Nuove miniere? I Comuni montani sono «in fibrillazione» per le materie prime critiche

Uncem: «Non vorremmo trovarci di fronte a una colonizzazione delle risorse naturali, o per contro, all'essere addidati come coloro che non vogliono nuove opportunità di sviluppo»

[17 Aprile 2023]

La corsa ai veicoli elettrici, e più in generale alla transizione ecologica verso le rinnovabili, rappresentano strategie industriali indispensabili ad una lotta efficace contro la crisi climatica. Ma anch’esse non sono – come ogni attività umana – a impatto ambientale zero.

In particolare, l’approvvigionamento sostenibile di metalli e materie prime critiche impone la necessità di tornare ad esplorare il sottosuolo italiano ed europeo alla caccia di risorse. Per il nostro Paese, in molti casi significa valutare quelle disponibili in territori montani, che non a caso chiedono adesso un giusto coinvolgimento.

«La ricerca di ‘materie prime critiche’, come definite dal ministero delle Imprese e del made in Italy, non può prescindere dalle comunità locali – dichiara Marco Bussone, presidente dell’Unione nazionale Comuni e comunità enti montani (Uncem) – Le ‘terre rare’, una quindicina di minerali, che il Paese vuole trovare per diminuire la dipendenza da Paesi terzi, vedono una presenza forte di miniere, in uso o dismesse, nelle aree Alpine e Appenniniche. Dal Trentino alle Alpi Apuane, e poi lungo l’arco appenninico, molte comunità locali sono in fibrillazione e i sindaci vengono già contattati direttamente da imprese, molto spesso multinazionali, che hanno avviato studi, analisi, sondaggi geologici. Tastano il territorio in tutti i sensi, anche verificando possibili ‘compensazioni’ per quei paesi ove andrebbero a riaprire cave e miniere dismesse».

Non si tratta di un fenomeno che interessa solo il nostro Paese. La stessa Commissione Ue ha lanciato una nuova proposta legislativa per un approvvigionamento sostenibile delle materie prime critiche (34 in tutto, ad oggi) e strategiche (16), in base alla quale entro il 2030 dovrà essere interno all’Unione europea almeno il 10% dell’estrazione mineraria, il 15% del riciclo e il 40% della trasformazione di tali materie prime.

Sotto questo profilo, anche la Cassa depositi e prestiti italiana (Cdp) sottolinea che il ruolo del riciclo sarà fondamentale per ridurre l’import di materie prime critiche, ma da solo non potrà bastare. Da qui l’esigenza di nuove partnership commerciali e la ricerca di nuove miniere (oltre ad applicazioni tecnologiche innovative come l’estrazione di litio e altre materie prime critiche dai serbatoi geotermici).

Un’esigenza che dovrà saper coinvolgere i singoli territori interessati, per evitare il formarsi delle ennesime sindromi Nimby & Nimto: a questo scopo dovranno giocoforza concorrere dibattiti pubblici, attente valutazioni ambientali e compensazioni adeguati, ma anche la forza politica di reggere l’inevitabile parte di dissenso che ogni scelta di sviluppo provoca.

«Ritengo importante che in sede ministeriale, oltre al tavolo tecnico di esperti costituito d’intesa con Ispra, vi possano essere voci dei territori – evidenzia nel merito Bussone – Non vorremmo trovarci di fronte a una ‘colonizzazione’ delle risorse naturali, o per contro, all’essere addidati, Sindaci e comunità locali, come coloro che non vogliono nuove opportunità di sviluppo. In mezzo ci stanno dialogo e sinergie, approfondimenti e ascolto, per evitare che la ricerca di cobalto, come di nichel o manganese o di altre ‘terre rare’ sia fatta alle spalle dei territori e di chi ha responsabilità politiche democraticamente eletto».