Non c’è sviluppo sostenibile nell’Italia del sud senza investimenti nei servizi pubblici

Il reddito di cittadinanza ha un moltiplicatore sullo sviluppo del Sud che è un terzo di quello che avrebbe un investimento sui settori delle utility

[5 Febbraio 2019]

Investire nei servizi pubblici al sud ha un potenziale maggiore rispetto alle altre aree d’Italia, eppure i progressi su questo fronte stentano ad arrivare, come documenta la ricerca Svimez sul ruolo dei servizi idrico-ambientali per lo sviluppo del Mezzogiorno e il “Rapporto Sud” curato dalla fondazione Utilitatis, entrambe commissionate da Utilitalia – la federazione delle imprese idriche, energetiche e ambientali – e presentate ieri a Bari all’Università Aldo Moro (nella foto, ndr).

Analisi che mostrano come nelle 8 Regioni del Sud e delle Isole (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna) siano 245 le aziende attive nel settore delle utility, molto meno della media nazionale – 1,4 società ogni 100 mila abitanti contro 3,2 – e il più delle volte sottodimensionate economicamente. Di conseguenza, la produzione di servizi di pubblica utilità al Sud, circa 201 euro per abitante, è meno di un quarto di quella del resto del Paese (972 euro); un dato cui si affianca un livello troppo basso di investimenti, con poco più di 22 euro per abitante contro 124.

Analizzando i dati relativi all’anno 2016, Svimez e fondazione Utilitatis documentano che il comparto dei servizi pubblici ha generato al Sud un valore della produzione di oltre 4 miliardi di euro nell’anno (l’1,1% del Pil del Mezzogiorno), realizzato investimenti pari a mezzo miliardo di euro e impiegato oltre 25 mila addetti. Eppure, se si realizzasse un miliardo di euro di investimenti aggiuntivi nel settore delle utility (ovvero il doppio dell’effettivo), verrebbero generati un incremento di produzione permanente di 900 milioni di euro, con un Pil aggiuntivo di mezzo miliardo e 11.000 nuovi posti di lavoro; in un’ottica temporale pluriennale, un investimento aggiuntivo di 5 miliardi determinerebbe inoltre effetti più che proporzionali rispetto a quelli prodotti con l’investimento di un solo miliardo, riducendo significativamente il gap con il Nord, tanto che dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome sottolineano come «lo stesso reddito di cittadinanza ha un moltiplicatore sullo sviluppo del Sud che è un terzo di quello che avrebbe un investimento sui settori delle pubbliche utilities».

Nel Mezzogiorno gli investimenti in servizi pubblici presentano dunque una capacità di creare valore superiore ad altre aree del territorio nazionale, anche in termini più che proporzionali all’investimento stesso, eppure il settore sconta ancora significativi ritardi. Per quanto riguarda ad esempio il comparto idrico le reti del Mezzogiorno – nonostante il rischio siccità accentuato dai cambiamenti climatici – registrano le perdite più alte d’Italia (51%, a fronte di una media nazionale del 41) e quanto alla depurazione, dei 1122 agglomerati in infrazione comunitaria, ben 761 hanno sede al Sud; persistono numerose le gestioni in economia e si registra una minore presenza di società partecipate (70% di abitanti serviti contro il 95%) rispetto al resto del Paese, mentre sarebbe invece opportuna – evidenziano da Utilitalia – una normazione regionale ispirata ai principi dell’aggregazione, per superare le frammentazioni del servizio in una logica industriale. Analoghe problematiche si riscontrano sul fronte della gestione rifiuti, con una percentuale di raccolta differenziata ferma al 42% (20 punti percentuali in meno rispetto al Nord), un eccessivo ricorso alla discarica (40% a fronte del 16 del Centro-Nord) e una dotazione impiantistica ancora insufficiente, che è alla base della dipendenza da altre regioni per soddisfare il bisogno di trattamento. Tutto ciò – sottolineano da Utilitalia – determina tariffe per i cittadini superiori rispetto al resto del Paese, con un aggravio di spesa che arriva a 70 euro l’anno per famiglia. Anche per quanto riguarda questo comparto è evidente la scarsa presenza di società a controllo pubblico: 2 abitanti su 3 sono serviti da società private – e per alcune fasi del ciclo, ancora direttamente dai comuni –, con la maggior parte dei rifiuti viene trattata in impianti privati, a testimonianza di quanto sia ingenuo contrapporre a prescindere pubblico e privato senza invece osservare l’efficienza del sistema.

Non a caso Adolfo Spaziani, senior advisor di Utilitalia, ha invitato a «riflettere sui dati e non su principi ideologici. Se l’economia va nella direzione che sembra e il mondo ha problemi climatici da affrontare, rischiamo di sbagliare direzione se polverizziamo le nostre forze. Abbiamo una differenza sostanziale tra aree agiate dell’Italia e zone in difficoltà. Gli investimenti attraverso i servizi pubblici, tutti i servizi pubblici, hanno un effetto moltiplicatore più alto che in altre zone del Paese. Con questo studio, come aziende, abbiamo fatto la nostra parte, abbiamo messo a disposizione del governo e del legislatore i numeri dei settori dell’acqua e dell’ambiente e l’analisi ragionata di questi stessi dati. Insieme alle tante posizioni espresse e ai documenti depositati nelle audizioni alla commissione Ambiente della Camera (dove è in discussione la proposta di legge Daga che prevede un radicale riassetto dei servizi idrici, ndr), ora non mancano gli elementi necessari per prendere decisioni ponderate».