali da urbani, producendo 4,6 milioni di MWh di energia elettrica e 2,2 milioni di MWh di energia termica; questa energia (proveniente da fonti rinnovabili al 51%) è in grado di soddisfare il fabbisogno annuo di circa 2,8 milioni di famiglie.

Al di là delle posizioni ideologiche che troppo spesso hanno avuto un peso decisivo nelle scelte della politica, la realtà ci dice quindi che gli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani svolgono un ruolo fondamentale nell’economia circolare, garantendo in modo sicuro per l’ambiente e per la salute delle popolazioni il trattamento dei rifiuti non riciclabili.

Troppo spesso il dibattito pubblico sulla gestione dei rifiuti si è sviluppato con un approccio parziale, concentrandosi sulla raccolta differenziata come se questa fosse l’unica strategia necessaria per una corretta gestione dei rifiuti. La raccolta differenziata è invece uno strumento, importante e fondamentale, per favorire il riciclo e che ancora in molte parti del paese deve essere sviluppata. Ma la sola raccolta differenziata, pur ben organizzata, non basta. La corretta gestione dei rifiuti si compone di più fasi: dopo la raccolta differenziata occorrono vari tipi di impianti per la valorizzazione delle diverse frazioni, quali ad esempio carta e cartone, plastica, vetro e l’organico. Queste strutture sono indispensabili per una piena transizione all’economia circolare perché consentono di reimmettere nel mercato materie prime seconde e nel caso dei rifiuti organici anche una fonte energetica rinnovabile come il biometano, ma essi stessi sono produttori di scarti che devono essere necessariamente trattati. Un recente studio del Centro Studi Mater di Piacenza, basato su dati reali, ha attestato che circa il 20% dei rifiuti differenziati è costituito da scarti non riciclabili e che quindi possono essere destinati solo allo smaltimento in discarica o, ben più utilmente e in accordo con la gerarchia europea, al recupero energetico.

Utilitalia pertanto ritiene fondamentale affrontare in modo complessivo la gestione dei rifiuti, pianificando l’organizzazione dei servizi e il fabbisogno impiantistico in ogni sua fase. Con questo fine la Federazione ha recentemente prodotto uno studio, basato sui dati reali pubblicati nei rapporti Ispra, dal quale emerge che per centrare i target Ue al 2035 (effettivo riciclo al 65% e ricorso alle discariche sotto al 10%), la raccolta differenziata nazionale dovrà attestarsi mediamente all’82%. Inoltre, considerando la capacità impiantistica attualmente installata per il trattamento della frazione organica e di recupero energetico, il fabbisogno al 2035 del Paese ammonterà rispettivamente a 3,2 e 2,5 milioni di tonnellate. A questi impianti vanno aggiunti quelli per riciclare i crescenti volumi degli altri rifiuti differenziati.

Voler ridurre il ricorso allo smaltimento in discarica non è, per Utilitalia, una questione di preferenza tecnologica, ma una scelta politica di pianificazione urgente per il rispetto della gerarchia dei rifiuti, ribadita dalle direttive dell’economia circolare, oltre che per le migliori performance ambientali, dimostrate da studi scientifici, garantite dal riciclo e dal recupero energetico dei rifiuti non riciclabili. Ancora nel 2019, secondo i rapporti Ispra, 6,3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani (pari al 21%) sono stati smaltiti in discarica, cui vanno sommati i circa 12 milioni di tonnellate di rifiuti speciali.

L’incenerimento dei rifiuti con recupero energetico rappresenta quindi una fase del loro ciclo di gestione, complementare e non in competizione alternativa al riciclo, oltre che comunque indispensabile per chiudere il cerchio. A partire dagli anni ’90 è stata una tecnologia sottoposta a profonde innovazioni, prima per migliorare gli impatti ambientali, grazie a sistemi molto efficienti di abbattimento delle emissioni, poi per aumentare il rendimento nella produzione energetica.

Per il futuro si può prevedere un’ulteriore spinta per la cattura della CO2 e per la produzione di idrogeno. Attività sperimentali in tal senso sono già in atto in Italia e in Europa.

di Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia