La decarbonizzazione al centro della strategia economica Post-Covid

Ossigeno per (una diversa) crescita senza carbone: il piano del Wwf al di là del Pil

L'Italia in 10 anni potrebbe recuperare fortmente posti di lavori e sostenibilità

[24 Settembre 2020]

Tocca scomodare ancora una volta Robert Kennedy e il suo discorso del 1968 sul Pil – “che misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta” – di fronte al nuovo rapporto Towards an EU Wellbeing Economy – a fairer, more sustainable Europe post Covid-19 pubblicato oggi dal Wwf che chiede all’Unione Europea di far tesoro dalle lezioni della crisi adottando un approccio di “Wellbeing Economy” – un’economia al servizio delle persone e dell’ambiente, piuttosto che perseguire la crescita economica attraverso indicatori definiti in modo restrittivo come il prodotto interno lordo (Pil).

Il tema – come detto –  ha radici lontane, ma non si è “svolto” negli anni, passando attraverso anche alla retorica sulla decrescita felice sulla quale anche la politica aveva per un po’ cavalcato l’onda del populismo, dimenticando di affermare cosa avrebbe dovuto crescere e cosa no. Ma al di fuori di queste considerazioni, il rapporto presenta un quadro che è del tutto condivisibile:

Per una vera e propria ripresa – spiega – “caratterizzata da sostenibilità e salute, l’UE deve ripensare il modo in cui misura i progressi e ordina le priorità nel suo processo decisionale”.
Una cornice di indicazioni per un’economia resiliente per l’Italia lanciata oggi da un folto gruppo di economisti. Nonostante la loro retorica verde, la risposta dell’Ue  e dei suoi Stati membri – secondo il Wwf – , si è, finora, concentrata prevalentemente su risposte “classiche”, nel tentativo di stimolare la crescita economica ‘convenzionale’.

Il rischio – prosegue la nota dell’associazione ambientalista – “è che gli sforzi per realizzare una vera e propria ripresa verde siano preda di interessi economici a breve termine e che queste prevalgano su l’impostazione con un orizzonte più ampio che deve avere al centro la sostenibilità ambientale e sociale. Il pacchetto di ripresa proposto dall’UE rischia di permettere a settori distruttivi come l’energia da combustibili fossili o l’agricoltura intensiva di accedere ai finanziamenti pubblici, bloccando gli investimenti per i decenni a venire e minando gli sforzi dell’UE per affrontare la doppia crisi del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità”.

Che fare quindi? “Anche in termini di crescita classica, comunque, la sostenibilità, e in particolare la coerenza e l’accelerazione delle politiche e delle iniziative per la decarbonizzazione dell’economia e a favore del clima, potrebbero far volare la ripresa economica”.

E questo è quanto dimostrerebbe lo studio pubblicato oggi da REF-E, un’agenzia specializzata in ricerca e consulenza per i mercati energetici, e curato da Matteo Leonardi con il supporto di una ventina di analisti tra cui Enrico Giovannini, Giovanni Dosi, Pia Saraceno, Anastasia Pappas. La ricerca illustra come gli investimenti in decarbonizzazione siano la chiave per la ripresa economica post-Covid in Italia a livello macroeconomico. L’impatto economico sarebbe imponente, anche secondo gli schemi classici. Il buon utilizzo dei fondi comunitari aumenterebbe il Pil del 30% entro il 2030 e il tasso di occupazione dell’11%, con un forte miglioramento delle opportunità per i più giovani.

Ma veniamo ai numeri. Nel rapporto si spiega che sono due gli scenari possibili, partendo dal 2020 “per il quale ci si attende una caduta del PIL dell’8,4%, una riduzione delle emissioni del 9%, un crollo degli investimenti al 16% del PIL, un forte impatto sul lavoro, una riduzione del reddito, un incremento delle diseguaglianze, un incremento della propensione al risparmio. Il rapporto debito pubblico/PIL arriva vicino al 160%”.

Da qui vengono descritti i due possibili scenari. Il primo definito “virtuoso” vede un’accelerazione imponente nel periodo di accesso ai finanziamenti comunitari. dopo il rimbalzo, con il tasso di crescita medio annuo che si mantiene vicina al 5 % per qualche anno per scendere al 3,5% medio e convergere nel lungo termine su livelli vicini al 2%. Tale traiettoria è in grado di sostenere la transizione energetica, e generare le condizioni per il rientro del debito. Il buon utilizzo dei fondi comunitari riporta il Pil al 2030 su un valore del 30% circa superiore a quello in assenza dei finanziamenti comunitari e del 15% rispetto allo scenario conservativo. Significativo l’impatto sull’occupazione: l’aumento dei posti di lavoro porta il tasso di occupazione per la popolazione in età attiva dal 57% del 2020 al 68% nel 2030, ancora inferiore alla media europea ma con un forte miglioramento delle opportunità per i più giovani. Seppure significativa la riduzione del rapporto del debito con il PIL al 2030 appare sufficiente a far rientrare ai livelli pre-Covid ma non a ritornare sui livelli pre-crisi finanziaria del 2008. 8

Nello scenario conservativo dopo il rimbalzo del 2021 la crescita procede, negli anni di utilizzo dei fondi comunitari vicina del 2% per poi convergere nell’intorno dell’1% dopo il 2030. Gli obiettivi di decarbonizzazione sono incerti e non raggiungono il target di lungo periodo di neutralità climatica. Il rapporto debito Pil non riesce a scendere ancora al 2030 a livelli inferiori al 140%. La differenza tra i due scenari è fondamentalmente da ricondurre alle assunzioni circa la capacità di spesa dell’Italia che è messa in relazione alla coerenza delle politiche per la decarbonizzazione come segnale per il sostegno agli investimenti privati.

Ma chi può far virare verso uno scenario o l’altro? Secondo il rapporto molto sta “alla capacità delle politiche pubbliche” che permette “di impegnare e spendere l’80% delle risorse Ue e contestualmente attivare gli investimenti nel settore privato”. Nello scenario conservativo, che riproduce la storica incapacità dall’Italia di sfruttare appieno le risorse comunitarie, si riesce a spendere solo parte delle risorse, il 50%, in un contesto di riluttanza del settore privato all’innovazione a fronte della crisi di liquidità a seguito del lockdown non compensata da una chiara direzione della politica economica e delle scelte per la decarbonizzazione.

Contestualmente alla capacità di impiego dei fondi, emerge l’importanza delle politiche congiunturali per il rilancio della domanda, necessariamente d’indirizzo rispetto agli obiettivi della decarbonizzazione. In particolare la bassa propensione alla spesa delle famiglie può rappresentare, con opportuni incentivi, un’opportunità per il rinnovamento dei beni durevoli in chiave di transizione energetica. Da qui l’importanza della condizionalità degli incentivi (si veda ad esempio efficienza energetica e mobilità). La chiarezza ed il sostegno delle policy rispetto agli obiettivi di decarbonizzazione emergono come un elemento centrale altrettanto importante quanto la disponibilità di risorse.

Le decisioni che prenderà lo Stato italiano – su come spendere i fondi europei – è una delle conclusioni di questa parte per noi molto significativa del report acquistano un’importanza non solo tecnica e amministrativa, ma di sostanza, che influiranno in modo rilevante sui risultati.

Il Wwf e il gruppo di importanti firmatari del report hanno quindi lanciato la sfida, tocca al Governo saperla raccogliere.